Elda cap 23, La villa di Bagheria

Giulio era riuscito a racimolare una bicicletta per la sorella e così finalmente un pomeriggio poté portarla alla villa di Bagheria, per farle conoscere Vittorio, Igea ed il bambino.

Bagheria era rinomata per le sue ville barocche e quella dove stavano andando era forse la più bella. Giulio fece vedere a Elda il meraviglioso cortile circolare su cui si affacciava il prospetto sormontato di sculture settecentesche, prima di dirigersi verso la dépendance. Chino su di un piccolo orto sul retro, c’era un uomo molto distinto con un cappello panama e un completo di lino bianco che aveva una strana casacca col collo alla coreana.

“Vieni! – le disse Giulio mentre lei ancora guardava all’indietro, rapita da quella facciata – Ti faccio conoscere il Duca.”

Il Duca si girò verso di loro mostrando un viso intelligente e due limpidissimi occhi azzurri.

“Nonostante tutto spuntano ancora dei San Marzano – disse pulendo con la manica un pomodoro appena colto da porgere ai ragazzi – la natura è un prodigio che si oppone alla vigliaccheria di tutte le guerre… come stai… mio caro Giulio?”

“Bene Duca, le posso presentare mia sorella Elda?” Giulio aveva una familiarità informale con il nobiluomo, Elda ne era orgogliosa e non aveva difficoltà a comprendere perché quell’aristocratico, così diverso dagli altri che lei aveva fin’ora conosciuto, avesse tanto ascendente su suo fratello.

“Che cara ragazza… avete gli stessi occhi – poi rivolgendosi a Elda – tuo fratello è stato tanto in pena per il tuo arrivo in treno, invece la mia Isabella è rimasta bloccata a Torino col marito e i figli, l’Italia è rimasta spaccata in due… sono tanto preoccupato.”

“Vedrà che sua figlia riuscirà presto a trovare il modo di arrivare.” disse Giulio.

“Lo spero tanto, ma non vi voglio far tardare, il bimbo è sveglio. E’ stata proprio una benedizione in questo momento, anche se Igea è tanto prostrata, non riusciva ad alzarsi dal letto e ho temuto per il suo latte.”

I due fratelli salutarono il Duca e arrivarono alla dépendance, un corpo basso staccato dalla Villa. Igea, Vittorio e il loro bimbo occupavano due stanze che condividevano con due gatti e una quantità smisurata di libri, come se che qualcuno avesse rovesciato lì casse e casse di volumi provenienti da una biblioteca. C’erano pile e cataste dappertutto utilizzate come elementi di arredo, su cui stava poggiata una tazzina, un bicchiere, un posacenere o un altro volume aperto.

I mobili erano belli e imponenti come quelli dei palazzi della Marina e di Pietralunga, ma in quell’ambiente perdevano qualsiasi autorevolezza, smitizzati dall’insieme di calore umano e sapere. Igea stava allattando il bimbo su di una poltrona Luigi XVI, dorata e con una preziosa tappezzeria di raso a disegni floreali leggermente sfilacciata, mentre uno dei gatti stava accovacciato sulla sua spalla, Vittorio era seduto accanto a lei su di un pouf a leggere ad alta voce dei versi, mentre Ottavia, la ragazza ebrea rifugiata lì con i genitori, stava appollaiata sul vano della finestra a disegnare, in una rientranza della stanza adibita a cucina, c’era il loro amico Pippo che preparava la cena.

Tutti salutarono affettuosamente Elda cercando di farla sentire a proprio agio, dopodiché Vittorio iniziò a conversare con Giulio e Pippo spostandosi da un lato all’altro della stanza. Era preoccupato della strana concordia fra i mafiosi locali e le truppe alleate:

“Gli americani non parlano la nostra lingua e probabilmente per loro sarà stato prezioso l’aiuto dei soldati italoamericani. Forse in qualche caso questi li avranno indirizzati male. Ho chiesto un colloquio col colonnello dell’AMGOT[1] Charles Poletti per avvertirlo del pericolo di certe collaborazioni, Igea parla bene l’inglese e mi farò accompagnare da lei.”

“Non sono tanto convinto che il loro sia soltanto un problema di lingua, poi se non mi sbaglio anche Poletti[2] è italoamericano.” diceva Pippo.

Elda nel frattempo si era avvicinata a Igea:

“E’ così dolce quando mangia!”

“Forse mangia troppo spesso ma non so come regolarmi, del resto quando mangia sta buono.”

“Io non saprei come fare.”

“Se non fosse stato per la mamma di Ottavia neanche io saprei come fare, mi ha aiutata per il parto e mi ha spiegato tutto. Però ancora non ho capito come si devono legare questi panni.” disse Igea che aveva posato il bimbo sul letto per pulirlo con una spugna e adesso cercava di avvolgerlo di nuovo.

“Fai fare a me – disse Ottavia che si era nel frattempo avvicinata – ecco, si gira questo lembo qui sotto…”

Il bimbo sembrava guardare le tre ragazze preoccupato.

“Aspetta – disse a un certo punto Elda – l’ho visto fare una volta, forse il nodo lo devi fare qui sopra.”

“Un momento! Adesso mi ricordo – intervenne Igea – qui si deve stringere di più, ecco fatto!”

Il bimbo sembrava ben infagottato ma appena Igea lo sollevò dalle ascelle il panno gli si sfilo completamente lasciando il sederino nudo e le ragazze si misero a ridere.

“Siamo un disastro.” – disse Igea mentre Elda la guardava trasognata: era nobile ma quanta differenza con Ludovica e le altre ragazze conosciute sulle Madonie!

Anche l’altra ragazza, Ottavia, era molto simpatica, studiava pittura all’Accademia delle Belle Arti e aveva i capelli neri a caschetto.

A un certo punto entrò il Duca a distribuire un fiore d’ibisco a ognuna delle ragazze, baciando poi sua figlia:

“Siete tanto care ad aiutare la mia Igea – disse a Elda ed Ottavia – è ancora tanto debole.”

“Sto bene papà, non ti preoccupare.”

Dall’angolo della cucina intervenne Vittorio:

“Duca si fermi con noi a cenare.”

“Non si preoccupi questa volta sono io che cucino, non quel disutile di suo genero.” disse Pippo mentre tutti ridevano.

“Grazie ragazzi ma io preferisco la mia verduredda…”

Da quella sera Elda divenne amica delle due ragazze e accompagnò Giulio ogni volta che lui andava in villa. Lì ascoltarono insieme l’annuncio dell’armistizio firmato il 3 di agosto in una tenda dell’accampamento alleato nei pressi di Cassibile, in provincia di Siracusa. Lì il 6 agosto Vittorio si rallegrò per la pubblicazione del primo numero del quotidiano AMGOT “Sicilia Liberata”.

“E’ un primo segnale di normalizzazione.”

Qualche giorno dopo Elda incontrò il professore Gorla, il suo adorato professore di storia e filosofia.

“Elda, sembra che finalmente stia finendo! Speriamo di avere presto la libertà di stampa e le libertà politiche…”

Rimasero a parlare della guerra, dello sfollamento e dell’arrivo degli americani, e la ragazza finì col confidarsi.

“Sono contenta di tornare a Palermo ma mi sento disorientata, la scuola non c’è più e non so cosa farò adesso. Ora che tutto è cambiato non so qual è il mio posto.”

“Niente è più come prima, Elda. E’ la guerra che ci costringe a cambiare e voi ragazzi dovete crescere, non c’è scelta. Promettimi però che andrai all’Università.”

“Si, ci andrò, ma chissà quando riprenderà a funzionare.”

“A proposito, ci sono delle famiglie, a Villa Maggiore, che hanno dei marmocchi del ginnasio, sono preoccupati per il rientro a scuola dopo tanto tempo e mi hanno chiesto di organizzare delle ripetizioni, anche per tenerli impegnati. Io però non posso, se vuoi potrei proporre te e anche tuo fratello, a scuola si diceva che Giulio fosse un cannone in matematica.”

“Grazie, sarebbe un sollievo aiutare la mia famiglia, ma è sicuro che questo lavoro non interessi lei? Chissà quando riapriranno le scuole.”

“Io sto partendo, ormai ho deciso, raggiungo i compagni sull’Appennino Toscano.”

“Ma lei è pazzo! Lì si combatte ancora contro i tedeschi!”

“Appunto, cara Elda, l’Italia non è ancora liberata. Voglio fare la mia parte.”

“Ma è troppo pericoloso!”

“Io non ho famiglia, tocca a gente come me combattere. Cerchiamo di difendere i brandelli di dignità che ci sono rimasti.”

Il professore andò via e Elda rimase davanti alla panetteria dove s’erano incontrati, in piedi con i due filoni di pane in grembo, come una bimba sperduta nel bosco.

Lei e Giulio presero il lavoro a villa Maggiore, a due chilometri da Santa Flavia, in direzione di Casteldaccia. Andavano su e giù in bicicletta e la sera a Bagheria, alla villa del Duca, a trovare i loro amici.

…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.


[1] Allied Military Government of Occupied Territories

[2] Molti anni dopo il colonnello Poletti, ormai anziano, avrebbe detto durante una intervista: “Noi non avemmo nessun problema con la mafia. Nessuno ne sentì mai parlare. Mentre c’eravamo noi nessuno ne parlò mai…”.

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