14 settembre 2002

Ruggero

14 Settembre 2002

Roma, quartiere Vigna Clara:

Il pomeriggio di sole stava scivolando via senza essere stato sfruttato a pieno, a questo punto scivolava l’intero sabato e probabilmente, senza che se ne fosse accorto, l’intero week-end. Non era da lui arrivare alla fine della settimana senza nulla di organizzato. Ma aveva inspiegabilmente declinato ogni proposta, neanche volendo considerare il fatto che si trattava dell’ultimo week-end estivo. In più si era negato ai suoi genitori, a questo punto mentendo, perché nessun programma precedentemente organizzato poteva giustificare l’indisponibilità ad incontrarsi con loro dopo tanti mesi.

Il senso di colpa stava investendo anche il suo salutismo perché l’unica cosa programmata, un doppio di tennis, era saltata, anche se non per la sua indisponibilità bensì per quella di uno dei partecipanti: “quel cretino aveva deciso di unirsi alla schiera degli imbecilli che stava affollando piazza san Giovanni!”

Aveva cercato di porre rimedio al tedio che lo stava pervadendo, immergendosi in un’oretta di allenamento con i propri attrezzi ginnici. Aveva iniziato con un po’ di corsa sul tapis-roulant, ma sarà stato il caldo o il disappunto, il fatto era che non riusciva a fare più di venti minuti di corsa in salita senza sentirsi sfinito, svogliato e privo di qualsiasi entusiasmo. Stava sudando in modo indecoroso e non riusciva neanche a trovare l’asciugamano. Aveva voglia di rallentare la velocità ma poi non ce l’avrebbe più fatta a riprendere. Nella settimana appena trascorsa non era riuscito ad allenarsi e questi erano i risultati! Il tennis sarebbe stato certamente più divertente, ma quella manifestazione, che cazzo ci andavano a fare tutti?

C’era una storia della quale lui e i suoi fratelli ridevano da bambini: “L’orribile pupazzo di Pierino”. Era in quel sadico libro dal titolo “Pierino Porcospino” che sua madre aveva avuto da bambina, la sua storia aveva per protagonista sempre un Pierino ed in fondo era la meno truculenta di tutte: Pierino odiava un pupazzo e cercava di disfarsene in tutti modi, ma per una serie di equivoci il pupazzo ritornava sempre da lui… poi finiva che Pierino ci si affezionava… non capiva perché gli stava tornando alla mente questa storia.

In realtà era quello che gli stava succedendo: aveva un pensiero che voleva scacciare e che ritornava sempre in mente: sarà stata quella dannata manifestazione? In effetti non riusciva a pensare ad altro… suo Padre che poteva sentirsi male… e quell’impiastro della signora Torrini che voleva che si appellasse alla Cirami per suo marito… e gli telefona ogni due e tre…

Ma poi – continuava a rimuginare fra se e se – perché da vecchi diventano così permalosi? Cosa dovrei fare alla mia età, chiedere scusa a papà? Mi ci ha portato lui a rispondere a quel modo. Credono che non abbia sempre notato il loro disprezzo per ogni causa che vincevo? Ma che ho mai difeso i mafiosi io? Poi questo francescanesimo, questo cattocomunismo… di norma i genitori dovrebbero essere orgogliosi della carriera di un figlio, e invece sempre a farmi sentire a disagio per le mie automobili, le cravatte, le iniziali nella camicia… perfino l’abito di sartoria… ma che dovrei andare in tribunale con le polo… come lui… chi altri metteva la polo? Ah si, Di Pietro, giustappunto… Ad ottant’anni non riescono a rilassarsi… per forza venire qui a brandire la loro bandiera!

Gli sembrava che quel giorno stesse andando tutto storto. Non sapeva neanche che cosa si fosse aspettato da quel week-end, non certo restare in città… e dire che all’inizio aveva pensato che avrebbe avuto le solite difficoltà per scoraggiare le telefonate che seguivano implacabili ad una notte piacevole, invece tutto il contrario: questa Cristina era completamente sparita nel nulla, che cosa le aveva fatto? Adesso stava squillando il cellulare e avrebbe dovuto fare attenzione a non rispondere subito nell’illusione che fosse lei, perché sicuramente era ancora la Signora Torrini. No, non era il cellulare della Torrini… era un numero di Roma, meglio non rispondere… comunque aveva cessato di squillare… qualcuno aveva lasciato un messaggio.

– “E’ carina Cristina!” – pensava Ruggero – “però si veste in un modo… si capisce che non gliene importa niente.” – La prima sera che l’aveva incontrata era abbronzata, con un abito lungo, rosso, morbido, etnico ma involontariamente elegante. Ma era stato piuttosto qualcosa di cui avevano parlato, uno strano magnetismo, fatto di silenzi e gesti… quali? Sì, aggiustarsi i capelli e allungare il collo – “ma non è altezzosa… è semmai sfuggente… però queste sono capaci di far soffrire lo stesso! Dopo la sera che siamo stati insieme, mamma mia non riesco neanche a pensarci… mi torna un vuoto allo stomaco… “ –

Dopo quella prima volta Ruggero aveva voluto attendere prima di compiere un qualsiasi passo, in genere non aveva bisogno di sbilanciarsi e poi quello era il tipo di donna che lui aveva sempre cercato di evitare. Eppure se l’era ritrovava nella mente in ogni gesto, in ogni piccola azione quotidiana (poteva essere lei “l’orribile pupazzo di Pierino”?). Così aveva deciso di non sottrarsi nel caso lei avesse richiamato, ma non era successo. Dopo una settimana aveva iniziato lui a cercarla. Probabilmente era una di quelle persone distratte, use a lasciare chissà dove il telefonino, ma almeno avrebbe potuto ascoltare i messaggi che Ruggero le aveva lasciato? I rifiuti erano per lui inaccettabili, non ne aveva avuti molti nella sua vita, ma quei pochi erano rimasti impressi nel suo orgoglio. Almeno poterle parlare… Aveva già ho fatto venti minuti di tappeto e non ce la faceva più, decelerò a malincuore cogliendo l’occasione per controllare il messaggio e non credette ai suoi occhi, era proprio Cristina!

– “Pronto Cristina?” –

– “Ma dove eri finita? Ti avevo lasciato tanti messaggi, non li avevi sentiti prima d’oggi?” –

– “Dove stavi non c’era la corrente elettrica… ma dove sei stata, nel deserto? –

– “A Ginostra… alle Eolie… sì, sì, che la conosco ci sarò stato a vent’anni, ricordo che ci si andava perché si poteva fare nudismo, roba da fricchettoni.” –

– “Ah è ancora così…” – si materializzarono davanti ai suoi occhi le immagini di Cristina nuda fra gli scogli, desiderandola ardentemente e al contempo odiando, roso d’invidia e gelosia, tutti gli immaginari compagni di quella vacanza.

– “L’ultima volta che ci siamo visti non mi avevi comunicato che eri in procinto di partire, sei fuggita da me?” – scrosciò in una risata solitaria, probabilmente inopportuna.

– “Capisco… hai avuto problemi di lavoro… certo tu stai alla RAI.” –

– “Non ci lavori più, mi spiace.” –

– “Avevi un contratto a tempo determinato e non te lo hanno più rinnovato? Succede!” –

– “Te l’avevano rinnovato per tanti anni… capisco che quando capita a se stessi sembra una congiura.” –

– “Siete stati mandati via in tanti? Sarà stato un ridimensionamento.” –

– “Dici che stanno stravolgendo la rete tre della radio? Magari vorranno ridurre tanta musica classica… discorsi verbosi…” –

– “No, non volevo offenderti, certo che c’era un pubblico che aveva diritto a programmi di maggiore qualità…” –

– “No, non te la prendere, sai io quella rete non l’ascoltavo mai… probabilmente ultimamente era migliorata.” –

– “Hai ragione tu, è sempre stata di alto livello.” –

– “Scusami, non ti alterare, forse non hai ancora digerito la cosa. Capisco anche che ti manca tutto il tuo ambiente di lavoro.” –

– “Dai non piangere, forse ho sbagliato a non capire immediatamente quello che stai passando, scusami. Ho veramente tanta voglia di vederti, facciamo qualcosa insieme? Ti passo a prendere e andiamo fuori città, siamo ancora in tempo per uno scorcio di week-end, volevo andare con te a Capri.” –

– “Non esagerare! Un posto di ricconi…” –

– “Certo che capisco che non puoi spendere tanti soldi, ma non avevo certo intenzione di farti pagare la tua parte.” –

– “Ma che c’entra! Adesso sei tu ad offendere me! Non posso offrirti il soggiorno? E poi dovevo comunque vedere un cliente, mettiamola così… rientra nel mio conto spese.” –

– “Ah, sei rientrata di sabato soltanto per la manifestazione…” –

– “Io? No, non ci avevo pensato.” –

– “No per carità! Non è per questo… è che io certe cose non le faccio più da un pezzo…” –

– “Non è per polemica, anche se decisamente tutta questa storia mi sembra alquanto eccessiva, è soltanto una legge di garanzia.” –

– “Permettimi di dirtelo, da avvocato ne ho viste tante di persecuzioni giudiziarie.” –

– “Ma figurati se Berlusconi e Previti se ne potrebbero avvantaggiare!” –

– “Sì probabilmente lo hanno fatto per proteggersi, ma d’altro canto una riforma era necessaria.” –

– “No che non sono di destra, semplicemente uno che su ogni cosa vuole farsi una propria opinione.” –

– “Comunque se proprio ci tieni ad andare, passo a prenderti in tassì e vengo con te.” –

– “…abiti a due passi da Piazza San Giovanni? Passo lo stesso e facciamo la strada insieme.” –

– “Se vuoi andare subito al tuo appuntamento con gli amici della RAI potrei raggiungerti lì, al banco di Sciuscià. Però ho paura di non riuscire a trovarti in tutta quella confusione, dammi l’indirizzo esatto e ci vediamo sotto casa tua. –

– “Mamma mia quanto entusiasmo! Comunque se hai la pazienza di aspettarmi, sto arrivando in tassì.” –

Mezz’ora dopo Ruggero era in un taxi verso San Giovanni. – “L’orribile pupazzo di Pierino” – Quanto era ridicolo! Dopo la litigata con suo padre stava andando anche lui lì, in quella tinozza piena di manifestanti accaldati, bandiere e distintivi. Quanto era scemo! Ma era rimasto spiazzato dalle lacrime di Cristina, sembrava ormai che non riuscisse più a dire tre parole senza offendere nessuno. Cristina si era messa a piangere al telefono ed improvvisamente gli era sembrata tenera, l’avrebbe voluta avere vicina a se per abbracciarla, ma lei era rimasta lontana, freddamente lontana. Come gli era venuto in mente di criticare i programmi di radiotre? In tutta la sua vita nella casa di Palermo c’era sempre stato quel sottofondo, era suo padre che ascoltava quel canale, anzi no, quello era il quinto canale della filodiffusione: abbiamo trasmesso “Meridiani e paralleli”.

Chiese al tassista di lasciarlo il più vicino possibile Via Filiberto, al ché quello rispose.

– “Ci va anche lei alla manifestazione? C’è lì tutta la mia famiglia. Guardi, la lascio qui, girato l’angolo c’è via Filiberto, un’ora fa ci ho lasciato mia madre e mia sorella, è il punto più facile per arrivare.” –

– “Ecco si, in effetti qui è perfetto.” –

– “Lo sa lei quanta gente c’è? Dicono 500 mila, ai tempi del compagno Berlinguer… quelli erano bei tempi, ma quando l’ha fatta Berlusconi qui, la sua manifestazione, c’erano quattro gatti, comunque dottò alzi il pugno anche da parte der compagno Marione der’ Testaccio, che poi sarei io.” –

– “Ecco tenga il resto… la ringrazio molto, arrivederci.”

Adesso a Ruggero toccava ascoltare Moretti, l’aveva fatto ridere in Ecce Bombo ma poi basta! Sentiva ad ondate il discorso di Paolo Flores d’Arcais, frasi che denunciavano l’esistenza di un regime. – “Ma quale regime… e cosa si può combinare poi con una manifestazione? Anche se ci fossero centomila persone, duecento, anche se fossero un milione… perché cazzo ce ne’è di gente qui!” –

Realizzò che suo padre stava in quella ressa e fu assalito dal panico. Pensando che ci sarebbe voluto ben altro per far cadere quel governo, vide Cristina, sperduta ed inconsolabile, distante da lui anche durante il fremente ed imbarazzato abbraccio di saluto. –

14 Settembre 2003 Roma, Piazza San Giovanni

Maddalena:

– Finalmente sono qui! Ero terrorizzata di non farcela, negli ultimi tre giorni ho vissuto in una condizione di attesa, come un’adolescente in ansia per il primo ballo. Non so che cosa mi abbia preso, ieri sera non riuscivo neanche a dormire dall’emozione, come se qualcosa potesse andare storta, e non riuscissimo ad arrivare. La giornata è stata massacrante: ci siamo svegliate alle cinque del mattino, abbiamo preso il pullman per l’aeroporto, poi il viaggio con Nicoletta che si terrorizzava del volo, e non è che io sia poi tanto più sicura nel prendere un aereo. Comunque pochi di quel volo avevano per la giornata impegni diversi dai nostri: c’era un gruppo della GGIL, un gruppo di Rifondazione fra cui Emanuele, e diversi cani sciolti come noi.

Nicoletta:

– Aiuto! non trovò più le ragazze, perché c’è una ressa insopportabile. Ho il panico, ho paura che le ragazze si possano sentire male, ho il sole negli occhi… maledizione non ho comprato un cappellino! Ecco, una di quelle orrende cose con visiera americana che hanno tutti, è l’unica cosa in grado di riparare da questi raggi assassini. Ho bisogno di sedermi all’ombra, meglio rilassarsi. E chissà dove sarà finito Lorenzo che non risponde al telefonino… Ho rinunciato a troppe cose, perché mi sentivo sempre imbarazzata a partecipare ad avvenimenti di questo genere. Non sapevo da dove cominciare: avevo sempre i bambini piccoli, impegni di lavoro, faccende di casa… pensavo che la mia presenza non era poi così determinante, questa volta però mi sono convinta che anche una persona in più aveva la sua importanza.

Maddalena:

– Così volevo prendere la metropolitana da piazza di Spagna alle 13, ma alla fine c’eravamo dati appuntamento lì con un sacco di persone: aspetta quello, aspetta quell’altra che era  andata a mangiarsi un panino, siamo riusciti ad entrare nella metropolitana soltanto alle 13,30. Appena arrivato il treno, era zeppo come un uovo, Nicoletta candidamente, pensando che fosse semplicemente un problema di orario di punta, dice: – “Prendiamo il prossimo” – Alché le ho risposto che il prossimo sarebbe stato anche peggio, così ci siamo infilati tutti stretti e lei stava aggrappata ad un palo per non cadere, ripetendomi continuamente: le ragazze ci sono tutte? controlla ci sono tutte? Sì, Nicoletta ci sono tutte, non preoccuparti, ma anch’io sentivo la claustrofobia. Poi c’era una signora seduta dietro di noi, con indosso una maglietta di Emergency che diceva:

– “Scusate, io devo scendere a San Giovanni, mi fate passare? Devo scendere!” E tutto il treno in coro sorridendo:

– “Signora, tutti scendiamo a San Giovanni!”

Alberto, mentre parla Nanni Moretti,:

– Mi sono perso con Maddalena e con le ragazze, chissà dove sono andate a finire! Speriamo che stanno tutte bene, sono preoccupato anche per Pietro, che può sentirsi male sballottato per questa piazza, ma ne valeva la pena. I miei ragazzi stanotte hanno fatto una tale baraonda che non sono riuscito a chiudere gli occhi un momento, ma erano contenti. E’ venuto perfino Barrafato, chi se lo immaginava! Probabilmente voleva farsi un viaggio a Roma, pagavamo noi, ma ha fatto un discorso che mi ha colpito:   – “A me frate un ci u cancia nisciuno u giurice, nuatri quanno semu rintra manco l’avemu l’avvucati!” – Ha capito l’imbroglio questa legge Cirami, e che suo fratello non la potrà utilizzare mai.

Elda:

– E il più bel giorno da quando… dopo la morte Francesco non sono più riuscita a ritrovare fiducia, adesso mi sembra di si. Ora sento la speranza che qualcosa possa tornare a funzionare, anche per me e Pietro. Siamo vecchi, malati ormai, ma quest’ultima cosa la volevamo fare, io e lui insieme, volevamo sentirci di nuovo uniti. Come non succedeva da anni… ho voglia di coccolare Pietro come un bambino, di dargli tutte le carezze che gli ho negato da allora. Ci siamo allontanati io e lui… non riuscivamo più a guardarci in faccia… per ritrovare nell’espressione dell’altro la stessa tristezza… Adesso fare insieme quest’avventura cambierà le cose, forse, fra me e lui, fra l’Italia e questa piazza. Come sono belli tutti questi uomini e queste donne… si capisce che ci sono persone, che si avventurano per la prima volta in una cosa del genere. Donne ben vestite che mai prima erano state disposte a soffrire il caldo e la stanchezza… donne e uomini che non erano mai scesi in piazza nella loro vita…

Pietro:

– Non sopporto più tutta questa attenzione su di me, non sono per niente stanco. Elda continua a proteggermi come un neonato… mi fa sentire un disabile, sono qui seduto all’ombra, sotto un gazebo dove si vendono magliette: mi hanno visto tanto vecchio (non sono il solo poi) e mi hanno fatto sedere. Dietro di me c’è una cancellata che dà su un giardino e quindi è abbastanza ventilato, sto abbastanza bene… riesco a respirare… ma Elda non riesce a rilassarsi, pur di far stare seduto me lei resta in piedi, e a questo punto sarà lei a sentirsi male! Come vorrei che Ruggero fosse qui a sentire… un tempo faceva queste cose, vorrei che vedesse tutta questa gente, lui non credeva che ci saremmo riusciti.

Nanni Moretti sta facendo un discorso bellissimo, come se mi levasse le parole di bocca, che soddisfazione! La verità è che ci vogliono gli intellettuali per tirare su questa sinistra! Ma ho ancora paura che possa finire come un tempo… nel dopoguerra gli intellettuali stavano ancora con noi, e poi quanti ne abbiamo persi… all’inizio era facile stare tutti dalla stessa parte, bastava essere antifascisti, poi comunisti il che restringeva il campo. Sembrava che dalla guerra si passasse ad una rivoluzione comunista, ne avevamo la forza ed i numeri, ma ci si fermò.  E poi si diede la colpa agli intellettuali, perché non avendo combattuto dovevano starsene zitti, in realtà non era così per tutti: Vittorini ad esempio aveva collaborato con i partigiani, aveva rischiato la vita, era stato in carcere… in realtà il partito ce l’aveva con loro perché erano un’anima critica… Non dovevamo lacerarci così! Le colpe semmai furono di altri: gli americani, la chiesa…

Maddalena:

– Parla di radiotre Nanni Moretti! Sta dicendo: “Vi fa tanta paura la cultura, ma che bisogno c’era di distruggere radiotre?”

Ruggero, a Cristina:

– “Hai visto? Sono arrivato in poco tempo, è stato tanto uno strazio aspettarmi?”

Cristina:

– “Scusami se al telefono ero così impaziente, la verità è che in questi giorni non sono me stessa… per questo non volevo vedere nessuno.”

– “Sì capisco che stai male, però stare soli è peggio, devi permettere agli altri di aiutarti, me per esempio. Sai ho pensato… conosco il nuovo direttore di rete, potrei provare a parlargli per te – Cristina lancia un’occhiata di profondo disappunto – scusami… capisco che ho sbagliato un’altra volta, con te non ne faccio una giusta.”

– “Stamattina sono passata da Palermo per prendere il volo per qui e l’aeroporto era pieno di gente diretta alla manifestazione. Proprio sul mio aereo c’erano delle persone che avevano lo stesso tuo cognome: una ragazza che si chiamava Santelia, era con delle altre… poi al ceck-in, davanti a me, ha incontrato il nonno… un signore anziano che era con tutto un gruppo di Rifondazione… poteva essere tuo padre? Ti somigliava, così ho pensato a te e poi da casa, quando sono arrivata a Roma, ti ho chiamato.”

– “Fammi capire… se non incontravi lo zio Emanuele all’aeroporto, neanche ci pensavi a farmi una telefonata.”

– “Il telefono non l’avevo ancora rimesso a caricare, come sapevo che mi avevi cercata? Allora quello era tuo zio?”

– “Sì mio padre l’aereo l’ha preso qualche giorno fa, gli ho impedito di fare questa sfacchinata tutta in un giorno. Quello era suo fratello.”

– “Ma allora tutta la tua famiglia sta qui?”

– “Praticamente sì, forse è per questo che io non volevo venire. Per carità non mi fraintendere, non sono in rotta con loro. Ho litigato per il fatto che mio padre è voluto venire lo stesso malgrado sia malato di cuore.”

– “Questo comunque mi sembra molto bello, probabilmente ha capito che era una cosa necessaria, anche alla loro età hanno diritto alle loro prese di posizione… costi quel che costi…”

– “Senti guarda… tu non conosci la mia famiglia, sono un po’ fanatici.”

– “Meglio dei miei, mio padre è un colonnello dell’Aeronautica fascista e autoritario, per me essere di sinistra è stata una conquista. Non è bello tutto questo? Lo vedi quanta gente c’è? Quasi mi sento tornare il buonumore.” – Ruggero finalmente la vede sorridere e le rivolge uno sguardo profondamente intenerito:

– “Sai mentre parlavi di Ginostra pensavo alla casa che abbiamo al mare vicino Palermo, nei primi anni anche quel posto era selvaggio… senza luce elettrica…”

– “Stare in un posto così, nonostante tutte le scomodità, ti fa rilassare, riesci a staccare la spina…”

– “Io non riesco più a staccarmi da tutto, mi stai quasi facendo venire voglia… allora ti perdono per non aver sentito i miei messaggi…”

– “E l’avete ancora questa casa?”

– “Sì, anche se io non ci vado da tanti anni… comunque la luce elettrica poi è arrivata… certo non è stata più la stessa cosa, ma mia madre perlomeno poteva usare la lavatrice… mi ricordo come era bello la sera stare in terrazza al buio a guardare il cielo… e tutto il golfo illuminato soltanto dalle Lampare…”

– “Mi fai tornare la voglia di mare, è stata dura ieri venir via da lì.”

– “Tu mi fai desiderare di tornare a Punta Ferla, mi piacerebbe andarci con te…”

Palermo, il professore Cassata guarda la manifestazione dal suo televisore:

– Chissà quanti miei colleghi ci stanno in quella piazza. Sicuramente Santelia e la Lombardo, che si saranno trascinati gli studenti… roba da denunciarli…

Non hanno accettato più il trasferimento e mi tocca stare un altro anno in quella scuola di pecorai… è che con questi ricorsi al TAR sta succedendo un macello: colleghi che dopo dieci anni di supplenze annuali in provincia, si ritrovano scavalcati da giovani neolaureati che hanno fatto un corso di due anni. Io questo governo l’ho votato perché mi aveva fatto rabbia la riforma Berlinguer, ma se mi deve bloccare il trasferimento…

Giuseppe:

– Sono contento di essere venuto, non si poteva stare più a guardare, chissà dov’è Stefania, la chiamo da un’ora ma i cellulari non prendono. Per fortuna mi è arrivato questo contratto da firmare qui a Roma e sono rimasto per la manifestazione. D’altro canto qualcosa bisognava fare… questi si sono presi tutto: teatri, orchestre… mi viene una depressione a pensare quanto lavoro c’era per noi ai tempi di Orlando! Per fortuna c’è questo contratto, soffrirò a non vedere Stefania, ma forse lei preferisce sapermi lontano a lavorare, piuttosto che a Palermo depresso. Mi dispiace anche lasciare Silvana per qualche tempo, si è innamorata di me… forse anch’io…

Maddalena:

– Però è stato divertente: il corteo si è formato praticamente in treno e poi tutti con bandiere, striscioni e pugni chiusi, ci siamo avviati su per le scale mobili incolonnati, e incolonnati siamo usciti fuori, dove già la piazzola era piena. Siamo arrivati a San Giovanni attraverso la porta e in mezzo ad una marea di gente abbiamo visto sulla destra una quantità impressionante di cessi chimici. Subito le ragazze hanno voluto fare la loro sosta, e un’altra più avanti dove c’erano delle bancarelle che vendevano magliette di Che Guevara. In fondo avevano ragione, così abbiamo aspettato sedute sul marciapiede io e Nicoletta… poi è incominciato il tam-tam dei telefonini per sapere dov’era Alberto, dov’erano Elda e Pietro, e Vittorio, e Lorenzo e Miki.

Giorgio:

– Avevo paura che non arrivassimo in tempo, è stato bellissimo venire io e Giulia, col treno speciale da Modena. Cavolo lì le feste dell’Unità le sanno organizzare… e non soltanto quando si tratta di una nazionale come quest’anno… questi veri comunisti sono una soddisfazione… rincuora constatare che ne esistano ancora.

Ho la tentazione di accettare l’incarico a Bologna, comunque non è una decisione che devo prendere subito… al limite accetto quella docenza per il corso di specializzazione, così si tratterebbe di andare saltuariamente concentrando le ore. Non me la sento di lasciare Giulia e lei non si può trasferire. Dal treno, dentro la stazione Termini, non c’è stata soluzione di continuità, la gente era ovunque, si andava tutti verso San Giovanni, tutti insieme, una cosa stupenda! Giulia ha provato a chiamare Maddalena e Nicoletta al telefono, hanno detto che sono sotto la torre degli altoparlanti, cercheremo di trovarle, ma non è poi tanto importante. E che ci siamo tutti, è straordinario! Chissà se riuscirò a trovarmi con mamma e papà, ma mi hanno detto che stanno in un bel posticino al fresco e per lo meno sto tranquillo… sono stato io ad incoraggiare papà… se gli succede qualcosa chi lo sente Ruggero? Godiamoci questa giornata, costi lo stress di papà, l’ostruzionismo di Ruggero… che vada al diavolo! E ora che capisca dove sta andando, ma vorrei tanto che fosse anche lui qui.

Nicoletta:

– Un’altra volta ho partecipato ad una manifestazione pubblica, l’avevo deciso una mattina del 1986 che, incinta di Laura, avevo fatto delle analisi cliniche al mattino presto. Poi ero andata a sedermi con Vittorio in un bar di via Notarbartolo, per riprendermi dal digiuno mattutino e dal prelievo venoso, erano circa le otto e mezza. Era il mese di settembre, si stava seduti nei tavolini posti fuori e ad un tratto notai che la gente tutta guardava dallo stesso lato, anche i camerieri continuavano il loro servizio ai tavoli, occhieggiando sempre verso lì, attendevano tutti qualcosa che io non conoscevo. Finalmente davanti al portone del palazzo, al lato del bar, vidi degli agenti armati vestiti in borghese, e un via vai fra il portone e una guardiola in cemento che era stata costruita sul marciapiede. Gli agenti armati erano muniti di radiotelefono e iniziarono a parlare concitatamente fra di loro, fino a quando una volante della polizia posteggiò di traverso nel bel mezzo della strada, bloccando il passaggio alle automobili all’altezza dell’incrocio con via Sciuti. La stessa cosa aveva fatto un’altra volante, all’altezza dell’incrocio tra via Notarbartolo e Viale della Libertà.

Adesso la strada era completamente vuota, soltanto gli uomini armati erano padroni di tanto spazio e vi si muovevano a piedi scambiandosi gesti concitati. Dopo un po’ arrivò un’auto blindata scortata da due volanti della polizia, una davanti e una dietro, l’auto blindata si fermò all’altezza del portone, ne scesero tre agenti armati e lasciarono le porte aperte controllandole a breve distanza con i loro mitra. Altri agenti entravano e uscivano dal portone parlando concitatamente al radiotelefono (strano non esistevano telefonini allora), altri tre uomini armati entrarono nell’androne del palazzo e salirono in fretta le scale. Nel bar il tempo era rimasto sospeso: solo i più famelici continuavano a fare colazione con la tazza in aria e il cornetto nell’altra mano, ma sempre con lo sguardo diretto a quella scena da guerra; i camerieri invece fermi per non perdere la scena, col vassoio da un lato e il tovagliolo adagiato a cavallo dell’avanbraccio dall’altro.

Era strana l’accondiscendenza degli automobilisti bloccati ai due lati della strada, evidentemente chi a quell’ora percorreva quell’itinerario sapeva esattamente che per una mezz’ora sarebbe stato bloccato: ci si affrettava ad andare prima, chi poteva partiva da casa mezz’ora dopo, chi poteva prendeva una strada alternativa, ma se si capitava lì a quell’ora ci si rassegnava ad aspettare. Lo spettacolo aveva guadagnato altri spettatori: ormai molti pedoni si erano fermati anche se a debita distanza, e dai balconi si sporgevano donne che sbattevano tappeti giusto a quell’ora, pensionati che non volevano perdersi la scena, quasi che fosse una processione religiosa. L’azione stava raggiungendo il culmine della sua suspence… si erano intensificate le entrate e le uscite degli agenti armati… quando finalmente da quel portone uscì, protetto da due barriere di uomini armati, un piccolo uomo ancora assonnato che stringeva la sua valigetta portadocumenti… un uomo che in questo modo quotidianamente si recava ad adempiere al diritto-dovere sancito dal primo articolo della nostra costituzione: svolgere il proprio lavoro.

Sarà stato perché quando si aspetta un figlio si è più fragili, e ci si lascia prendere più facilmente dalla commozione, ma quella mattina piansi. E giurai a me stessa che se quella barriera di protezione un giorno non avesse funzionato, se non fosse stata sufficiente a salvare la vita a quel piccolo uomo, perlomeno sarei dovuta andare ai suoi funerali. Così quella umida mattina di fine maggio, insolitamente piovosa per la media stagionale siciliana, presi un giorno di permesso dal mio ufficio e costrinsi Vittorio ad accompagnarmi. Non avevamo mai fatto una cosa simile ed eravamo convinti di essere gli unici a perdere un giorno di lavoro, per un funerale a cui non si era costretti da obblighi di parentela o di amicizia personale. Ci eravamo portati due ombrelli e camminavano in silenzio per viale della Libertà senza renderci conto che la gente andava tutta in un’unica direzione, ognuna di queste persone aveva un ombrello in mano e la stessa faccia abbattuta e sconfitta di me e mio marito, ma neanche di questo facemmo caso. Girammo per via Emerico Amari solitamente trafficata di auto… questa volta la gente invece era tanta… a piedi… non c’era posto per tutti sul marciapiede e la folla continuava sull’asfalto stranamente povero di automobili.

Fu quando svoltammo per via Roma, che mi resi conto che tutti ci recavamo alla stessa funzione. Perché un centinaio di metri oltre, la barriera umana diventava impenetrabile e si era ancora molto, ma molto lontani dalla piazza della Chiesa di San Domenico, e piansi di nuovo come quella mattina al bar…

Elda, mentre parla Rita Borsellino:

– Mi ricordo di quel funerale umido di pioggia, sudore e lacrime … soffrivamo tutti in quella piazza… ma pagavamo il nostro tributo imbevendoci il corpo. Tutti stretti così come stiamo adesso, senza sentire un accidente di quello che succedeva dentro la chiesa, perché neanche gli altoparlanti avevano messo… pensavano che così ce ne saremmo tornati a casa. E invece noi siamo rimasti tutti lì, a sorbirci l’acqua, ad assuppare il corpo. C’era dietro di me Lina, l’anziana ex partigiana, sapevo che aveva il diabete e ad un punto della mattina vidi che mangiava dei crackers: era il suo orario di spuntino, non poteva farne a meno. Mi venne il terrore che potesse sentirsi male, in quel clima tanto torrido e umido da dare alla testa. Era la pioggia che in campagna, in Sicilia, si chiama assuppaviddano (la pioggia che imbeve il villano, che appunto intento a zappare non può difendersi da quei colpi che lo umiliano), e noi sopportavamo come il villano, che cos’era di più quella pioggia rispetto alla nostra rabbia?

Rita Borsellino ricorda come nel ’92 la società civile palermitana, si ritrovò nelle piazze per una grande stagione di lotte, è vero c’era lo stesso clima di adesso, la stessa discrezione nel non diventare un movimento politico. Questa discrezione che ci ha portato a restare ai margini della politica. Non so se abbiamo fatto bene a non volerci sporcare le mani. Abbiamo passato il testimone da Giovanni Falcone a Leoluca Orlando sempre alla ricerca di un padre che lavorasse per noi, ma mentre il primo era soltanto un giudice, il secondo era un politico, un buon amministratore (di meglio non si poteva sperare in Sicilia) ma poco generoso nei confronti della sinistra. Finita la sua esperienza siamo rimasti di nuovo soli e non possiamo dare soltanto a lui la colpa. Anche qui adesso si dice “non diventiamo un partito politico”, è giusto così come era giusto allora non diventare un partito dell’antimafia, ma chi la deve fare questa politica?

Maddalena:

– Mi sembra di ritrovarmi in quella piazza bagnata. Era una delle prime volte che facevo qualcosa insieme ad Alberto. La nostra preoccupazione fu quella di trovare un pezzetto di spazio abbastanza vicino alla chiesa, per poter sentire qualcosa dell’omelia senza dovere essere strizzati dalla folla. Non fu possibile! Mancava ancora un po’ di tempo all’ora della funzione e mi chiedevo a che ora fossero giunti lì, tutti quelli che erano riusciti a sedersi nei gradini laterali della chiesa, o quelli che stavano aggrappati alla scultura al centro della piazza. Girammo da via Gagini ma neanche da lì si riusciva a penetrare, riuscimmo a sbucare di nuovo nella piazza, ci mettemmo sui gradini del marciapiede laterale di fronte la Vucciria. Salutavamo tanta gente che conoscevamo, ma non c’era nessuna voglia di scambiarsi convenevoli.

Si stava lì zitti e basta, aspettando che succedesse qualcosa. Gli accadimenti erano l’arrivo delle autorità con variabili di gradimento che si manifestavano in fischi o applausi. Ma ad un certo punto passarono dall’entrata principale, soltanto quelli che avevano condotto con buon esito il confronto con la propria coscienza, gli altri cercarono scorciatoie dal retro della chiesa. Non c’era neanche un presidente della Repubblica sulla cui identità si stava decidendo in quei giorni a camere unificate. Iniziò la pioggia, una pioggia fitta, lenta e inesorabile che da quel momento infierì sulle nostre spalle, immergendoci in una umidità tropicale dove le lacrime non si vergognavano a scorrere come rigagnoli sui nostri volti. Qualcuno iniziò ad aprire gli ombrelli, ma a quel punto ci si rese conto che questi ci avrebbero relegato in una condizione di maggiore isolamento, anche le bandiere furono ritirate… soprattutto per discrezione… gli orfani non portano bandiere! Neanche gli altoparlanti avevano messo, non si sentiva nulla… si stava zitti e ci si sentiva uniti. Eppure al funerale di Salvo Lima due mesi prima gli altoparlanti in quella stessa chiesa erano stati messi, anche se inutilmente, poiché i pochi accorsi avevano potuto accomodarsi tranquillamente sulle panche della chiesa.

Elda:

– Rita Borsellino, ricorda il movimento dei lenzuoli, anch’io rammento il giorno in cui misi il mio primo lenzuolo alla finestra… poi scesi per strada e dovetti salutare il portiere che guardava il mio balcone… ero imbarazzata… così come lo ero dal droghiere, all’edicola e quando poi incrociai qualcuno per strada.

Pensai che tutta la mia vita era stata un agire in controtendenza. Troncare quel fidanzamento, e poi sposarsi con Pietro… che era comunista… in municipio e non in chiesa. Fummo i primi a Palermo e ci costò paternali e rimproveri da parte di tutta la parentela: un’amica di mia madre, l’unica che venne fra tutti quelli che loro conoscevano, mi portò in regalo lì, direttamente in municipio, un posacenere sporco di cenere avvolto in carta di giornale. E poi crescere i bambini senza essere cattolici, farli battezzare perché non si potessero sentire degli estranei a scuola, cosa che non servì a niente: saltava sempre fuori il certificato di matrimonio civile che ci faceva additare come scomunicati. Tutta la nostra vita non andava mai come quella delle altre famiglie: atei, comunisti, intransigenti. È facile fare parte tutti di una grande manifestazione di popolo, ma quant’è difficile confrontarsi con la propria diversità tutti i giorni della tua vita: mettere i lenzuoli di protesta alla finestra e poi affacciarsi a stendere la biancheria con la signora del palazzo di fronte che ti guarda come un’aliena. Ma ne abbiamo fatto di battaglie in quell’occasione, la prima catena umana ad un mese dalla strage di Capaci, è stata una cosa che ancora a ripensarci mi fa accapponare la pelle…

Nicoletta:

– E quando stavamo per tornare a casa, fradici, straziati… non ci volevamo più separare da quelle persone che avevano vissuto con noi quel momento di commozione, la cui maggior parte incontrate per la prima volta. Uscirono tutti dalla chiesa e si divisero i cortei funebri, tutte le autorità entrarono nelle loro auto blu e partirono accompagnati da scorte schiamazzanti, e quando nella piazza erano rimasti solo quelli disorientati come noi, scorsi il giudice Borsellino che riparava col suo ombrello una sorella del giudice Falcone… se li erano dimenticati lì…imboccammo la via Roma… la folla stentava a disperdersi, poi girammo da via Guardione e in via Wagner incrociammo la macchina funebre di uno degli agenti di scorta, con tutta la famiglia che mestamente camminava a passo d’uomo dietro quella bara. Accanto alla madre in nero, agli altri parenti… camminavano toccando l’automobile anche una mia amica con la figlia, probabilmente non conoscevano neanche quella gente… ma si erano mischiate a quel lutto… non certamente per invadenza… probabilmente si sentivano disperse e indugiavano a tornare a casa… non riuscivano a smettere di piangere, erano lì con loro, con i capelli bagnati di pioggia appiccicati addosso, completamente inzuppate…

Eravamo tutti orfani di quell’uomo, tutti figli di quella coppia sterile per prudenza, tutti padri, madri, fratelli, fidanzate, sorelle di quei giovani che erano morti. Ancora adesso, a ripensarci, mi viene da piangere… ma quello non è Ruggero Santelia? Quanto sono stata innamorata di lui, tutta l’infanzia e l’adolescenza, era una fissazione… ma a lui piaceva Maddalena, giusto la mia amica del cuore…

Rosa Lombardo:

– Siamo arrivati qui col pullman tutta la famiglia, io Ninni, Domenico e Loredana. E stato un massacro però sono contenta di averli portati, già fra qualche anno con noi non vorranno fare più niente. Certo quando siamo venuti con la CGIL per il 23 Marzo, era tutto più organizzato. Nel treno almeno si poteva dormire, anche se era un treno decrepito, riesumato apposta per l’occasione, poi ci avevano dato anche i cestini per il pranzo. Purtroppo questa volta il treno da Palermo non si è riuscito ad organizzare, il pullman è molto più scomodo, non si possono neanche sgranchire le gambe, Loredana infatti si è lamentata tutto il tempo, Domenico invece ha dormito. Però ogni volta è bello fare quest’esperienza tutti insieme. Adesso ci attende un’altra notte su quei sedili scomodissimi, la mia schiena già è a pezzi, e lunedì si torna a scuola. Il nostro preside naturalmente doveva iniziare la scuola il primo di tutti a Palermo, per fortuna il sabato da noi si fanno i moduli, e per noi è libero. Alberto Santelia si è portato molti nostri allievi con un pullman organizzato dal centro sociale, lui ha la vocazione al martirio, chissà che bordello avranno fatto per tutto il viaggio. Sentendo parlare di giustizia penso alla mia compagna di banco del liceo…

…negli anni in cui tutti facevamo politica lei era fidanzatina, sempre insieme a lui, più grande di noi, che era studente di legge. Ogni giorno la veniva a prendere a scuola con la macchina. Era riservata lei, socievole, carina con tutti, partecipava anche agli scherzi fra compagni di classe, ma appena liberata dagli impegni di scuola, stava con lui. Si è sposata molto presto, appena laureata anche lei in legge, con lui appunto. Lui nel frattempo era diventato magistrato, anche lei era figlia di magistrato. L’avevo incontrata ogni tanto con i bambini piccoli quando ancora io non avevo figli, erano una famiglia molto unita, avevano un camper e viaggiavano tutti insieme. Invece io mi sono sposata molto più tardi, Loredana e Domenico hanno nove e undici anni. Lei invece credo che già abbia figli maggiorenni. Quando c’è stata la strage di via d’Amelio, ho avuto un momento di vigliaccheria. Sì perché ho visto in televisione che uno dei giudici che indagava sulla strage, era proprio il marito della mia compagna di banco.

L’avevo incontrata qualche mese prima, aveva avuto un terzo figlio che nel ’92 doveva avere tre o quattro anni, ho pensato al carico che si addossava sulle spalle di quella famiglia. Tutti dobbiamo molto ai giudici antimafia, tutti avevamo sentito postume le dichiarazioni di Giovanni Falcone sul perché non avesse voluto fare figli, cosciente che la sua vita fosse in pericolo. Ma quando tocchi con mano con un’esperienza così vicino alla tua… pensi effettivamente a cosa vuol dire vivere segregati, scortati, creare una cortina di protezione ai figli adolescenti… che scalpitano per vedere i loro coetanei, per andare al cinema, a ballare, ti viene il panico… pensi a loro, vorresti che si sottraessero. Addirittura poi lessi sul giornale tutta una questione ignobile, dei genitori dei compagni d’asilo del figlio più piccolo, che protestavano perché il bambino veniva accompagnato a scuola con la scorta… dicevano che i loro bambini così si traumatizzavano: questo è il senso di solidarietà della nostra città! Ma la famiglia della mia compagna non si è tirata indietro, forse il fatto che lei fosse figlia di un magistrato le aveva trasmesso maggiormente il senso dello Stato. Probabilmente quel loro amore iniziato così presto li aveva saldati, uniti tanto da poter affrontare insieme questa immane battaglia. Loro che non partecipavano molto alle battaglie studentesche, anche se stavano dalla parte giusta, che in un momento e in un’età in cui tutti hanno voglia di fare gli eroi, si occupavano soltanto dei loro sentimenti, loro così solitamente schivi, sono stati chiamati a diventare degli eroi e hanno accettato. Da dieci anni lui combatte la sua battaglia di magistrato, in quella procura tanto difficile. Già c’era stata un’aria di normalizzazione dopo il primo giudizio del processo Andreotti. Con questo nuovo governo adesso è peggio, questi giudici sono ancora più scoraggiati. Gli hanno tolto o ridimensionato la scorta, li spostano da un ufficio all’altro, li delegittimano, e ora queste nuove leggi… Un magistrato che ha passato dieci anni della propria vita da prigioniero, che ha imposto alla propria famiglia un sacrificio così grande, per difendere lo Stato… e da questo stato viene ripagato così malamente… oggi sono qui anche per lui, per lei, per i loro figli…

Roma, dalla televisione della guardiola del suo reparto in ospedale, Gabriella:

– Maledetto questo lavoro con questi turni massacranti, volevo anch’io andare alla manifestazione. Comunque dato che abito a Roma sarà per la prossima volta, quando non sarò di turno all’ospedale, del resto penso… spero che non finirà qui. Per lo meno Lucia è riuscita ad andare con i nonni, ci teneva tanto, anche se ho un po’ di paura, dovesse succedere qualcosa… qui dalla televisione si vede che c’è un’enorme quantità di gente, speriamo che non si pigino troppo. Però non fanno vedere tutta la piazza, poi perché invece di riprendere gli interventi dal palco, ci fanno seguire questo noiosissimo dibattito in studio? Comunque non possiamo neanche prendercela con la 7, perlomeno hanno mandato la diretta che la Rai si è rifiutata trasmettere.

San Giovanni, Elisabetta:

– Che lungo viaggio abbiamo dovuto fare dalla Sardegna, prima con la nave e poi col treno. Un gruppo addirittura ha affittato un intero aereo da Cagliari, ma l’abbiamo saputo troppo tardi. Siamo venute con Anna e i bambini, però io ho insistito per arrivare ieri e dormire qui da Carla, così almeno i bambini si sono riposati. Stamattina abbiamo fatto un giro in centro, poi abbiamo visto il Colosseo, e lì ci siamo accodati a un gruppo di fiorentini che venivano qui, man mano che camminavamo il corteo si ingrossava, è stato molto emozionante! Ma guarda quello è Emanuele, com’è invecchiato! Perché ogni volta che lo vedo mi viene una fitta al cuore? Adesso avrà ottant’anni… però si mantiene bene, è sempre stato un bell’uomo… così alto e magro. Non so se ha avuto altre storie dopo di me… non ho mai voluto indagare. E passato a Rifondazione… ancora ha tanta voglia di impegnarsi… stare in piazza… scrivere articoli per “Liberazione”. E sempre stato più innamorato della politica che di qualsiasi altra cosa o persona. Forse con lui non c’era niente da fare, ho perso soltanto tempo… eppure mi avevano avvertito in tanti. Quando quest’inverno ho incontrato Alberto, ho pensato a come sarebbe andata se avessi continuato con Emanuele. Poi io ho avuto Anna e Piero, sono diventati come figli miei, e adesso ci sono questi due nipotini… ho avuto la mia famiglia. C’è stata quella storia con Giovanni, ma i bambini avevano avuto da poco quel trauma terribile… non mi sembrava opportuno… Se ho pensato che Giovanni non era adatto a quei bambini, figuriamoci se lo sarebbe stato Emanuele. Era destino comunque che io dovessi occuparmi di figli non miei. Mi ha fatto piacere rincontrare Alberto, sarei contenta adesso se lo vedessi qui, ma Emanuele non lo vorrei proprio salutare.

Alberto:

– Rita Borsellino si è rivelata una risorsa. Probabilmente lo sarebbe stato comunque, ma pochi l’avrebbero ascoltata se non fosse stata sorella di un giudice ammazzato dalla mafia… quella notte l’angoscia raggiunse un tale punto di non ritorno… ci precipitammo tutti per strada a vagare dalla Prefettura al Municipio, in attesa di unirci in qualche modo; alla ricerca di un morto da commemorare che non si sapeva neanche dove fosse finito. In quel funerale, in quello degli agenti di scorta (perché Paolo Borsellino fu tenuto fuori della massa di gente inferocita) si rasentò il colpo di Stato. La disperazione, il senso di frustrazione che già ci aveva assalito tante volte, non sono però bastati ad educare una coscienza civile.

In quei primi anni dell’antimafia si parlava di educazione alla legalità, un cammino lungo, difficile e travagliato che sarebbe dovuto partire dalla scuola, dagli uffici pubblici. Ma c’è un analfabetismo di ritorno, che minaccia ad ondate la civiltà siciliana, si passa dalla stagione di Orlando a quella di adesso, con un assessore regionale che al telefono addita le forze dell’ordine come “sbirri ‘nfamuni“. È una visione del processo Hegeliano tutto a sbalzi indietro, ogni mattoncino collocato provoca la demolizione di altri tre. Se la gente di questa piazza capisse che senza un riscatto della Sicilia, l’Italia non vincerà mai. La sconfitta peggiore si è avuta da noi: 61 a 0 che vergogna! Non ce la facciamo più a girare per i nostri quartieri periferici, a nome di chi poi, di un Ulivo che nessuno conosce? Ci fossero ancora le sezioni del PCI…

Ruggero:

– Quella è Maddalena… magari le chiedo se ha notizie dei miei… no, forse è meglio di no, comunque non c’è problema: è già sparita. Sempre sfuggente, inafferrabile… quanto mi piacevano quelle gambe, quei capelli lunghissimi, ondulati, dai riflessi rossi, che ogni tanto teneva a crocchia con una matita… quelle piccole lentiggini… le sono corso dietro per non so quanti anni, alla fine era diventata un’ossessione, finché non mi sono trasferito qui a Roma. Quei primi anni mi sentivo solo come un cane e pensavo spesso a lei, avevo nostalgia di tutto quello che appartenesse a Palermo.

Chissà come sarebbe andata la mia vita se fossi rimasto in quella città di provincia, nello studio di mio padre… fare soltanto l’avvocato di parte civile… ci facevamo un mazzo così per guadagnare un decimo di quello che guadagno adesso, ma difendere i mafiosi era considerata un’eresia, non è che certi clienti che ho adesso siano meglio.

Poi anche quelle telefonate… mi ricordo ancora quella voce… botte ne avevo già prese abbastanza nella mia vita, quella sera con Alberto. Se fossero state soltanto le botte che si prospettavano sarei rimasto a Palermo, ma avevo paura perché quella gente non da solo sprangate. La verità è che lo studio assisteva un pentito, certo li ho lasciati a continuare quella difesa… e forse esageravo perché alla fine non li hanno fatti fuori… ma non si può vivere sempre così. Non è che scegliendo la Magistratura avrei rischiato di meno, la nonna quando volevo fare il concorso diceva: ”Accamora (di questi tempi) i giudici tutti li ammazzano”, e allora c’erano soltanto le brigate rosse…

Cercai di ambientarmi un poco, ma qui non è come Palermo, la gente ti dimentica subito: la sera finito di lavorare c’era il deserto per strada, e quel monolocale che mi aspettava. Quando ho conosciuto Elena, non mi piaceva neanche tanto, era così vuota… però lei era romana… era ben ambientata… mi consigliava anche come vestire. Poi iniziarono ad arrivare tutte le cause di tangentopoli, guadagnare bene e frequentare molta gente, così la solitudine non mi fece più paura.

Certe volte ho una nostalgia struggente della serata a Punta Ferla… tante persone che non ho più visto… quella volta che ero riuscito a portarmi Maddalena in terrazza… lei era insolitamente disponibile… mi feci trasportare dal desiderio… non mi aspettavo che quell’intimità raggiunta per caso l’avrebbe fatta scappare… che stronza! Mi fece soffrire… Alla fine, gira e rigira si è messa con Alberto, forse era di lui che era stata sempre innamorata… quel goffo salame di mio cugino. Ecco a chi mi fa pensare Cristina… ma in che situazione mi sto cacciando?

Maddalena:

Ma non è Ruggero quello? E dire che all’inizio mi piaceva… quanti anni sono passati da quella sera. E poi dopo quella volta, non mi lasciò più in pace, credo che si fosse innamorato. Sicuramente gli ho fatto del male… ma non mi sembra che alla fine sia stato molto penalizzato dalla vita. Guadagna un sacco di soldi, inseguito da donne bellissime. Non saremmo mai andati d’accordo. Quando lo guardo in televisione, nei processi dei suoi tangentari, lo prenderei a schiaffi. Come può una persona così essere figlio di Elda e Pietro? Comunque c’è qui sul palco un padre della patria che deve avere un analogo groppo sullo stomaco. Stupido Ruggero non è… saranno i soldi? Chissà se un giorno tornerà sui suoi passi, è difficile quando uno si abitua a certe “comodità”. Ma che ci fa qui? Forse cerca i suoi genitori… dovrei dirlo ad Elda e Pietro? Magari non è lui, meglio non illuderli, Pietro non spera altro che vederlo sventolare una bandiera rossa… non credo che sarà mai accontentato.

Giovane Emanuele:

– Mi sembra un sogno stare qui! Ho partecipato a qualche manifestazione a Palermo, ma non ho mai visto tante persone. Non ero mai venuto a Roma, peccato… stamattina siamo arrivati tardi e non c’era tempo di girare e adesso dobbiamo ripartire appena finisce. Sarei voluto restare ancora, però finalmente ho trovato Eugenia e ci siamo messi in questo posto da soli. Ho parlato con tanta gente qui mentre firmavamo per il referendum della CGIL. Sul pullman poi ho fatto amicizia con un ragazzo simpatico che fa la mia facoltà e si sta quasi laureando, mi ha spiegato un casino di cose di internet e quando torniamo mi deve fare conoscere dei siti di movimenti in rete. Quest’anno voglio fare più cose di questo genere. Palermo adesso mi fa meno paura, vorrei occuparmi di politica insieme ad Eugenia, e non soltanto dentro il centro sociale.

Nicoletta:

– Siamo arrivati quasi alla fine, ce l’abbiamo fatta, ne valeva la pena, nonostante questa stanchezza, nonostante il caldo, nonostante ci siamo persi con gli altri, nonostante questa luce negli occhi, nonostante la schiena a pezzi e la voglia di struggente di sedermi, nonostante la sete terribile e una mezza minerale che costa due euro. Certamente tutto questo sforzo servirà a qualcosa! Abbiamo vinto!

Io ho vinto! Ha ragione Gino Strada, questa guerra mi fa paura… sembrano tutti impazziti, voglio andare a firmare l’appello di Emergency, e pure quello per l’articolo 18. Voglio d’ora in poi partecipare di più, le ragazze del resto ormai sono cresciute, non devo più star sempre dietro a loro. Mi sento un’altra persona, ha ragione mia madre quando dice che la vita ricomincia dopo i quarant’anni. Con Vittorio poi ci sentiamo più uniti, adesso per esempio fremo per averlo qui, è già arrivato in aeroporto e mi ha telefonato, mi sento come quando ci davamo i primi appuntamenti…

Elda:

– Quanta politica che ho fatto nella mia vita! Da giovane in giro per le campagne siciliane, e poi in città ad organizzare il partito, le sezioni… ci fossero adesso! Il partito assorbiva anche le nostre vite private, dovevo trascurare i figli, la famiglia… adesso sembra terribile ma bisogna capire da dove venivamo… c’era stata una guerra, c’era la paura che tornasse il fascismo, c’era la speranza che potessimo riuscire a governare l’Italia.

All’inizio, nel dopoguerra, andavo in giro per le province, organizzavo le donne, quelle stesse che poi venivano abbandonate dal partito… di questo me ne accorsi dopo. Erano loro certe volte in prima fila per la conquista delle terre, e quando tutto finì queste non potevano più vivere nei loro paesi, si erano spinte troppo per quella mentalità, il riscatto non c’era stato, i mariti le ripudiavano e il partito era ritornato in città.

Era lì che dovevo capire quanto fosse maschilista il partito comunista. E dopo tante stagioni elettorali, quando la vita mi ha colpito al cuore, ho visto tutto sotto un’altra luce. Ho pensato che ci potesse essere un altro modo di fare politica, un modo più umano, ma nel frattempo ci eravamo persi in credibilità, le masse dov’erano finite?

Stefania:

– Insomma dov’è finito Michele che non lo trovo più? Ah eccolo, scappa sempre avanti, non si ferma mai a guardare indietro per vedere dove sono: – Miki aspettami sono qua! – Quanta gente, è una bella serata anche se la musica non è il massimo, sono stanca morta però per fortuna siamo arrivati in aereo. Ma se Michele e anche gli altri ci avessero pensato prima sarei andata con loro, anche se forse mia madre non mi faceva partire da sola. Eugenia, semmai poteva andare perché c’era suo padre, ma  a lei seccava farsi tutto il viaggio con Alberto ed Emanuele, ha ragione! Anche se suo padre fa tutto il carino con loro due, mica potevano pomiciare sul pullman? Oggi ha fatto sedici anni e ha potuto firmare l’appello, che invidia, io comunque il compleanno lo faccio fra poco e poi firmo a Palermo, perché mi hanno detto che mettono i banchetti alla festa dell’Unità. Non riesco a trovare papà, stasera e domani sono con lui, chissà per quanto tempo poi dobbiamo stare lontani, con questo lavoro che ha trovato qui. Poi è sempre con questa Silvana, però è simpatica, e poi papà da quando sta con lei non è più musone.

Miki:

– Veramente un po’ di fifa ce l’ho ancora quando vengo alle manifestazioni, anche una tranquilla come questa, piena di nonni e bambini. Perché neanche i miei sapevano che ero andato a Genova, altrimenti mi avrebbero fatto un casino, m’ero infilato in un pullman con Gabriele, quello faceva tutto il coraggioso. Ma poi cazzo… ci siamo presi una strizza, quello sbirro mi ha puntato la pisola alla tempia, me la stavo facendo sotto, Gabriele che piangeva, sembrava un bambino, mi faceva pena. Cazzo… eravamo stati tranquilli, non avevamo fatto niente!

Erano mostri quelli, a un ragazzo gli hanno pestato le dita, chissà poi come gli è finita, gli sono saliti sopra con quegli scarponi da rambo, sembravano strafatti, vatti a fidare della polizia! Per fortuna su di noi le bastonate non si vedevano, perché quando sono tornato a casa non ho detto niente, loro sapevano che io e Gabriele eravamo andati a trovare quelli del gemellaggio a Riva del Garda. Non sono andato a mare per un mese, c’avevo quel livido enorme, se lo vedeva mia madre… e un dolore a rigirarmi nel letto la notte, e la paura? Ancora dormo con la luce accesa. Cazzo, ma quanti saranno qui, centomila, duecentomila in questa piazza? Si riuscisse a fare a Palermo una manifestazione così! Però quella per lo sciopero generale era grande! E poi mi piaceva la musica ska del camioncino di rifondazione, con Stefania abbiamo ballato un casino, poi tutti coi pugni chiusi. Qui la musica fa proprio schifo, sti cantanti decrepiti, difatti la madre di Stefi a sentirli stava quasi piangendo di felicità, però non è roba solo di genitori…  avevo paura che fosse peggio.

Alberto:

– Il movimento antimafia era “contro” la mafia, questo movimento è “contro” Berlusconi… la resistenza era “contro” il fascismo. Sarebbe ora di iniziare a proporre, mio padre in questo ha ragione… mio padre ha ragione in tante cose… ma come fa alla sua età? E un manuale di storia vivente, capisce le cose al volo, le mette in relazione, dice sempre quello che pensa. Sarà per questo che i giovani lo stanno a sentire… poi tutta questa voglia di combattere… è instancabile, meglio così… voglio fare un viaggio con lui e tutta la famiglia.

Emanuele:

– Finalmente! La gente ha bisogno soltanto di essere spinta… peccato che questa manifestazione non è stata indetta da noi, però è importante che si sia fatta. Una quantità strabiliante di gente, che minaccia di far cadere il governo! Io mi emoziono davanti alle masse, anche quando si tratta di cento persone in tutto… tutta la vita non ho fatto altro che portare gente in piazza. A parte quella della del 23 marzo, un’altra così grande è stata quella del 13 novembre… del ‘94, anche quella contro Berlusconi. E ora siamo di nuovo allo stesso punto… se non peggio… ce la dobbiamo fare anche questa volta…

Eugenia:

Uffa, finalmente mi sono potuta allontanare da Maddalena e da mio padre, così posso stare un po’ da sola con Emanuele. Avrei voluto fare il viaggio con lui, è che già avevo il biglietto aereo preso un sacco di tempo prima con Stefania, Laura e Chiara, poi francamente viaggiare con papà che ci controllava non era il massimo. Non sono riuscita a trovare la mamma, era con quelli della sua compagnia, ieri sera hanno fatto una replica a Terracina. Stasera dopo che Emanuele parte la raggiungo per festeggiare con lei il mio compleanno, e sto con lei fino a quando domani devo prendere l’aereo. Potevo restare di più con lei ma sta iniziando la scuola… e poi voglio tornare da Emanuele. Tanto lei dice che da gennaio non dovrà fare più quelle tournèe interminabili, e ci occuperemo della sua casa a Palermo, dove ci sarà una stanza tutta per me.

Che emozione! Mi hanno fatto firmare la petizione per l’articolo 18, stava firmando Emanuele, ma poi ho scoperto che dato che oggi ho fatto sedici anni potevo firmare anch’io… e poi avevo anche il passaporto, perché papà mi ha detto “meglio che te lo porti, magari qualcuno vi ferma”. Mi sento importantissima, sedici anni sono tanti!

Marina:

– Non sono ancora riuscita a trovare Eugenia, i cellulari in tutta la piazza proprio non prendono! Comunque dato che è qui col suo fidanzatino che stasera riparte, non è neanche giusto distoglierla da lui, ormai mi devo abituare a non essere per lei una priorità ma sono contenta perché la vedo tanto felice. Non vedo l’ora di tornare a Palermo per occuparmi della ristrutturazione dell’appartamento, voglio riempire la terrazza di piante e coprirne una parte per pranzarvi d’estate… ho sempre desiderato una parte della casa all’esterno! Poi voglio fare una stanza carina per Eugenia mettendo in comunicazione due vani… così può invitare anche i suoi amici, con quei mobili inglesi che le piacciono tanto… e spero che così si senta più a suo agio. Nel buco che ho qui a Roma sono costretta a farla dormire nel mio letto o sul divano del soggiorno, purtroppo per stare in centro ho dovuto accontentarmi di comprare soltanto due stanze.

Comunque stasera viene a dormire da me e festeggiamo insieme il suo compleanno, avevo una cena da amici ma ho rinunziato per stare con lei. La potevo portare con me ma non mi va più di inseguire tutte queste mondanità, anche se ad Eugenia ha sempre fatto piacere stare con i miei amici di teatro. Per il compleanno le ho comprato dei libri e due pullover per l’inverno, poi ha voluto i soldi per comprarsi quelle scarpe che portavamo noi, gli zoccoli olandesi… che buffo come tornano le cose! Domani andiamo a vedere la mostra a Palazzo Venezia e lei poi vuole tornare alla Galleria Borghese, un bel programma… così poi facciamo una lunga passeggiata nel parco, pranziamo e nel pomeriggio l’accompagno all’aeroporto. Comunque per fare tutte queste belle cose dovremmo alzarci presto e non so proprio se ne avremo la forza, io già mi sento distrutta e con questo sole sugli occhi mi sta venendo un gran mal di testa. Ma del resto vale la pena soffrire, perché proprio di questo governo rozzo e bugiardo non se ne può più… comunque dato che non trovo Eugenia tanto vale che torno dai miei amici altrimenti mi perdo anche loro… mamma mia per passare in mezzo a tutti proprio ci si deve strizzare, io certo non sono tanto sottile… ma guarda quello è Ruggero, non pensavo proprio che sarebbe venuto… l’ultima volta che l’ho visto eravamo insieme ad un dibattito televisivo… per miracolo mi ha riconosciuta, non vale neanche la pena salutarlo adesso…

Lucia:

– Che emozione! Mi hanno dato da vendere le striscette arancione con scritto: “Ci sono anch’io”. Mi sento così importante. Perché col nonno e la nonna ci siamo rifugiati in questa bancarella, dove vendono magliette e altre cose, hanno visto che il nonno era stanco e l’hanno fatto sedere. Sono simpatici questi tizi… ci sono dei ragazzi che vanno e vengono prendendo altre striscette da vendere, e riportando indietro i soldi… mi hanno detto che lo fanno per autofinanziare la manifestazione. Poco fa uno è tornato dicendo:

– “Sono stanco, non ce la faccio più.” – Allora io gli ho detto:

– “Se vuoi lo posso fare io.” – Così ho preso il suo posto e sono andata con la ragazza che era con lui, la nonna non voleva, le ho detto:

– “Non ti preoccupare che non mi allontano.”

Mi sento così importante, ne sto vendendo un sacco!

Nicoletta quando canta De Gregori:

– Finalmente mi sono ritrovata con Vittorio, annuso un’aria di pace ed eccitazione… mi sembra di rivivere la nostra giovinezza… quando andavamo insieme in barca a vela. Che bello averlo qui accanto a me, dopo un quarto di secolo che stiamo insieme lo amo come quella sera, avevo diciannove anni e sentivamo De Gregori… come adesso. Che senta un po’ lui la responsabilità dei ragazzi… ho acconsentito che andassero con tutti gli altri a mangiare una pizza, lui non si allarma mai, non si fa prendere dall’ansia e mi prende anche un po’ in giro, beato lui, che vive sempre sereno. Comunque godiamoci anche noi la nostra libertà, ne abbiamo tutto il diritto.

Mara:

– Mi ricordo di una manifestazione insieme agli autonomi qui a Roma nel ’77, avevo 20 anni. Io abitavo a Firenze ed ero venuta appunto per quella, che era una manifestazione nazionale, avevo anche incontrato tanti ragazzi che erano arrivati apposta da Palermo. Il clima a quel tempo era incandescente e quel giorno ci furono degli scontri: ad un certo punto a corso Vittorio Emanuele o sul lungotevere non mi ricordo, gli autonomi assaltarono un armeria, e rubarono delle armi. Mi ricordo di essere arrivata lì quando le vetrine erano a pezzi e gli autonomi erano già andati portando via quel malloppo pericoloso, si avvicendava il corteo pacifico, ma vedendo quelle vetrine infrante qualcuno non resisteva alla tentazione di avvicinarsi e portarsi via qualcosa, c’erano delle borse da cacciatore bellissime, di cuoio con tutta la cartucciera sul davanti. Erano tanto di moda quell’anno, soprattutto all’accademia di Firenze, perché nelle cartucciere si potevano infilare le matite colorate, le stecche e i pennelli, stavo così per avvicinarmi e prenderne una, era tanto facile e quelle borse a comprarle costavano tanto. Ma ho provato vergogna per me stessa, ho provato pena per i proprietari di quel negozio, non me la sono sentita di fare la ladra. Era un’età in cui certe volte per spocchioseria si rubava qualcosa nei grandi magazzini, sembrava di fare quasi di esproprio proletario e non ci si vergognava, ma in quell’occasione sì, e non l’ho presa quella borsa.

Tornando verso casa di Francesca, che mi ospitava a Roma, siamo rimaste bloccate in una viuzza vicino a piazza Navona, dove la polizia stava sparando a gruppi di estremisti, in realtà a tutti quelli che passavano. Ci rifugiammo in un portone e non potevamo più uscire, avevamo la testa che ci scoppiava per i lacrimogeni, e ho avuto paura, paura di non riuscire a ritornare viva. Siamo rimaste lì dentro quel portone per un tempo infinito, poi finalmente lì fuori quei poliziotti sono andati via e siamo potute tornare a casa. Eravamo spaventate, sconfitte, frustrate, la politica iniziava a non essere più una bella cosa. Arrivammo a casa stanche, sfinite, con gli occhi gonfi per i lacrimogeni. Riempimmo la vasca da bagno e ci infilammo per levarci quella puzza di fumo di dosso, poi ci mettemmo in cucina davanti ad una tazza di tè e Francesca mise un disco di De Gregori, e mentre ci coccolavano accanto al caldo col corpo ripulito da quello schifo, il giradischi cantava “buona notte fiorellino”.

Questa stessa canzone che De Gregori sta cantando adesso, anche se con un motivo diverso, mi sento di rivivere quel momento, quella paura, quelle coccole, da allora questa canzone ha sempre significato quel momento. Forse quella è stata l’ultima volta che sono andata ad una manifestazione, ma adesso sono qui, ho ritrovato la forza.

Luigi:

– Mi sembra un miracolo essere riusciti ad arrivare in tempo. Stamattina siamo andati a parlare con la gallerista, abbiamo perso un sacco di tempo e rischiavamo di non trovare più né la metropolitana e nemmeno un taxi, io sudavo freddo ma non volevo distogliere quelle due dalla conversazione, la gallerista era un tipo tutto raffinato, ben vestito, mica potevo dire che avevamo fretta per la manifestazione… Ad un certo punto invece è stata proprio lei a concludere:

– “Scusate ma questa manifestazione proprio non voglio perdermela.”

E addirittura ci ha dato uno strappo in auto passando a prendere altre due anziane signore tutte “perbenino”… chi se l’aspettava che venisse anche gente di questo genere! Anche prevedere che riuscisse così bene… beh in fondo negli ultimi giorni s’era capito, perché nei giornali proprio montava l’aspettativa…

E stato un buon incontro: le hanno fatto tanti complimenti e mi sento orgoglioso di Mara, anche lei è contenta nonostante faccia finta di non volersi montare la testa. Sto iniziando a vederla come una persona semplice e mi piace proprio per questo… vorrei convincerla a stare per lunghi periodi con me in campagna, lì può dipingere quanto vuole, può coltivare l’orto insieme a me… non vedo l’ora che venga l’inverno e stare insieme davanti al camino con Olga accovacciata sul divano… oggi mi manca la nostra cagnetta ma era troppo cucciola per portarla… Mara a dipingere ed io a studiare… così potrei darmi queste maledette materie che mancano…

Ora però vorrei andare a cercare lo stand del WWF che è proprio dall’altro lato, perché devo parlare con Giacomo che mi deve dare il materiale per Firenze… vorrei anche scovare Giorgio e Giulia ma i cellulari non prendono…

Ruggero:

– E poi papà che si è messo a fare il patetico, ma insomma che cosa voleva? Ci dobbiamo sempre preoccupare per la sua salute… alla loro età non rassegnano a pensionarsi, non possono starsene buoni a casa loro? Poi alla fine, quando stanno male io devo correre in cerca dei medici migliori d’Italia, perché certo Giorgio con le sue misere conoscenze non è in grado di prendere una decisione decente. Tutta la morte di Francesco me la sono sorbita io, ancora mi ricordo come un incubo… mi telefonarono in studio per sapere se per caso qualche mio parente faceva parte degli aiuti umanitari in Bosnia. Non capivo che cosa volessero dire, non sapevo neanche che Francesco avesse iniziato a partecipare all’organizzazione di questi aiuti… il solito santo… francescano. In effetti ci vedevamo poco, io già lavoravo come un matto tutta la settimana e quando smettevo scappavo da Roma. Poi lui stava in quel posto assurdo in periferia, cioè un’ora di tassi per arrivarci. Insomma due medici, con due stipendi da ospedalieri, che facevano crescere una bambina in quella specie di borgata. Comunque tutto mi potevo immaginare quella sera, tranne che intendessero dire che mio fratello era morto.

In un lampo mi ritornò tutta la nostra infanzia, le estati a Punta Ferla, la vita a Palermo, tutti i giochi che facevamo in casa con Alberto e Mara, e poi il liceo. Aveva avuto sempre questa tendenza ad essere… troppo buono. Una volta venne a trovarmi quando ancora lavoravo da associato, avevamo avuto appena il tempo di prenderci un caffè al bar, io dovevo ritornare subito in tribunale. Poi mi ricordo il suo matrimonio, vennero tutti da Palermo, manco mi fece testimone, scelse Giorgio e Mara. Va bene, d’altro canto Giorgio aveva una vera e propria venerazione per lui, e con Mara sono cresciuti come se fossero stati gemelli…

Poi sono andato a trovarlo, lui e Gabriella quand’è nata la bambina, appunto in quella casa in periferia, insomma mi metteva un po’ di tristezza vedere come si era ridotto, difatti io figli non ne ho voluti fare, me ne guardo bene. Come uno può sentirsi incastrato, privo di libertà… però adesso ai figli comincio a pensarci anch’io… non è che sto invecchiando? Però non gli bastava quello, doveva andarsi a cercare anche il volontariato in Bosnia… lo trovai che era quasi irriconoscibile, il furgone si era incendiato, era una scena terribile… era mio fratello cavolo! Me lo vedevo che si tuffava a Punta Ferla… ero andato da solo, non avrei sopportato vedere mia madre piangere in quell’obitorio. L’ho riportato dentro una cassa già chiusa. È stato un macello organizzare il rientro della salma, tutte le trafile legali, l’ambasciata, l’aereo militare. Stavo con Elena allora, sparii per quindici giorni senza neanche dirle dove stavo andando, al mio ritorno non la ritrovai più… meglio così.

Mio padre voleva pure che indagassi sulle cause della morte. Feci una denuncia contro ignoti, che altro potevo fare? In quei giorni era morta Ilaria Alpi, ma quella era una storia diversa… probabilmente fu soltanto un incidente, e Francesco la sua gloria l’ha avuta comunque. Ma che non mi chiedano ancora di capire come… “l’orribile pupazzo di Pierino”…

Cristina si è messa qui al banco di Sciuscià con i suoi amici della RAI e non mi degna più di uno sguardo, perlomeno non ha più il broncio di prima, anzi sono riuscita a dirle qualcosa che non la ha infastidita… faccio progressi… cos’era che le raccontavo che la stava interessando?

Dopo De Gregori, Maddalena:

– E poi le ragazze volevano andare sempre più vicine al palco come se fossero a un concerto rock, Eugenia che voleva recuperare il suo Emanuele che era arrivato con Alberto e Stefania il suo Michele, finalmente siamo riusciti ad incontrarci tutti con Alberto, ci siamo baciati in mezzo alla piazza felici e soddisfatti. Eugenia se n’è andata con Emanuele, così io sono rimasta con Nicoletta e le altre ragazze, anche Stefania alla fine ha incontrato Miki che era con Lorenzo, poi si sono riuniti tutti i ragazzi e hanno continuato insieme, alla fine gli abbiamo dato un po’ di soldi per prendersi una pizza. Eugenia dorme da Marina, Stefania da Giuseppe, e non so come sono riuscita a convincere Alberto a restare con me stanotte, del resto lui s’è fatta l’andata con i ragazzi, per il ritorno ci sono i due insegnanti di graffiti. Insomma abbiamo tutta una serata a Roma per noi due, domattina ci possiamo alzare tardi, facciamo un giro, pranziamo con Giorgio e Giulia, poi recuperiamo le ragazze e la famiglia di Nicoletta e torniamo tutti con lo stesso aereo… occupando probabilmente la metà dei posti disponibili. Nicoletta è con Vittorio che è tornato da Bruxelles, in ritardo ma felice di essere riuscito a sentire qualcosa. Finalmente ci godiamo tutti e quattro De Gregori!

Voglio restare fino all’ultima canzone, e cantare insieme a tutta questa gente. Un po’ se ne sono andati e possiamo avvicinarci al palco per sentire meglio, addirittura possiamo vedere dal maxischermo cosa succede! Ma perché De’ Gregori ha deciso di cambiare i motivi delle sue canzoni? Io conosco tutte le parole, ho provato a canticchiare insieme a lui ma è impossibile stargli dietro. Alla fine… è un momento magico… a musica spenta si sente “bella ciao”…

Pietro:

– Elda già vuole andare via, però vorrei passare dal banchetto di Sciuscià per firmare la petizione. Mi ha molto emozionato la presenza di Vittorio Foa, ha un figlio di destra… ma come può succedere? Suo padre è stato uno dei padri della costituzione…

Elda:

– Io vorrei cominciare ad andare verso casa di Gabriella, sono stanca morta! Desidererei trovare Lucia che si è messa a vendere striscette arancione, Pietro poi vuole passare dal banco di Sciuscià… Spero di riuscire a trascinare tutti e due fuori di qui e a recuperare il taxi, Gabriella ha preso accordi con un tassista per farci riportare da lei.

Maddalena:

– Iniziamo ad andare perché è finito tutto, non c’è altro da fare che andare a piedi. Magari strada facendo riusciamo a trovare un mezzo, prendiamo la strada in salita… verso la stazione Termini… ma praticamente il fiume di gente non finisce mai. Per tutta la via Filiberto continua un lungo corteo infinito, e la stessa cosa sarà dalle altre arterie. Girando la testa dalla cima della salita è bello vedere quanta gente c’è ancora dietro di noi, ma quante saranno state oggi duecentomila, cinquecentomila? Un milione forse… magari Flores d’Arcais ha ragione… Ho i piedi completamente cotti, le scarpe che mi fanno male, la schiena spezzata in due, ho sudato tutto il giorno e adesso sento un po’ di fresco. Sono belle le serate romane, meglio che metta il golf di cotone…

Lucia:

– La nonna già se ne vuole andare, io sarei rimasta almeno un altro pochino, volevo rimanere qui a vendere ancora striscette arancioni… va bene restituisco tutta la scatola e i soldi… in realtà sono stanca morta e non vedo l’ora di andare a casa… ma la mamma chissà quando finisce all’ospedale… ho ancora delle strisce in tasca perché una la voglio regalare alla mamma che poverina non è potuta venire… l’altra la voglio dare alla mia amica Claudia… ho fatto male i conti, me ne è rimasta una in più, vabbè la darò a qualcuno…

Ruggero al banco di Sciuscià:

– Cavolo Cristina s’è messa a parlare con quell’impiastro di giornalista con cui ho litigato l’altro giorno in tribunale, non vorrei che mi riconosca, ci manca soltanto questo oggi! Mi avrà riconosciuto…

Giornalista:

– “Avvocato Santelia!”

Ruggero:

– “Buonasera.”

– “Mi sembrava che lei difendesse la Cirami.” – Ruggero, che non osa guardare in direzione di Cristina:

– “Non ho detto che l’avrei difesa ad ogni costo, questa fretta di approvarla per esempio, può mettere in allarme.”

– “Sono contenta che adesso lei la pensi così… dopo quel nostro scambio di idee…”

Ruggero, sorvegliando Cristina a distanza:

– “Potrei essere d’accordo, ma non vedo questo pericolo di regime che paventate tutti.”

– “Però lei lo ammette, che siamo messi male?”

– “Può darsi che la situazione sia ad un punto critico.”

– “Certo… vedere che qui c’è anche gente come lei fa ben sperare”

– “Che vuol dire con “gente come lei”, chi sarei io?”

– “No, non volevo offenderla, volevo dire gente che probabilmente ha votato a destra.”

– “Io alle ultime elezioni non ho votato … e comunque sono fatti miei.”

Cristina:

– E così finalmente ha confessato di non aver votato… era chiaro questo… perché ci sono cascata? Sarà che in questo periodo sono più fragile e un cuore innamorato riesce a scaldare anche il mio. Si capisce poverino che fa di tutto terra per farsi accettare. Ma perché non mi lascia perdere? E se veramente lo facesse, starei meglio? Se poi mi venisse il panico come Lizzy col signor Darcy? Quando poco fa parlava della sua casa al mare, raccontava di lui da bambino… sentivo di volergli bene… però prima con quel paternalismo spocchioso: Ti presento il direttore di rete… è un mio amico… m’immagino…

Giornalista:

– “Il voto è libero per carità. Volevo soltanto dire che adesso molta gente sta cambiando idea su questo governo.”

Ruggero:

– “Si ma con queste manifestazioni non si convince la gente a votare a sinistra. L’Ulivo deve cambiare radicalmente, non mi sembra che ancora sia riuscito a persuadere l’elettorato incerto.”

– “Ci stiamo tentando.”

– “Buona fortuna!”

– “Però intanto, se non le dispiace, perché non firma la nostra petizione per la libertà di informazione?”

– “Anche in questo vede, avete sbagliato a tirare troppo la corda… con certi programmi faziosi… poi va a finire così e mi dispiace… comunque avevo già deciso di firmare, mi dia la petizione. La pluralità di informazione è chiaro che va garantita – poi quasi fra se e se – uno si deve ritrovare a difendere diritti che sembravano fuori discussione…” – Giornalista, che in cuor suo gongola:

– “Ecco qui, anche se si tratta di una formalità, servirebbe un suo documento.” – Ruggero sorridendo da seduttore, gli riesce spontaneo anche se non è il momento:

– “Non mi tiro certo indietro per questo – cerca nella tasca dei pantaloni la tessera dell’ordine degli avvocati, trovata la consegna – ecco, dove devo firmare? Ah qui, va bene.”

Ruggero:

– Sto firmando un banale modulo ed è come se stessi facendo chissà quale passo irreversibile… “l’orribile pupazzo di Pierino”… me lo stanno riportando indietro un’altra volta… come nel racconto: una volta lo restituiva lo spazzino che lo aveva pescato dal bidone della spazzatura, un’altra volta il vigile dopo che Pierino lo aveva buttato dalla finestra… chissà perché mi sento improvvisamente un bambino colpevole, che cosa mi sta succedendo? E’ la luce di uno sguardo… ora so cos’è… quella storiella stupida aveva un senso… è inutile controllare, già so che è lui:

– “Papà.” – (non è che sarà lui il pupazzo spelacchiato?)

Pietro:

– “Ruggero.” (cosa posso dire? Niente! Meglio non dire niente. Anche se adesso, con questi pantaloni chiari e la maglietta-polo… sarà certamente firmata, ma non lo voglio sapere… mi sembra il mio ragazzo di un tempo. Se gli chiedo cosa ci fa qui, il castello di sabbia si sgretola in un attimo, zitto, devo stare zitto e godermi quest’attimo.) –

Ruggero (sta chiedendosi cosa ci faccio qui, e io sono in una gabbia, ma da questa gabbia devo rispondere):

– “Sì sono qui papà… (l’aveva già capito da solo) alla fine sono rimasto a Roma… non ho potuto avvertirvi che venivo a San Giovanni… (Cristina dov’è Cristina, eccola è accanto a me) sono qui con un’amica  – prendendole affettuosamente il braccio – ti presento Cristina.”

Pietro:

– “Molto piacere, Pietro Santelia.”

Cristina tende la mano come se Pietro fosse un soccorritore che la sta tirando via da acque in tormenta e si presenta anche lei. Arrivano intanto Lucia e la nonna che erano rimaste alquanto indietro, bloccate dai tentativi di Elda per chiamare il taxi, da quel telefonino che ancora non sa usare. Lucia ha ancora in tasca la striscetta arancione con su scritto “ci sono anch’io”, sta rigirandosela con la mano sudata nella tasca, quando vede il nonno che parla con Ruggero corre verso i due. Li raggiunge in un tripudio, consegnando trionfante la striscia arancione allo zio.

Lucia:

– “Ruggi ciao! Tu ancora non c’è l’hai la striscia? Allora questa la do a te, mettila ce l’hanno tutti qui. Sai? Ne ho vendute tante oggi, sono stata brava.”  –

Ruggero:

– Insomma troppe emozioni, che cosa sta accadendo? Devo prendere in braccio la bambina? E troppo cresciuta, adesso non si può più. Anche questo mi fa stare male, sta nella stessa città e non ho mai trovato il tempo per andarla a trovare. Almeno accetto il suo regalo, ecco che arriva mia madre col suo sguardo implacabile, questo rende tutto ancora più difficile.

Elda:

– “Ruggero non ti devi sentire obbligato.”  – (come al solito ho perso un’occasione per stare zitta, e godermi mio figlio per quel poco che mi è concesso) –

Ruggero (e infatti lei non perde occasione per fulminarmi):

– “Mamma! Sono contento di avervi trovato, avevo paura che vi sareste potuti sentire male in questa confusione. Grazie Lucia, la metto con piacere ma ne dovresti dare un’altra anche a Cristina, a proposito non vi ho ancora presentati tutti. Mamma lei è Cristina – poi rivolto a quest’ultima – mia madre e la mia nipotina Lucia.”

Elda, come suo costume va subito al sodo:

– “Che bella giornata Cristina, siamo esausti ma soddisfatti!”

Cristina, che abbocca subito:

– “Si tanta gente qui fa sperare di poter tornare un giorno alla normalità.”

Pietro si inserisce prontamente:

– “Ma sono riusciti a farcela lo stesso, mentre noi stavamo qui, quelli comunque hanno avviato la legge.”

Cristina:

– “Si l’abbiamo saputo anche noi, purtroppo. A proposito voi avete firmato l’appello di Sciuscià?”

Pietro, con insolito entusiasmo:

– “Eravamo venuti qui al banco proprio per questo.”

Giornalista, assolutamente divertita:

– “Vi prendo subito i moduli.” –

Ruggero (Ecco tutti che armeggiano soddisfatti con moduli e carte d’identità. Un momento… non stiamo correndo un po’ troppo? E Cristina? Improvvisamente sembra emersa dal suo mutismo… no un attimo… non possono estromettermi! Lo vedi tutti sfogano i propri commenti in libertà su questo pomeriggio… sembra impossibile mettere fine a questo cicaleccio):

– Non sarà il caso che chiami un tassì per voi tre? Papà sarà stanco.”

Elda:

– “Si hai ragione, aspetta… – cercando nella tasca – Gabriella mi ha dato il numero di un tassista di sua fiducia.”

Cristina:

– “Ma non è assolutamente il caso, con questa baraonda ci metterebbe comunque un sacco di tempo, andiamo un attimo a casa mia a riposare, vi offro qualcosa di fresco, io abito proprio lì dietro… guardate si vede uno scorcio del mio terrazzo.”

Ruggero:

– No! Così la situazione non la recupero più, già vedo gli occhi di papà sedotti dalla prospettiva della bibita fresca sulla sedia a sdraio di Cristina… e da lei… che ora con lui si mostra tanto amabile. –

Pietro, infatti, togliendo le parole di bocca al figlio:

– “Mi sembra una splendida idea, andiamo a casa di Cristina.”

Lucia:

– “Si per favore, a me scappa pure la pipì.”

Ruggero:

– “Cristina grazie tanto, ma tu non conosci la situazione, mio padre assolutamente non può fare tutte queste scale e, come in tutte le case antiche, da te non c’è l’ascensore.”

Cristina:

– “L’ascensore c’è eccome, altrimenti non l’avrei proposto.”

Pietro:

– “Hai visto Ruggero? Ti preoccupi sempre per niente, forza andiamo tutti.”

Ruggero:

– almeno i residui di perbenismo di mamma… lei certamente non si può introdurre con tanta invadenza in casa altrui –

Elda:

– “Veramente mi dispiacerebbe disturbare, ma sono talmente stanca che non riesco a rifiutare questa proposta, grazie Cristina.”

Ruggero (hanno perso tutti i limiti della decenza!):

–  “E Lucia? Non deve tornare dalla mamma?”

Lucia:

– “No la mamma è ancora in ospedale, anzi così è meglio: possiamo dirle di passarci a prendere quando finisce il turno, magari ci scappa una pizza.”

Pietro, incontenibile:

– “Ma perché a questo punto non venite anche voi due con noi? Magari troviamo un posticino a Trastevere, possiamo anche telefonare a Giorgio e Giulia che sono qui.”

Cristina, sempre più determinata:

– “So io cosa faremo, da casa prenoto una trattoria molto carina che frequento con i colleghi della RAI.”

Elda:

– “Lavori in Rai Cristina? Che cosa interessante.” –

Cristina:

– “Veramente mi hanno appena licenziata, facevo dei servizi giornalistici per un programma del mattino su radiotre.”

Elda, compresa ma gongolante:

– “Allora ti ho sentito spesso… ecco la voce mi era familiare… sento sempre radiotre quando lavoro alla rivista con Maddalena, la compagna di Alberto, mio nipote, non so se Ruggero ti ha mai parlato della nostra complicata famiglia… comunque ieri dato che sapevo che era l’ultima puntata, ho ascoltato mattinotre dalla radio di Gabriella… una tristezza… mi chiedevo come dovevano sentirsi tutti i collaboratori cacciati via.”

Cristina:

– “Io difatti non sono neanche riuscita a sentirla quella puntata, una settimana fa, appena ho capito che non c’era più niente da fare, sono volata a Ginostra da alcuni amici. Lì perlomeno, mancando la corrente elettrica, non potevo avere la tentazione di sintonizzare la radio.” –

Elda:

– “Poverina, come ti capisco, ma non credere che la perdita sia soltanto vostra… anzi hai sentito Moretti oggi? Ne ha parlato.”

Cristina:

– “Sul serio? Stupendo! Peccato… noi siamo arrivati alla fine del suo discorso.”

Ruggero:

– Ora devo sentirmi un verme perché l’ho fatta arrivare troppo tardi… e poi guardali tutti lì insieme, come se io non ci fossi, come se si conoscessero da sempre… con mamma che probabilmente sta pensando che non devo farmi scappare questa ragazza. Dipendesse da me…

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