Il Granlombardo

“Trentacinque anni di Germania spesi in quella casa, l’ho fatta per i miei figli… ” così diceva ieri al telegiornale un Granlombardo dallo sguardo fiero e gli occhi asciutti di fronte alla tragedia della sua vita: la sua casa ferita a morte nel mezzo di un paese squarciato in due, povere cose caricate alla meglio in trusce che faticavano a contenerle. Magari i suoi figli neanche ci volevano tornare a San Fratello, forse si erano ambientati nella straniera Germania come succede alla gran parte degli emigrati di seconda generazione, ma dedicare una casa “ai propri figli” è un appello a quell’istinto di continuità che ti fa ripercorrere a ritroso i tuoi passi, alla ricerca di quell’unico lembo meritevole di accogliere i mattoni dei tuoi sacrifici. Solo lì poteva costruire quel Sanfratellano, Granlombardo dallo sguardo fiero, e in nessun altro posto al mondo. Erano venuti nel 12° secolo i Lombardi di San Fratello e quel posticino appollaiato sui monti Nebrodi aveva messo fine ad una diaspora, che adesso ricomincia tristemente dopo tanti secoli. In una terra di curti, nivuri e malocavati i Granlombardi, uomini e cavalli, si erano sparsi in tutta la regione riuscendo (analogamente al ceppo normanno) ad elevare la statura media dei siciliani e a schiarire il pelo con un nordico russu. I Granlombardi sono molto di più: fieri, combattivi ed orgogliosi, portatori di una festa pagana dedicata ai diavoli che si fa beffe della morale cattolica, capaci di eleggere il primo santo nero. Mio zio Nicola (l’Ignazio di A mani nude) è un un esempio di Granlombardo di pilu russu, capace di combattere ancora per la sua terra alla soglia dei novant’anni. Bettino Craxi si sarebbe potuto definire un Granlombardo, per me era soltanto un uomo alto che viveva in Lombardia. Granlombardo è un’altra cosa e so anche che di razze non si dovrebbe parlare, ma per gli statuari Sanfratellani vorrei fare un’eccezione. Elio Vittorini, descrivendo profeticamente il mal di Sicilia, quella maledizione che ti rende straniero sia che resti sia che vai via, dipingeva un magnifico Granlombardo in “Conversazione in Sicilia”:

il Gran Lombardo proseguì:
– Sempre sperando qualcosa d’altro, di meglio, e sempre disperando di poterla avere… Sempre sconfortati. Sempre abbattuti… E sempre con la tentazione in corpo di toglierci la vita.
– Sì, è vero, – disse il catanese con serietà
E si mise a considerarsi le punte delle enormi scarpe. E io, senza distogliere lo sguardo dal faccino del vecchio, dissi: – Può darsi che sia vero… Ma che c’entra questo con l’andare a fare quel mestiere?
E il Gran Lombardo disse: – Credo che c’entri per qualche ragione… Credo che c’entri. Non so come spiegarlo, ma credo che c’entri. Che fa uno quando si abbandona? Quando si butta via per perduto? Fa la cosa che più odia di fare… Credo che sia questo… Credo che è comprensibile se sono quasi tutti siciliani.
Poi il Gran Lombardo raccontò di sé, veniva da Messina dove si era fatto visitare da uno specialista per una sua speciale malattia dei reni, e tornava a casa, a Leonforte, era di Leonforte, su nel Val Demone tra Enna e Nicosia, era un padrone di terre con tre belle figlie femmine, così disse, tre belle figlie femmine, e aveva un cavallo sul quale andava per le sue terre, e allora credeva, tanto quel cavallo era alto e fiero, allora credeva di essere un re, ma non gli pareva che tutto fosse lì, credersi un re quando montava a cavallo, e avrebbe voluto acquistare un’altra cognizione, così disse, acquistare un’altra cognizione, e sentirsi diverso, con qualcosa di nuovo nell’anima, avrebbe dato tutto quello che possedeva, e il cavallo anche, le terre, pur di sentirsi più in pace con gli uomini come uno, così disse, come uno che non ha nulla da rimproverarsi.
– Non perché io abbia qualcosa di particolare da rimproverarmi, disse. – Nient’affatto. E nemmeno parlo in senso di sacrestia… Ma non mi sembra di essere in pace con gli uomini.
Avrebbe voluto avere una coscienza fresca, così disse, fresca, e che gli chiedesse di compiere altri doveri, non i soliti, altri, dei nuovi doveri, e più alti, verso gli uomini, perché a compiere i soliti non c’era soddisfazione e si restava come se non si fosse fatto nulla, scontenti di sé, delusi.

Quel paese arrampicato sui Nebrodi e adesso squarciato in due è il misero emblema di una tracimazione di identità che sta sconvolgendo il sud d’Italia, insieme a quell’altro paese Calabro (Maierato, in provincia di Vibo Valentia) il cui mare di terra che precipita a valle oscurerà nella mia memoria la storica immagine di due torri che si accasciano sulle fondamenta. Purtroppo tutto avviene in un superaffollamento di tragedie umane che rende dubbiosa l’assegnazione degli ultimi posti. Si può essere più ultimi di chi perde il proprio lavoro e non riesce a sfamare i propri figli? Si può essere più ultimi di chi è ammalato e non riceve cure? Si può essere più ultimi di chi ha perso tutto in un terremoto? Si può essere più ultimi delle donne costrette a vendere il proprio corpo? A quanto pare non c’è fine, perché alle miserie si somma l’insulto, di chi su queste ride e specula, magari proprio colui che per ruolo dovrebbe aiutarti. Infatti nelle tragedie di San Fratello e Maierato i calamitati neanche sperano l’aiuto di quei vertici della protezione civile che in altre occasioni erano arrivati sul posto con tanto scruscio, perché adesso occupati a difendere disperatamente il proprio nome. Queste tragedie ci svelano la fine di quella res publica costituita da pubblici soldi e amministratori, condivisione di beni e problemi da risolvere, leggi, norme e regole; quella cittadinanza, stato, società, che distingue un insieme di individui da un branco. In questo si salvi chi può, in cui pochissimi primi sputano su una maggioranza di ultimi, risollevare il senso dello stato sarà più difficile che restituire una casa ai Sanfratellani, perché la casa comune è un concetto, un sentimento, una identità che si costruisce in millenni di civilizzazione.

Comments

2 comments on “Il Granlombardo”
  1. Riprendo il blog dopo tanti anni e trovo questo bellissimo commento, ringrazio di cuore scusando la mia incostanza. Zio Nicola è morto un anno fa, con la bandiera rossa sulla bara e una commemorazione alla camera del lavoro di Palermo, che lui aveva fondato subito dopo lo sbarco degli americani. Posso garantire che ha lottato a sinistra fino all’ultimo giorno, ultimo suo atto donare il suo archivio ai compagni della CGIL. Uno degli ultimi comunisti Italiani.

  2. Michele Sequenzia ha detto:

    Cara amica per puro caso, ho letto con grande interesse cose che non conoscevo, fino ad ora.. Ho sentito parlare di San Fratello solo in questi giorni, alla TV . E chi lo conosce San Fratello? Noi in Piemonte siamo molto lontani dal sud. Probabilmente, la gente ha in testa altre cose e poi che ce ne facciamo dei vostri problemi? Quì è tutto impostato sulla Fiat. Si vive solo in funzione di Marchionne. Da quanto leggo il Sud è assai più vivo, quì la Lega farà ancora più danni al tessuto civile e democratico. A Milano non si vive più tra Formigoni e Moratti. Torino resiste ancora. Ti rileggo volentieri e magari m’informo su tante cose che non so. Auguro a tuo zio Nicola di mantenersi sempre come oggi. Ti auguro ogni bene. Ti abbraccio
    Michele Sequenzia -Torino

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