Ombelico del mondo?

Nella lunga attesa del giorno di insediamento del prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America, io e mio marito (nato, e cresciuto fino alla maggiore età a Washington D.C.) abbiamo deciso di seguire su Amazon Prime le sette stagioni della serie TV The West Wing, che narra le vicende dei collaboratori di un ipotetico inquilino democratico della Casa Bianca. L‘ala ovest è infatti quella in cui risiedono gli uffici dello staff presidenziale.

Inutile dire che quella di quest’anno sarà una cerimonia carica di tensioni e aspettative: il mondo si libererà di un pazzo, che però andandosene continuerà a destabilizzare le istituzioni democratiche del suo paese.

Il vero interrogativo è quanto queste istituzioni siano salde e democratiche.

Ecco perché consiglio la visione di questa serie tv un pò datata: la prima stagione infatti è del 1999, durante il secondo mandato di Clinton, mentre la settima stagione è stata girata durante la campagna elettorale che ha portato all’elezione di Obama. La serie ha la visione edulcorata di una ideale amministrazione democratica e, come tante produzioni americane, eccede un pò in retorica. Perché allora la consiglio? Gli attori sono bravi, i caratteri simpatici e molto ben delineati (tranne una first lady troppo sopra le righe) i dialoghi e la sceneggiatura strepitosi, tutto condito da una leggera ironia. Soprattutto, essendo stata scritta con la consulenza di alcuni reali membri dello staff della Casa Bianca, questa serie ci apre gli occhi su molti meccanismi del potere, riti, bigottismi, genialità e anche tanta buona politica.

Badiamo bene, quello che per un democratico americano è un Presidente ideale a noi non piacerebbe molto: si divide fra cerimoniali che farebbero invidia alla Regina Elisabetta e incursioni nella sotterranea stanza dei bottoni dove, quasi a ogni puntata, invia missili e bombardieri in qualche parte del mondo. Quel che poi a noi suona strano è il continuo definirsi capo del “mondo libero” (the free world), una situazione geografica che ha per ombelico l’ala ovest della Casa Bianca (the West Wing) e si propaga in varie nazioni satelliti compresa la nostra, la cui storia e cultura millenaria ha il solo ruolo di fornire parabole al saccente Presidente interpretato da Martin Sheen.

Ma è proprio questa visione degli equilibri mondiali, che riflette il credo dell’americano medio-alto, che dimostra quanto sia utile conoscere meglio i meccanismi di un sistema di potere che tenta di condizionarci da decenni; anche per capire i motivi della sua progressiva implosione, il cui esempio è ciò che abbiamo visto il 6 gennaio del 2021 a Capitol Hill.

La serie è stata ideata nel corso di una amministrazione democratica, ma già dalla seconda stagione il mondo cambiava con l’elezione di George W. Bush e la tragedia delle torri gemelle, fatti che gli sceneggiatori hanno deciso di non raccontare, continuando l’immaginaria e consolatoria utopia di un elettore democratico.

Ad un certo punto si ha a che fare con terroristi e Stati Arabi dai nomi farlocchi che avvicinano la narrativa alla realtà, ma ciò che conta è la descrizione compiaciuta di un gruppo di teste brillanti, gli uomini e donne dello staff del Presidente, dispensatori di ottime speculazioni filosofiche su un mondo virtuoso, anticipando temi che ora rappresentano la nostra attualità, quali il matrimonio fra coniugi dello stesso sesso, la privacy nella gestione dei dati, la procreazione assistita.

Una scena dalla prima stagione di The West Wing

Lo staff è composto da Toby, ebreo newyorkese, Josh, ebreo del Connecticut (c’è una leggera differenza ma significa che sono due teste molto brillanti), Sam redattore dei discorsi del Presidente, Claudia Jean portavoce e Leo, braccio destro del capo, un pò servo sciocco e molto guerrafondaio. L’intelligenza dei primi quattro si manifesta in dialoghi serrati e brillantissimi mentre la camera li precede lungo i corridoi dell’ala ovest, in una tecnica di ripresa chiamata per l’occasione “walk and talk“; la gran parte della narrazione infatti avviene in interno, quasi fosse una piece teatrale, pazienza per me e mio marito che speravamo di rivivere a lungo i luoghi dell’amata capitale.

I protagonisti sono i prodotti di quelle prestigiose Università che in America giocano il ruolo di caste aristocratiche, mentre la Casa Bianca appare come una residenza reale, con la sua etichetta, i suoi decori e le sue cene di gala. Per correttezza politica, però, nella serie c’è posto per un segretario di colore e per l’alternanza con un Presidente ispanico (il bellissimo Jimmy Smits).

Devo dire che non capirò mai perché un Presidente degli Stati Uniti debba necessariamente avere una moglie (solo maschi, niente single e tutti etero?) e perchè questa first lady, non eletta, debba svolgere delle funzioni ufficiali e beneficiare di uno staff. Neanche capisco perché il Presidente di uno stato laico debba giurare sulla Bibbia e perchè debba farlo alla presenza di moglie e figli. E perché poi ogni discorso presidenziale deve terminare con God bless America? (Dio benedica l’America)

La serie fa luce su alcuni dettagli che in questo momento costituiscono la cronaca quotidiana, il 25simo emendamento, il farraginoso meccanismo elettorale, le competenze delle due camere del Congresso, le relazioni fra Casa Bianca e Parlamento. Ha anche risposto a interrogativi minori che non osavo chiedere a nessuno, uno per tutti: come avviene lo scambio di due famiglie negli appartamenti della Casa Bianca, durante le poche ore della cerimonia di giuramento a Capitol Hill? Me lo ha chiarito l’ultima puntata della settima stagione, quando il Presidente uscente e quello eletto si avviano in una processione di auto a Capitol Hill, seguiti dalle due first ladies. In quel momento nella residenza si materializza un esercito di maggiordomi, valletti e addetti alle pulizie, che svuotano armadi per riempirli di altra biancheria, sostituiscono quadri e foto di famiglia, cambiano arredi, sopramobili, lenzuola, fodere e cuscini, insomma si cambia aria per il nuovo mandato.

Mi chiedo quindi come avverrà la transizione del 20 di questo mese. Di sicuro Donald Trump non salirà nella stessa auto di Biden, e a quanto pare neanche parteciperà alla cerimonia. Allora uscirà dalla porta di servizio? Sarà trascinato fuori dagli agenti della security? Disturberà in qualche modo una cerimonia da cui si sente escluso? E davvero sarà messo in atto l’intero cerimoniale che prevede la passeggiata di Presidente eletto e first lady lungo la Pennsylvania Avenue, dal Campidoglio alla Casa Bianca? E davvero si terranno un certo numero di balli di gala offerti dai finanziatori? Non era il caso di approfittare della contingenza pandemica per riportare il giuramento alla sua essenzialità?

Ancora mi rifaccio alla serie televisiva per riferire una battuta del Presidente eletto che, di fronte allo sciorinamento delle varie tappe del cerimoniale del 20 gennaio, da parte di un comitato apposito, interrompe chiedendo: “Ma quando si comincia a governare? Sono quasi tre mesi che aspetto.”

Appunto, quand’è che l’America sarà governata? Intendo dire al suo interno.

Il fatto è che ci stiamo troppo concentrando sull’urgenza di strappare Donald Trump dalla Casa Bianca, cosa assolutamente legittima dati i poteri smisurati che stanno poggiati sul suo instabile cervello. Ma quando questo sarà fatto, speriamo con il minor danno possibile, i ridicoli personaggi che lo hanno votato, osannato, e seguito nel suo “armiamoci e partite” contro Capitol Hill, che da lui ora si sentono traditi o quantomeno non rappresentati, non spariranno certo dal panorama politico americano il 20 gennaio, perchè c’erano prima di Trump. Sono una componente sociale fondativa, garantita dal secondo emendamento, alimentata dalla retorica del mondo libero, aizzata dalla orwelliana ricerca di un nemico fuori dai propri confini, foraggiata dalla garanzia del petrolio e carbone a basso costo, ignorante, razzista e maschilista.

Biden non è il mio Presidente ideale, ma è democratico e ha selezionato un ottimo gabinetto, sarà costretto a operare in tempi strettissimi quella transizione che sarebbe dovuta durare due mesi e mezzo, che significa l’insediamento negli uffici, un numero cospicuo di nomine e la raccolta dei cocci seminati dal suo predecessore. Poi dovrà governare una Unione di Stati sempre più diversi fra loro, fra i quali inizia a serpeggiare il desiderio di secessione.

Buona fortuna Presidente Biden, il mondo democratico la osserva con apprensione.

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