La nostra casa in Kirke street, Chevy Chase, Maryland

Ancora sotto l’effetto del Jet lag e con le caviglie doloranti per la permanenza in aereo, provo a fare un bilancio del nostro viaggio. Avrei voluto parlare di più dell’America di Obama, ma chiusa nelle mie vicende familiari non posso dire di aver notato grandi cambiamenti, se non un maggiore rilassamento nel comportamento delle persone, come se su tutte fosse stato scoperchiato un velo di angoscia. Quelle di orientamento democratico ostentavano a gran ragione gioia ed orgoglio. Il viaggio di ritorno è stato peggiore del previsto per via del recente attentato: in Aeroporto tutto un trattarci da soldatini, anche se non si è arrivati alle urla isteriche e agli spintoni col calcio di fucile del periodo Bush. La mia famiglia americana, la famiglia Marsh, ha cercato di aggiungere un altro Natale in Kirke Street alla sua storia, nonostante sia ogni anno più difficile. Quest’anno mancava la famiglia di Peter in crociera nei Caraibi, un gesto apocalittico nell’anno pre College di Emma, come se dopo il grande passo tutto debba cambiare; nel nostro fronte abbiamo dovuto fare i conti col broncio di Valentina che significava che d’ora in poi non si potranno più pretendere tutte le figlie appresso, Sidney invece aveva già capito che doveva fare a meno di suo figlio Jeffrey, mentre la simpatica e confusa famiglia di Jane si è presentata solo il giorno dopo. Nonostante questo, la mattina del 26 eravamo tutti davanti al camino a recuperare gran parte del rito. Bill e Jane erano appena arrivati e mentre si aspettavano Ned e Melissa Grandma aveva deciso che si poteva aprire un turno ritardatario di calze e pacchetti. Poi Granma, Jane e Sidney si erano dirette in cucina a preparare il lunch, che sarebbe consistito nei soliti sanwiches, nobilitati per l’occasione dai resti del tacchino del giorno precedente (fatto giungere già cucinato dal Club) e alcuni generi di conforto portati da Jane (una delle poche americane che sa cucinare). Noi rimasti davanti al camino abbiamo sentito una serie di tonfi, come se ci fosse stato il crollo di una piramide di scatole, Jesse ha dapprima urlato “did somebody fall down?” e non avendo ricevuto risposta si è alzato di scatto seguito da me, più lenta per via delle caviglie artritiche. Prima di arrivare al corridoio ho sentito un “help” angosciato e, affacciandomi alle scale che portano al basement, ho scorto la straziante figura di Jesse riversa su quella della madre, stesa per terra con la testa immersa in un lago di sangue, assente. Non avevo mai vissuto un’emergenza scandita da frasi concitate in una lingua non natia e dal sistema di assistenza americano, ma la stessa cronaca a Bagheria non sarebbe stata molto diversa: ambulanza, attesa al pronto soccorso (la famosa emergency room), un suocero distrutto dalla paura e figli, nuore e generi che cominciano a fare i conti con l’anzianità dei genitori. Quando Grandad ha avuto finalmente il permesso di entrare nella stanza della moglie, noi rimasti in sala d’attesa abbiamo avuto il coraggio di sputare il primo rospo: se non ci fossimo stati noi la mamma sarebbe rimasta sola nel basement, mio suocero infatti non ci sente. Il secondo rospo l’ha uscito fuori Jane: “I saw my Mom as an old lady”. In effetti ogni volta che nel corso della giornata avevamo dovuto rivelare l’età della Mom (86) lo sguardo di medici ed infermieri diceva “che vi aspettavate? Ringraziate il cielo che è viva.” Dopo un volo dalle scale due denti caduti, una leggera lesione al cranio e quattro punti di sutura in fronte sono un vero miracolo, per il quale dobbiamo ringraziare un fisico leggero e atletico tenuto in forma dal golf, dall’irrinunciabile passeggiata mattutina e dal disprezzo per il cibo.  Anche Grandad è molto in forma, nonostante l’età (89) e un cancro all’intestino: ancora spacca la legna, spala la neve, porta giù la spazzatura e si ostina a salire le valige al primo piano quando arriviamo, ma non so più se questi siano segnali rassicuranti. Il problema della cura delle persone anziane non è tanto quello di evitare loro pericoli e fatica, quanto quello di prevederli. Perché ad esempio Grandmom tiene un secondo surgelatore nel basement e va su e giù a prendere cibo più volte al giorno? Poi mi chiedo quanto diritto abbiamo noi figli di indagare sulle abitudini dei genitori, e soprattutto, a che punto della vita le tue abitudini diventano vaglio altrui? Ma il problema adesso è decidere cosa fare, o cosa suggerire loro di fare, perché se la vecchiaia è brutta ovunque, in America è peggiorata dalla lontananza dei figli. Noi stiamo in Italia ma gli altri cognati, seppur in America, vivono ognuno in uno stato diverso, lontano da Washington D.C. Ora sembra che Mom da qualche anno progettasse il trasferimento in una struttura di lusso per anziani, legata all’appartenenza del suo padrigno alla Marina Militare, Grandad era contrario ma la caduta della moglie lo ha messo di fronte al fatto compiuto, mentre mia cognata Sidney fiancheggia con fredde argomentazioni la decisione della mamma. Tutti gli altri siamo contrari ma non molto determinanti nella scelta. Levare Grandad da quella casa, dalla sua legna, sembra crudele. La seconda opzione sarebbe una persona in casa con loro e in realtà fino a due mesi fa c’era Lilly che dopo 55 anni è tornata dai figli, molto rimpianta anche se Mom si è tolta l’enorme fatica di accudirla, perché nonostante fosse la più giovane del gruppo e anche la domestica di casa, Lilly era la più malata e il rapporto si era completamente invertito. Adesso c’è una signora messicana  molto affabile che va solo un volta a settimana a passare l’aspirapolvere, troppo poco per quella gran casa. Ma Mom & Dad non vogliono pagare due stipendi dal momento che pagano ancora quello di Lilly, che altrimenti perderebbe l’assistenza sanitaria, that’s America. Poi pensiamo che nessun domestico, o famiglia di domestici, riuscirebbe a dissuadere Grandad dallo spaccare la legna e Mom dallo scendere in continuazione nel basement. Ma l’idea che quella casa venga venduta a qualche riccone che sostituisca i camini col climatizzatore, la vasca per gli uccellini con una piscina e l’orto con un campo da tennis ci fa orrore. Quell’antica dimora Vittoriana trasuda storia di famiglia in ogni scheggia di legno che la compone, dalle tavole del pavimento agli infissi degli abbaini: nel quartiere della upper class Washingtoniana, tre piani più basement, sei camini, vasche da bagno in ghisa, letti a baldacchino, porte modanate, vecchia ferramenta in ottone, rubinetteria e interruttori  di due secoli fa, dispense, stipetti e armadi ritagliati in ogni cantuccio, boiserie in legno, carta da parati a fiori e a righe, un enorme giardino con alberi, roseti, orti, uccelli, scoiattoli, procioni e quest’anno anche cervi. Insomma non avevamo mai voluto pensarci ma quella casa meravigliosa è un’anacronismo legato alla sola presenza dei suoi anziani padroni di casa. Già quella sera, tornati dall’ospedale, la casa soffriva la mancanza dei proprietari: le nostre tre ragazze erano rimaste ad aspettare Ned e Melissa e li abbiamo trovati tutti e cinque stravaccati nei divani con i cuscino sparsi per terra, il fuoco che languiva, il tappeto bianco sporco delle zampe del cane di Ned, che nel frattempo zompettava da un divano all’altro, mugs e piatti sporchi abbandonati ovunque. Anche se Jane ha cercato di pulire e rassettare non è riuscita ad eguagliare il tocco di sua madre, quell’eleganza che la contraddistingue in ogni cosa, dal candore dei capelli ai golfini ricamati, ai taccuini dai fiori vittoriani in cui annota tutta la burocrazia relativa ai regali e ai biglietti natalizi. Nulla funzionerebbe come prima senza le piccole cure e pericolose ossessioni dei miei suoceri, dalla legna spaccata da Grandad alle coffee cakes stivate nel surgelatore del basement da Grandma. Forse i miei suoceri hanno diritto a pensionarsi dalla cura della memoria di famiglia. Prima o poi dobbiamo rassegnarci a vedere la fascinosa casa di Kirke Street nel nostro ricordo e nelle foto delle feste di Natale e per questo, senza fare drammi, ho voluto cominciare a descriverla.

Comments

One comment on “La nostra casa in Kirke street, Chevy Chase, Maryland”
  1. Sergio ha detto:

    Che bella Famiglia numerosa, e’ proprio una bella foto.

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