Elda cap. 50, Siamo donne

La zia Teresa andava col secolo e morì a 78 anni l’8 di marzo, come se avesse scelto il giorno adatto a lei, morì nella sua poltrona con un libro in mano e la sigaretta accesa nell’altra, che poi si era consumata da sola. Elda la trovò la sera, l’aveva cercata al telefono più volte di ritorno dal corteo femminista, poi non riuscendo a darsi pace, prima di andare ad infilarsi nel letto si era rivestita ed era andata a casa della zia con le chiavi di riserva. Chiamò subito Giulio, poi si sedette ad aspettarlo nella poltrona accanto, un seggiolone dalla spalliera alta che veniva dalla casa dei bisnonni, come il tavolino rotondo col ripiano di onice che stava fra di loro, quello in cui la zia teneva le caramelle da dare a loro bambini. Era serena, e in un certo senso lo era anche Elda, come Wanda se ne era andata senza soffrire, ma voleva guardarla ancora, fissarla nella sua memoria. Giulio arrivò prima del medico, le si sedette accanto in silenzio, fissando ora Elda ora Teresa, poi quasi meccanicamente aprì il cassetto del tavolino.

“Qua ci stavano le caramelle” – lo dissero quasi in coro

Invece ora ci trovarono un mazzetto di banconote da cinquantamila lire tenute da un elastico cotto dal tempo, con un biglietto che le avvolgeva su cui c’era scritto per il mio funerale.

“Nella sua vita ha solo dato e mai chiesto – disse Giulio –neanche l’incomodo di quest’ultima spesa.”

Otto giorni dopo fu rapito il segretario della DC Aldo Moro[1] e per alcune ore sembrò che l’Italia stesse precipitando in una guerra civile.

La sua prigionia fu lunga e straziante e nel frattempo si perquisivano le case di tutti gli studenti coinvolti in politica.

Ci fu una pesante perquisizione anche negli appartamenti del secondo piano e Davide e Ruggero furono portati in centrale per essere interrogati. Pietro li raggiunse con un cronista di nera e rimase ad aspettarli fuori dalla questura, Ignazio non ne sapeva nulla perché era a Partinico per una riunione.

Elda attese a casa fino a notte, preoccupatissima, poi finalmente sentì arrivare l’ascensore, ma era Davide da solo.

“Che succede a Ruggero, come mai sei solo?”

“Non ti preoccupare è solo che interrogano a turno. In questura c’è un macello – disse entrando a casa di Elda e sedendosi nel divano del salotto. – Io avevo finito e Pietro mi ha detto di venire a casa, anche per rassicurarti.”

“Ma che succede lì?”

“Ci sono un sacco di estraparlamentari… mentre aspettavamo mi dicevano che fanno perquisizioni nelle case degli studenti di tutta Italia, anche a sorpresa. Bussano, e se non c’è nessuno scassano la porta facendo finta che si tratti di un furto, per non dovere firmare il mandato di perquisizione.”

“Ma lo possono fare?”

“No, ma lo fanno lo stesso e comunque questo nuovo decreto legge non è uno scherzo, possono intercettare e interrogare senza avvocato a loro piacimento.”

“Noi purtroppo ci siamo abituati. Ma in Sicilia che cercano?”

“Elda, Moro potrebbe essere dappertutto.”

“Questo è vero, ma non hanno strumenti migliori per trovarlo?”

“Non si capisce neanche quanta voglia ci sia di trovarlo, con le lettere che scrive… comunque non ti preoccupare per Ruggero, lui ormai non è attivo da tanto tempo, piuttosto sembravano interessati ad Emanuele.”

“O mamma mia, ti hanno fatto domande su di lui?”

“Sì.”

“Ma che t’hanno chiesto?”

“Volevano sapere dov’è… perché è andato a Parigi… capisco che la cosa possa insospettire perché proprio a Parigi ci vanno i latitanti.”

“Ma gli hai spiegato che lui abita lì perché è un ricercatore?”

“Certo, ma loro questo lo sapevano già.”

“E allora? C’è da preoccuparsi con Emanuele?”

“No. Lui non c’entra niente.”

“Ma tu hai mai capito che cosa gli era successo quando andò  via da Torino?”

“Sì, a me ha raccontato tutta la storia.”

“E allora?”

“S’è trovato in mezzo, era preso da una ragazza.”

“Allora aveva ragione Ignazio che c’entrava una ragazza.”

“Sì, ma non è come sembra. Lui aveva cominciato ad avere una storia con una tizia… ma niente di serio. Lei conviveva con un compagno, ma all’inizio a Emanuele non importava dell’altro… sai com’è… amore libero… poi però è rimasto preso e ha iniziato a tormentarla perché voleva che lasciasse quell’altro, che andasse a vivere con lui. Invece lei prendeva tempo e non si decideva mai, e lui iniziò a essere geloso.”

Elda lo guardava senza capire dove voleva andare a finire quel discorso.

“Ecco, poi Emanuele s’è incazzato e hanno litigato, urla, strepiti e lei, piangendo, gli ha detto che a quello proprio non lo poteva lasciare.”

“Che significa?”

“Perché l’altro, quello con cui lei viveva… mentre stavano insieme era diventato clandestino.”

“Come?”

“Faceva parte della colonna torinese… anche se non era uno che sparava, dice che diramava i comunicati, sai quelli che la polizia trova nei bidoni della spazzatura?”

“Oh mamma mia!”

“Ma la cosa peggiore è che la loro storia era finita da un pezzo, lei non è che continuava a stare con lui  perché ci voleva stare, era costretta… dovevano fare finta di stare insieme altrimenti lei sarebbe stata in pericolo.”

“Ma perché?”

“Perché se i compagni di lui avessero sospettato che si erano lasciati, avrebbero considerato lei inaffidabile… era una che sapeva e avrebbe potuto parlare. Lo capisci? Una bella ragazza, che frequentava la facoltà, figlia di un professore universitario, rovinata.”

“Ma che storia orribile!”

“Infatti! Emanuele doveva essere stravolto… m’ha detto che la sera stessa ha lasciato tutto e s’è infilato su un treno per andare in Toscana da Claudio.”

”Ma Emanuele a quello l’ha mai visto?”

“Sì, gli era capitato di vederlo.”

“La sola idea che qualcuno di noi possa avere visto di presenza uno di quei mostri mi fa venire i brividi, è la prima volta che mi rendo conto che sono persone, che esistono davvero.”

“E sì, esistono e sono in mezzo a noi, magari non qui a Palermo, ma a Napoli per esempio sì…lì non scherzano.”

Dopo un poco arrivarono Pietro e Ruggero, quest’ultimo era furibondo, non disse una parola e si andò a chiudere in camera sua. Nei giorni che seguirono si preoccupò che non si sapesse in giro del suo interrogatorio, soprattutto nel suo studio legale, e non si occupò più di politica.

Il sequestro di Aldo Moro, che era il segretario nazionale della Democrazia Cristiana, metteva alla luce quel processo di avvicinamento fra il suo partito e il PCI, allora guidato da Enrico Berlinguer, che qualcuno iniziava a chiamare “Compromesso Storico”. Il Partito Comunista stava cambiando e rompeva finalmente i vincoli con l’Unione Sovietica, al doloroso prezzo della rinunzia degli aiuti economici che in passato erano stati elargiti in modo più o meno velato. Così operò dei tagli scegliendo in modo non sempre logico; una delle vittime fu ad esempio il giornale del pomeriggio palermitano, considerato dai dirigenti romani una zavorra. Quei burocrati di partito non capivano cosa volesse dire pubblicare un giornale in un territorio di frontiera: combattere apertamente la mafia e le sue collusioni col mondo imprenditoriale rendeva quasi impossibile la raccolta pubblicitaria fra le aziende isolane ed era palese che una testata non poteva reggersi con le sole vendite.

Poi non si considerava affatto il valore politico di quel foglio del pomeriggio, che da venticinque anni testimoniava la vita della città, la determinava e, cosa non indifferente, portava consenso al partito e alla sinistra tutta. Aveva raccontato le diverse fasi della riforma agraria, l’uccisione di Enrico Mattei, il milazzismo, l’otto luglio ‘60, la strage di Ciaculli, il sacco di Palermo, il terremoto del Belice, la strage di viale Lazio, senza dare tregua alla mafia a cui aveva dedicato delle memorabili inchieste a puntate, tanto che questa si era vendicata con un attentato nel ‘58 e l’eliminazione di tre cronisti.

Infine, il giornale non aveva mai dato tregua alla parte collusa della Democrazia Cristiana, collezionando una lunga serie di denunce penali e anche suggerendo al Parlamento l’istituzione di una commissione antimafia; certo in tempo di compromesso storico questa posizione diventava scomoda.

Pietro da qualche mese andava e veniva da Roma cercando invano di perorare la causa del giornale, ma non venne ascoltato.

Bisognava drasticamente ridurre le spese e lui non ci dormiva la notte: col direttore dovevano decidersi a un ridimensionamento del personale, mandare via colleghi che in quegli anni erano stati come fratelli. I professionisti sarebbero stati garantiti con un anno di indennità di disoccupazione dall’ordine dei giornalisti, ma erano proprio le persone più indispensabili, quelle che avevano fatto la storia del giornale e di cui proprio non si poteva fare a meno. Poi c’era una pletora di precari, ragazzi che avevano fatto tutta la trafila del praticantato e ora erano a un passo dagli esami per diventare professionisti. Poi c’erano quattro croniste fra i quaranta e i cinquant’anni,  piuttosto brave, che erano tornate al lavoro dopo aver cresciuto i figli e che non sarebbero mai potute giungere a un minimo pensionabile.

Ecco, le direttive della società editoriale del partito erano che la scure si potesse abbattere per prima su di loro, con la giustificazione che, essendo sposate, il loro stipendio non costituiva l’unico reddito della famiglia.

Elda, che da tempo era un’attivista dell’UDI[2], sbatté i pugni sul tavolo minacciando di licenziarsi insieme alle altre.

Il direttore cercò di mediare perché non voleva fare a meno di lei. Pietro sarebbe dovuto riuscire a imporsi a Roma ma il fatto che si fosse messa in mezzo sua moglie non fece che complicare le cose. Così si arrivò a una tumultuosa assemblea di redazione in cui furono resi noti i licenziamenti delle quattro redattrici e di alcuni biondini. Sia il direttore che Pietro diedero delle giustificazioni inconcepibili per un giornale di sinistra che aveva prodotto numerose inchieste, alcune a firma di Elda, sulla condizione della donna in Sicilia. Le redattrici oggetto del licenziamento risposero in modo molto pesante ed Elda, che da caporedattrice avrebbe dovuto prendere le parti di Pietro e del direttore, annunciò platealmente le sue dimissioni abbandonando l’assemblea come una furia.

Si sentiva tradita tre volte, dal partito, dal giornale e da Pietro. Andò a casa, riempì un sacco di vestiti, prese la Renault 4 di Ruggero e andò a dormire al Carrubo.

Finita l’assemblea Pietro la raggiunse con la loro 127, supplicandola di tornare a Palermo. Elda non lo fece neanche entrare e lui si rassegnò a dormire in macchina. L’indomani mattina bussò di nuovo alla porta.

 “Se proprio non vuoi stare con me, lascia che sia io a restare qui e tu vai a casa dai ragazzi, ma prendi la 127 perché quella R4 non l’hai mai saputa guidare.”

Elda, rispondendo a monosillabi, caricò le sue cose nella 127 e tornò a Palermo, lasciando Pietro lì da solo.

Giulio capitava spesso a dormire al Carrubo, la sera con Pietro si cucinavano due spaghetti, chiacchierando e bevendo davanti al camino. Poi andava in città a trovare Elda.

“Noi puoi fare sul serio, non è con Pietro che ce l’hai.”

“Non è vero, è il suo tradimento quello che mi pesa di più.”

“Di’ pure che Pietro è pessimo nelle mediazioni, ma non che l’abbia fatto per farti un torto.”

“Di’ pure che Pietro non ha capito nulla di me, comincio a sospettare che non abbia mai letto i miei servizi sulle donne.”

“Ma che dici?”

“Ma ti sembra che al giorno d’oggi si possano fare queste discriminazioni? Motivandole in quel modo retrivo… e ti parlo di giornaliste bravissime che erano pure pagate una miseria, mentre si tengono in redazione uomini che ancora fanno errori di sintassi!”

“Ma era pressato, di’ che ce l’hai col giornale, col partito.”

“Stanno abbandonando un giornale che lavora sull’opinione pubblica meglio di tutte le sezioni cittadine messe insieme…”

“…senza essere un organo di partito, questo è il punto, stava diventando scomodo, non allineato, un crocevia di intellettuali che teneva i politici alla giusta distanza..”

Elda annuiva colma di rabbia.

“Ora cosa vuoi fare della tua vita? – riprese Giulio – Stai passando alla concorrenza?

“Quegli sciacalli! Già mi hanno telefonato e gli ho sbattuto il telefono in faccia! Intanto scriverò questa storia su Noi Donne[3], poi non lo so… per un anno ho l’indennità di disoccupazione.”

“Scrivi un libro.”

“Ti sembro così disperata?”

“No, ma non sei mai stata senza fare niente. Sul serio, scrivi un libro inchiesta, te lo pubblico io, possiamo anche avviare una collana. Guarda che clamore sta avendo quello della Cederna[4] sul caso Leone.”

“Ma io non sono la Cederna.”

“No, ma sei brava e così mi daresti una mano, potremmo inaugurare una collana… parlare di mafia, del ruolo delle donne in Sicilia nelle lotte contadine, per esempio attraverso la cronaca del processo di Catanzaro.”

“In effetti ho già tanto materiale.”

“E allora mettiti al lavoro. Sai che in casa editrice ho preso anche Emma?”

“Sul serio? E a fare che?”

“Dario mi aveva detto che si era messa a fotografare e l’ho chiamata dicendole di portarmi i suoi scatti, ne ho presi due per le copertine della nuova collana… poi le ho detto di iniziare a venire ogni giorno… così… sta lì, impara il lavoro dagli altri… da  Dario.”

“Sei generoso.”

“Ha gusto, sai?”

Elda piazzò la sua lettera 22[5] sull’orrenda scrivania con le zampe di leone, nello studio di Pietro, tanto lui in quella stanza non ci aveva mai messo piede. Si diede degli orari di lavoro e iniziò a riempire tutti i ripiani di quella stanza di fogli, documenti e vecchie annate del giornale. La stesura del libro le occupava le giornate e riusciva a non pensare a lei e Pietro, soprattutto a distrarsi dalla struggente nostalgia per quella redazione che aveva segnato vent’anni della sua vita.

Dopo due mesi la signora Emma ebbe un improvviso malore, soffriva da tempo di cuore e aveva già avuto un intervento. Ruggero corse a chiamare suo padre in campagna e nel frattempo arrivò il medico che prescrisse delle analisi e un elettrocardiogramma. Si scoprì così che più della metà della funzionalità cardiaca era compromessa e che si trattava di tenerla al massimo del riposo, in quelle condizioni non sarebbe durata più di due mesi. Pietro si trasferì da sua madre al piano di sotto, Ignazio stava quasi sempre lì ed Elda e i ragazzi si davano i turni. Emma si rivelò efficiente e affettuosa, era l’unica che riusciva a farla mangiare, la lavava, la cambiava e suo padre ne era ammirato.

Man mano che la situazione si aggravava Pietro ed Elda si avvicinavano lentamente l’un l’altra, ma lo facevano a modo loro, prolungando la stessa comunicazione di sensi che aveva caratterizzato il lungo corteggiamento di gioventù. Prendevano decisioni concordemente ed erano sempre accanto sul letto della moribonda, anche nel momento in cui la signora Emma spirò, poi ricevettero le visite insieme e si sedettero a fianco al funerale.

Di ritorno dal cimitero Elda prese Pietro per un braccio, guardandolo negli occhi.

“Andiamo a casa nostra.”

E di quella separazione non si parlò più.

Davide e Maddalena volevano andare a vivere da soli, anche se non avevano molti soldi, lui aveva un contratto come assistente e lei aveva delle supplenze. L’enorme casa dei nonni era rimasta vuota e si decise di dividerla in due, in modo che la parte di Ignazio potesse andare ai ragazzi. La parte che spettava a Pietro fu invece data in affitto.

A Ruggero invece fu offerto di entrare come associato in uno studio legale romano, col quale aveva collaborato per una causa che riguardava un’azienda siciliana. Elda lo accompagnò a Roma dove trovarono una casa graziosa a Borgo Pio, costava molto ma Ruggero se lo poteva permettere: le sue entrate erano già considerevoli ma le parcelle di quello studio erano a dir poco astronomiche.

 Elda finì la prima stesura del suo libro sul processo di Catanzaro e lo diede da leggere a Giulio.

“Un ottimo lavoro – disse lui appena finì di leggere la bozza – devo dire che riesci a rendere interessante una materia tanto ostica, c’è da rendere più fluida la parte centrale e fare qualche correzione ma penso che in aprile potrebbe andare in stampa.”

Durante gli incontri con Giulio alla casa editrice, Elda vedeva Dario andare e venire indaffarato dalla tipografia, dare disposizioni, confabulare con Giulio, mentre Emma ora spostava delle casse, ora ordinava i manoscritti in coda per la lettura, ora andava ad aprire la porta, sempre con l’aria di quella che non sapeva dove mettere le mani.

…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.



[1] La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, l’auto che trasportava Aldo Moro (presidente della Democrazia Cristiana) fu bloccata in via Mario Fani a Roma da un commando delle Brigate Rosse, che uccise gli uomini della scorta e sequestrò Moro. Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Aldo Moro fu sottoposto a un processo politico dal Tribunale del Popolo istituito dalle BR e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu ucciso. Il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana.

[2] L’Unione Donne Italiane (UDI) si costituì ufficialmente il 1º ottobre 1945 riunendo i “Gruppi di difesa della donna” per creare la più grande organizzazione per l’emancipazione femminile italiana del dopoguerra.

[3] Noi donne, rivista mensile italiana fondata nel 1944, è stata organo dell’Unione Donne Italiane fino al 1990.

[4] Nel 1978 uscì il libro di Camilla Cederna “Giovanni Leone. La carriera di un Presidente” che vendette oltre 600.000 copie e che fu determinante nella decisione di Leone di dimettersi da capo dello Stato.

[5] La Lettera 22 è una celebre macchina per scrivere meccanica portatile realizzata dalla Olivetti.

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