Elda cap. 41, Il giornale

Con l’inizio delle scuole si tornò a Palermo e l’impatto con la città, i suoi rumori e il caldo ottobrino fu traumatico, si tornava però ad apprezzare il lusso del bagno in casa e a uno a uno furono riassorbiti dalla vita quotidiana, Ignazio dall’attività parlamentare all’Assemblea Siciliana, Giulio nelle sue attività editoriali, Teresa alla direzione della Casa della madre e del bambino al Papireto, Ottavia fra la vita politica e la cura dei bambini, mentre Elda dal 1952 faceva parte del Consiglio Comunale di Palermo.

L’unico che non riusciva a riadattarsi era Pietro, al quale fu naturale scaricare l’organizzazione della raccolta delle olive. Andava e veniva dalla campagna con la giardinetta e spesso si fermava a dormire. Impiantò l’orto e mise a dimora alcuni alberi da frutta, come aveva visto fare da bambino nelle campagne di Villalba e qualche anno dopo durante l’occupazione delle terre. Gli piaceva il contatto con la natura e l’esercizio fisico, si emozionava per il germoglio di un innesto ben riuscito, godeva nel misurare con lo sguardo gli spazi di quel podere e nel vedere le casse d’olive da mandare al frantoio. La vita in campagna lo assorbiva completamente e non ne era affatto contrariato.

La verità è che, a differenza degli altri, non aveva molta voglia di tornare al suo lavoro in Federazione, mentre gli piaceva sempre scrivere ed era uno dei corrispondenti dell’Unità.

In quell’anno il gruppo editoriale del partito aveva rilevato a Palermo un giornale del pomeriggio, nominando come direttore un giovane calabrese.

“Agli altri corrispondenti dell’Unità hanno chiesto di lavorare al nuovo giornale.” – disse un giorno Pietro a Elda.

“Forse a te non l’hanno chiesto perché hai dei ruoli in Federazione.”

“Veramente stavo giusto dicendoti che il direttore vuole vedermi giovedì, ha chiesto anche di te.”

“La precedente gestione aveva costruito da poco questo palazzo – disse quel giovedì il direttore, un trentacinquenne alto e magro, col naso aquilino e le spalle curve, introducendoli in un brutto edificio a cui si accedeva da una minuscola portineria, piena di pacchi di edizioni da mandare i provincia con la ferrovia. –  Il progettista aveva pensato all’ascensore ma si era dimenticato le scale, così le ha dovute inserire in un secondo momento.”

Più che altro era una sequenza di gradini triangolari che passavano dalla stanza dello sport, all’ammezzato, e facevano giungere al pianerottolo del primo piano.

“Qui a sinistra ci sono le telescriventi collegate con l’ANSA.” – indicando due grandi macchine che tintinnavano sputando fogli. Il direttore staccò un pezzo di carta per dare ai suoi ospiti l’emozione di una notizia di prima mano: dopo 13 anni di lavori inaugurata a Roma la prima linea della metropolitana. Pietro era ammirato, Elda stupita. Poi superarono una saletta da cui si accedeva a un lungo corridoio.

“Lì a destra c’è la stanza di redazione.” – disse il direttore indicando un grande stanzone a vetri da cui entravano bassi i raggi del sole, pieno di vecchie scrivanie di metallo, macchine da scrivere e grovigli di fili telefonici.

“E qui di fronte c’è la sala riunioni e il mio studio, c’erano dei pesanti mobili stile Umbertino che si sono portati via i vecchi proprietari e così ci abbiamo messo questi nuovi alla maniera svedese.”

“Belli.” – diceva Pietro

“Ai due piani superiori ci stanno l’archivio e gli uffici dell’amministrazione, mentre al basamento c’è la tipografia. Vi porto giù.”

Scesero al sotterraneo, sembrava un vero inferno dantesco, scarso di luce e con i muri intrisi di una fuliggine grigiastra, tutto era grigio: dai vetri alle macchine, dalle facce ai grembiuli. Al centro c’era una gigantesca rotativa che faceva un rumore martellante, che differenza – pensava Elda – da quella sorta di ciclostile con cui stampavano nel dopoguerra in un magazzino del Borgo Vecchio! In un angolo c’era una guardiola che sembrava quella di un portiere in cui stavano accalcati i correttori di bozze, con gli occhiali abbassati, lo sguardo attento e la matita incastrata sull’orecchio. Il direttore aprì quella porticina a vetri e li presentò a Elda e Pietro, questi alzarono lo sguardo dalle lenti sorridendo.

“A loro tocca l’incarico di correggere quello che sfugge all’attenzione e agli anni di liceo.”

Tutto intorno si aggiravano folletti ghignanti, gli unici a non avvertire quell’inquinamento acustico e ambientale.

Si spostarono verso un angolo dove stavano delle enormi tastiere di metallo.

“Queste sono le linotype… – disse il direttore mentre un loro addetto si era alzato in piedi per presentare orgogliosamente la sua macchina, un organo che produceva stampini di piombo divisi per rigo. – …ogni articolo mandato dalla redazione, viene poi ricopiato qui dai linotipisti. Il prodotto delle linotype viene poi ricomposto in modo da formare delle colonne, che vanno messe dentro queste cornici di legno che limitano le pagine.”

 “In redazione credono di scrivere un giornale – scherzava il direttore presentando loro il capo tipografo e alzando la voce per superare il rumore della rotativa – ma tutto quello che avviene al piano di sopra è solo una probabilità di giornale, qui i tipografi sono  capaci di rivoluzionare ogni cosa. Le matrici delle foto la fanno da padrone e per far posto a una di loro arrivata all’ultimo momento si può rimettere in discussione un intero articolo. Il nostro amico leva una, due, tre righe, un’intera colonna ed è capace di mantenere il senso del discorso. Certe volte non se ne accorge neanche il cronista…”

Risero mentre il capo tipografo incastrava righi di piombo in una cassetta di legno.

Ovunque stavano in piedi, a gruppi o da soli, dei fogli di cartoncino azzurrino che avevano in rilievo intere pagine di giornale.

“Cosa sono?” – chiese Elda.

“Questi sono flani[1], cioè matrici in positivoche si ricavano dalla composizione di ogni pagina. Quelle che vedete in quell’angolo sono le copie delle pagine nazionali ed estere che arrivano ogni giorno da Paese Sera[2]. Mentre noi produciamo le pagine locali e le inchieste.”

“E come arrivano i flani da Paese Sera?” – chiese Elda

“Con la nuova tratta aerea Roma-Palermo[3].”

“E se l’aereo non atterra per via del brutto tempo?” – Chiese Pietro?

“E’ un bel mal di pancia per tutti e capita piuttosto spesso – disse ridendo il direttore – in questo caso dobbiamo scrivere in fretta da noi le nazionali e le estere o farci dettare gli articoli per telefono, per fortuna abbiamo le telescriventi che ci mandano le notizie fresche.”

Elda prese un flano con due mani e lesse distintamente i titoli e alcuni brani di articoli.

“Su di questi si fa una colata di piombo, curvata per agganciarsi al rullo della rotativa, e finalmente si va in macchina, da mezzogiorno in poi.” – disse il direttore.

Risalirono al primo piano lasciandosi alle spalle il rototon – rototon – rototon della monumentale rotativa.

“Allora Pietro – fece il direttore appena accomodati nella sua stanza, buttandosi di traverso nella sua sedia girevole con una gamba a cavallo di un bracciolo e aspirando a lungo la sigaretta – ormai non è un segreto per nessuno che questo giornale è di proprietà del partito, cioè della stessa società che possiede l’Unità, Rinascita e Paese Sera. Nel nostro caso si vorrebbe evitare di renderlo esplicito, si può lavorare sull’opinione pubblica senza dare la sensazione di essere un organo di partito, proprio per una maggiore efficacia nel territorio… quindi in un certo senso io ritengo di avere le mani libere. Insomma lo dico chiaramente, non ho intenzione di farmi dettare la linea editoriale da questo o quel dirigente locale, saranno bene accolti, certamente, ma non accetterò intromissioni.”

Era chiaro che il direttore stava studiando le loro reazioni, Pietro seguiva con attenzione annuendo di tanto in tanto, Elda non muoveva un muscolo.

“Noi ci dovremo concentrare nella cronaca locale, parlando della mafia… senza sconti… con tutto quello che ne consegue… ma soprattutto fare inchieste, anche a puntate. Vedete è un giornale del pomeriggio, quindi i palermitani da noi devono avere qualcosa in più delle notizie che ricevono al mattino con la concorrenza, dobbiamo interessarli con l’approfondimento.”

“Mi sembra molto interessante.” – notava Pietro.

“Ho trovato in redazione dei giornalisti bravi e coraggiosi… infatti questo giornale fu chiuso sotto il fascismo… Ciò non di meno ho bisogno anche di voi corrispondenti dell’Unità, e specialmente di te Pietro, che da commentatore politico hai sempre saputo avere uno sguardo obiettivo. Non mi dispiacerebbe avere anche te Elda, so che in passato sei stata segretaria di redazione e ne stavamo giusto cercando una.”

“Ti ringrazio – fece Elda – ci penserò, ma devo considerare che ho un bambino di quattro anni e sono appena a metà del mio mandato al Consiglio Comunale.”

Pietro invece disse subito di sì. Ritornarono a casa a piedi in silenzio, quando finalmente Elda prese la parola:

“Pensavo che ci avresti pensato su, significa cambiare completamente la tua vita.”

“Forse cambiare vita è proprio quello che voglio e poi di questo stipendio abbiamo urgente bisogno, ricordati che non abbiamo ancora finito di pagare le spese per il Carrubo.”

“Sì, per carità, ma che vuol dire cambiare vita? Perché di questo non ne abbiamo parlato insieme? Tu hai un ruolo nel partito e il discorso che ci ha fatto questo direttore non lo condivido fino in fondo, non vorrei che si entrasse in contrasto con la federazione.”

“Elda, tu lo sai, te l’ho sempre detto che la mia vocazione è scrivere e leggere. E ti avevo anche detto che la mia missione dentro il partito era stata dettata dall’emergenza del dopoguerra. Per carità, mi ci sono dedicato con entusiasmo, ma più che altro per senso del dovere e sai che per questo ho affrontato dei sacrifici. Però da da qualche anno le cose stanno cambiando.”

“Pietro, che vuoi dire?”

“Che per alcuni lì dentro la politica sta diventando una professione, a volte purtroppo una carriera.”

“Ti riferisci a me? Vuoi dire che sono ambiziosa? Perché passo le notti al consiglio comunale per evitare che i democristiani, anziché restaurare le case bombardate, buttino cemento negli agrumeti della conca d’oro?[4]

“Per carità Elda, lo sai che non mi riferisco a te, anzi, tu sei proprio il contrario di quelli che si stanno facendo avanti in federazione. Mi riferisco semmai alla vicenda di quei due compagni mandati alle Frattocchie[5] e poi sbattuti al centro della Sicilia… solo perché erano entrati in contrasto col segretario regionale. Io ho mancato con loro, perché non sono riuscito a mediare. La verità è che non ho il carattere adatto, sono timido e non sono neanche bravo a parlare in pubblico.”

“E’ per questo allora che a uno a uno ti stai defilando da tutti gli incarichi dentro il partito?”

“Non è che lo faccio di proposito, semplicemente non mi faccio avanti, infatti l’unica cosa che mi riesce è la corrispondenza con l’Unità, dove però pagano una miseria. A questo punto passare con gli altri corrispondenti a una redazione a tempo pieno mi sembra la cosa più coerente.”

“Non lo so, mi sembra un tradimento, poi non m’è piaciuto molto questo puntualizzare la distanza dal partito, questo direttore non è neanche tesserato, non sappiamo quale sarà la sua linea.”

“Lo vedremo, intanto credo che scrivere con onestà, fare inchieste, occuparsi di mafia, soprattutto avere libertà di stampa… credo che questa sia una linea da condividere.”

“Io comunque, con tutto il lavoro che c’è al Consiglio Comunale, non mi vado a complicare la vita per fare la segretaria di redazione… quello lì neanche sapeva che io un tempo scrivevo, ho fatto anche un’inchiesta!”

Forse in Elda c’era il risentimento per non essere stata presa in considerazione come redattrice. Tuttavia quello che l’allarmava era la posizione di Pietro, probabilmente perché diceva cose vere e a Elda serviva più tempo che agli altri per giungere a vedere la realtà.  Così continuò il suo impegno dentro il partito fra la federazione e il Consiglio Comunale, dove le sedute andavano avanti fino a notte fonda, e certo questa vita era difficile da conciliare con la cura di un bimbo piccolo.

Il direttore prese a frequentare il Carrubo e le serate in via XX Settembre e si ambientò a Palermo tramite Pietro, Giulio, Elda, Ottavia, Ignazio e il loro giro di amici. A poco a poco diventò una persona di famiglia e Elda si rese conto che era stata prevenuta nei suoi confronti: era una persona intelligentissima e spiritosa, dal carattere deciso e con un certo intuito imprenditoriale. Soprattutto per suo merito il giornale stava riuscendo a mettere in relazione i lettori con i rappresentanti del partito negli organismi parlamentari. Ad esempio Elda era stata contattata varie volte dalla redazione politica per gli aggiornamenti sull’attività di Sala delle Lapidi[6], soprattutto sulle discussioni che stavano animando la formulazione di un nuovo piano regolatore, le avevano anche chiesto di scrivere un pezzo.

“Mi sono accorto che scrivi molto bene – le disse il direttore una sera – e mi piacerebbe che lo facessi da noi a tempo pieno. Del resto il Consiglio Comunale sta per essere sciolto.”

“Potrei comunque ricandidarmi, me lo hanno proposto…”

“Sei davvero convinta di continuare con questa vita? Da noi lavoreresti dalle sette del mattino fino alle due e mezzo del pomeriggio, sono orari più comodi per chi ha un bambino piccolo, poi in redazione c’è anche Pietro.”

“Può essere una comodità ma anche un problema.”

In realtà Elda moriva dalla voglia di accettare, si fece pregare per qualche altro giorno e poi disse di sì.

Sopì i suoi sensi di colpa nei confronti del partito con l’iscrizione alla sezione Lo Sardo, al Papireto, frequentata da altri colleghi del giornale. Stava di fronte al centro di assistenza diretto dalla zia Teresa e zia e nipote si ritrovarono insieme in alcune battaglie  per i bambini e le madri del quartiere.

Neanche un anno dopo il direttore propose a Ottavia di scrivere  per la pagina culturale. Così il giornale diventò un giornale di famiglia e i bambini iniziarono a prendere confidenza con una fabbrica magica, piena di gente convulsa e simpatica, il tintinnio delle telescriventi e il rumore assordante delle rotative, in una coltre di fuliggine plumbea e polvere di amianto che allora nessuno considerava pericolosa. Potevi incontrarvi Palmiro Togliatti o Elsa Morante, Leonardo Sciascia o Renato Guttuso, Carlo Levi o Francesco Rosi, perfino Louis Armstrong e Vittorio Gassman.

…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.



[1] Nel gergo tecnico giornalistico il flano era uno speciale cartone (un tempo fabbricato con impasto di amianto o asbesto, incombustibile) di colore azzurrino sulla cui facciata si riproduceva, nei minimi particolari,  il bassorilievo di una pagina. Poi il flano passava in una fonditrice che lo riempiva di piombo liquido. Grazie alla sua incombustibilità, il flano sopportava l’alta temperatura, il piombo si solidificava rapidamente e il semi-cilindro che ne risultava era pronto per essere applicato ai cilindri della rotativa per la stampa.

[2] Paese Sera iniziò nel 1949 come edizione pomeridiana del quotidiano Il Paese di Roma, fondato il 21 gennaio del 1948 per iniziativa del Partito Comunista Italiano.  Pubblicato dalla società GATE di Amerigo Terenzi, ex amministratore del quotidiano l’Unità, il giornale ebbe come primo direttore Tomaso Smith, Dagli anni cinquanta fino agli anni settanta ebbe sei edizioni giornaliere. Alla fine degli anni cinquanta il nome si trasformò definitivamente, anche per l’edizione del mattino, in Paese Sera, soppiantando la testata Il Paese.

Altri direttori furono Mario Melloni (dal 1957 ), Fausto Coen (dal 1963), Giorgio Cingoli (dal 1967), Arrigo Benedetti (dal 1975), Aniello Coppola (dal 1976), Giuseppe Fiori (dal 1979)  e Andrea Barbato ( dal 1982), durante la cui direzione i rapporti del quotidiano col PCI cominciarono a incrinarsi seriamente. Dopo vari tentativi di autogestione Paese Sera chiuse definitivamente nel 1994. Tra le firme ospitate da Paese Sera: Norberto Bobbio, Natalino Sapegno, Andrea Barbato, Elio Pagliarani, Umberto Eco, Gianni Rodari, Tullio De Mauro, Arturo Gismondi, Edoardo Sanguineti, Dolores Prato.

[3] A quel tempo esistevano le Linee Aeree Italiane (abbreviato LAI),  una compagnia aerea fondata nel 1946, per il riavvio dei servizi di linea regolari in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale. La proprietà era divisa fra la linea aerea statunitense Trans World Airlines (TWA) e l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Nel 1947 iniziò le operazioni di volo con i Douglas DC-3 dall’aeroporto di Roma Urbe verso le principali destinazioni italiane, fra cui Palermo Boccadifalco. Fu fusa con Alitalia nel 1957.

[4] La lista Garibaldi, che nel 1952 portò al consiglio comunale anche il giovane Pio La Torre, prometteva nel suo programma elettorale di trovare una soluzione per le “90.000 persone ammucchiate in una promiscuità sconcertante negli orridi catoi del Capo, dell’Albergheria, della Kalsa e del Borgo, negli abituri lerci dei Danisinni, della Guadagna e del Cortile Cascino, nelle seicento baracche umide addossate alle rovine del Gran Cancelliere, dell’ Origlione, del Borgo, del Ponte dell’Ammiraglio”. Dall’istituzione dell’autonomia della Regione Siciliana erano affluiti nella capitale circa 35.000 contadini mentre altri 40.000 palermitani avevano avuto la casa distrutta dai bombardamenti. L’emergenza abitativa era quindi in cima alla lista dei compiti della nuova amministrazione. Il gruppo parlamentare si trovò a fronteggiare una massiccia offensiva Democristiana che, anziché puntare sulla restaurazione e riqualificazione delle case e dei quartieri distrutti, mirava alla costruzione di una nuova Palermo, che avrebbe dovuto trovare posto nelle aree rurali, per lo più agrumeti, che contornavano Palermo e che costituivano quella che per secoli era stata denominata la “conca d’oro”. Era l’inizio del sacco di Palermo.

[5] La Scuola di Frattocchie, che aveva sede in una villa immersa nel verde dei Castelli Romani, al 1991 è stata la scuola dei dirigenti del Partito Comunista Italiano.

[6] Sede del Consiglio Comunale di Palermo

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