Site icon Maria Adele Cipolla

Il negozio sotto casa

Nel sentimento comune, l’omicidio del negozio sotto casa verrà ricordato con un solo assassino: l’e-commerce. In realtà la romantica botteguccia vive la sua persecuzione da secoli, se ne occupò nel 1883 Émile Zola con il romanzo Au Bonheur des Dames, dove descrisse un grande magazzino che divorava le piccole botteghe della città.

Da allora la lotta è stata dura, perché sono arrivati i mega store, i centri commerciali, i franchising, gli show room. Si sono aperti e chiusi, nel giro di pochi mesi, punti vendita considerati alla moda di cui però nessuno sentiva il bisogno, e il susseguirsi di insegne diverse nello stesso locale ha determinato un dispendio economico e ambientale enorme; pensate infatti agli arredi altamente inquinanti che stravolgono i negozi ad ogni cambio di attività. In questi anni pochi si sono lamentati, mentre invece adesso, con l’implementazione del commercio online dovuto alla pandemia da Covid 19, tutti stanno a deprecare l’e-commerce.

Io non sto a difendere l’acquisto online ad ogni costo, anche se devo confessare che me ne avvalgo, la mia è una presa d’atto di una realtà che si trasforma per automatismo e che non riusciremo ad arginare.

L’antica pasticceria Sacchiero a Palermo

Generalmente sono nostalgica, non dimenticherò mai la pasticceria Sacchiero di Palermo dall’insegna Liberty e dai deliziosi bon bon, ma per il resto preferisco cavalcare i cambiamenti della storia piuttosto che farmene travolgere. L’e-commerce ha degli indubbi argomenti a suo favore che finiranno per prevalere sul negozietto sotto casa, e l’emergenza del covid 19 sta dando il colpo di grazia ad alcune saracinesche che eroicamente erano rimaste aperte. Tutta la mia solidarietà a costoro, alcuni dei quali si stanno rivolgendo alle grandi piattaforme di e-commerce per smaltire la merce invenduta ma, ahimé, esaurite le scorte non so quanti sopravviveranno. Resterà una maggioritaria fetta di commercio in cui la produzione sarà direttamente collegata all’e-commerce, probabilmente attraverso un numero ristretto di piattaforme (Amazon in testa, ma ce ne sono altre)

Le vittime di questa transizione saranno tante, e per queste possiamo solo studiare delle strategie di contenimento del danno. Purtroppo avremo una moltitudine di disoccupati fra commessi e piccoli esercenti, poi i sindacati si dovranno occupare della tutela dei diritti dei lavoratori dell’e-commerce, mi preoccupano meno i proprietari di locali commerciali (alcuni dei quali avevano speculato un pò troppo), saranno costretti a riconvertire in abitazione abbassando i prezzi; infine, bisognerà affrontare il grave problema urbanistico che coinvolgerà le nostre città. Senza negozi le strade saranno buie, insicure e solitarie, forse la vitalità sarà rimpiazzata da tutta la moderna varietà di esercizi legati alla ristorazione, ma con probabili rischi di ordine pubblico.

Quale potrebbe essere il negozio del futuro però ce lo suggeriscono alcuni indizi per il momento denunciati in negativo, uno per tutti: la gente ormai frequenta i negozi per vedere la merce, toccarla, indossarla, e poi corre a casa a comprarla online, dove trova l’assortimento di colori, taglie e varianti che i negozianti non riesccono a garantire, probabilmente anche a minor prezzo, perché quella merce non ha il ricarico di affitto e stipendi. Ai negozianti, giustamente avviliti, vorrei far notare che questa pratica mette però in luce due cose che l’e-commerce non può dare: il contatto con la merce e l’esperienza umana, ed è su queste che bisogna puntare per riconvertirsi. I primi tentativi sono stati fatti con successo, con mercerie che sperimentano la socializzazione del lavoro creativo, offrendo corsi di cucito, maglia e uncinetto, librerie che ospitano circoli letterari e corsi di scrittura, negozi di abbigliamento in cui puoi provare l’abito in camerino e poi ordinarlo su misura. Perché un altro aspetto che io giudico positivo è l’imposizione della produzione on demand, nell’editoria ma anche nell’abbigliamento, e questo è un gran risparmio ambientale perchè si evitano montagne di merce invenduta destinate alla discarica.

In questo modo il futuro si sovrappone al passato.

Anni fa visitai una casa-museo nel vecchio Far West a Steamboat Springs, fra le montagne del Colorado, e mi stupì nel trovare una confezione di matassine di coton perlé, in una scatola dei Grandi Magazzini Printemps di Parigi identica a quella trovata a casa della mia bisnonna a Villalba, in provincia di Caltanisetta. Cosa accomunava un piccolo paesino al centro della Sicilia a un villaggio del vecchio west? La risposta era “la vendita per corrispondenza”: ai tempi in cui Émile Zola scriveva il romanzo Au Bonheur des Dames, i grandi magazzini di Parigi erano capaci di collegare la Sicilia al vecchio West e ad altri innumerevoli avamposti sperduti nel globo, con la forza di cataloghi tradotti in molte lingue, illustrati in bianco e nero da abili incisori, che perfino contenevano campionature di tessuti e filati. I luoghi di promozione e smistamento di questo commercio erano gli Empori di paesini e villaggi. Lì ci si incontrava, si redigevano ordinativi, si riceveva la merce scaricata dalla diligenza, dal vagone merci del treno e poi dalla corriera. E questo pacco tanto aspettato, al punto da costituire quasi un regalo, poteva contenere una macchina da cucire, una carrozzina da neonato, una sottana ricamata, seta e cotone da ricamo. Ora, non vi sembra che l’e-commerce sia semplicemente la pronipote della vendita per corrispondenza? Non vi sembra che abbia ereditato molto di quel fascino?

A questo punto il negozio del futuro dovrebbe essere molto simile all’emporio del passato, un punto di smistamento del commercio, in cui scegliere, stilare ordini da un computer, riceverli, adattare la merce appena arrivata alle proprie esigenze (ad esempio con modifiche sartoriali), ma anche un luogo dove incontrarsi e svolgere insieme alcune attività.

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