3 parte
Compra Vivi Villa Trabia, una battaglia civile nella nuova versione illustrata
Adesso fremevamo tutti per il risultato elettorale. La domenica del 21 novembre 1993 passò come una giornata di grande attesa ed emozione, c’era in città un’atmosfera di vigilia, cercavamo di crearci delle occupazioni diversive per non restare incollati alla televisione a costruire congetture sui dati della percentuale dei votanti.

Come nella vigilia dell’ultimo dell’anno, c’era chi consigliava un buon sonno pomeridiano per essere pronti a festeggiare nella notte una vittoria che scaramanticamente non veniva mai evocata.
Quella sera a casa nostra, mandate le bambine a dormire da mia madre, si riunì una folla spontanea per seguire i risultati, venne anche Anna con suo marito, ci fu un’esplosione di urla quando si seppe che Orlando secondo i pronostici aveva ottenuto circa il 70% dei voti, ci precipitammo tutti alla Rete, trascinandoci da casa sua al passaggio anche Francesca. Non vi restammo molto, c’era un tacito accordo fra tutte le forze che avevano sostenuto Orlando di ritrovarsi a mezzanotte a piazza Pretoria, davanti al Municipio.

Nei nostri momenti storici piove! È un modo forse di metterci alla prova, avevamo resistito per il funerale di Falcone e ci accingevamo anche in quella fredda e bagnata notte ad aspettare che Orlando, supportato da una certezza percentuale non basata soltanto sui sondaggi, si presentasse a noi come bentornato sindaco. L’indomani ci fu un altro bagno di folla sempre nello stesso luogo, ci andammo con i bambini, ormai anche loro erano coscienti di quel momento, riconoscevano da lontano Orlando e anche Caponnetto.
Ora c’era da governare una città difficile! E tutto quel consenso poteva anche spaventare, la responsabilità era enorme e chi aveva sostenuto Orlando era giusto che continuasse a farlo con spirito critico, non potevamo permetterci che si sbagliasse.
Volevamo presentare il nostro progetto alla nuova giunta di governo e un’altra manifestazione a Villa Trabia era una buona occasione, recapitammo a mano a sindaco ed assessori dei biglietti d’invito recanti come frontespizio una veduta della porta principale del parco.

Quando arrivammo alle otto e mezza del mattino all’assessorato alla cultura, pensavamo dato l’orario di lasciare il biglietto in portineria. L’assessorato invece ferveva già di attività, l’assessore era al lavoro da un pezzo tallonata a fatica dai suoi collaboratori, ci voleva vedere e quando entrammo mi imbarazzò con il solito «Mariadeluzza» di quando ero ragazzina. Provai un’enorme tenerezza nel vedere Giuliana in quel ruolo tanto ufficiale senza che le potessi andare incontro per il solito bacio. Piccola piccola dietro quell’enorme scrivania, aveva un atteggiamento spigliato e deciso che metteva a tacere i miei timori circa la sua capacità di resistenza in un tale ambiente di lupi, quale può essere quello di un’amministrazione comunale siciliana.
Quello che chiedevamo, quando con il gruppo cultura stilavamo la nostra proposta per il programma di governo, era che almeno con il futuro assessore si potesse parlare dei nostri progetti senza dovere subire lo sguardo sonnolento del nostro interlocutore che, non evidenziando nel programma ballerine, cabarettisti e premiazioni e soprattutto senza avere trovato un collegamento fra noi e qualche politico della propria corrente, non vedeva l’ora di cestinare quell’effluvio di termini a lui inaccessibili.
Adesso in quella stanza si respirava, già era tanto per noi essere ascoltate, in più Giuliana trovava il nostro progetto una cosa fattibile e liquidava con un «si vedrà» lo zelante funzionario che all’orecchio le puntualizzava che la casena doveva diventare la nuova sede di quell’assessorato. Ci promise che sarebbe venuta la prossima domenica a Villa Trabia.

L’organizzazione era già rodata, anzi eravamo intenzionate a ripetere le manifestazioni ogni mese, rimettemmo quindi in piedi il nostro programma variandolo in alcuni punti e affrontammo un altro «tour de force», sempre con i figli al seguito in ogni riunione, sempre rischiando di cadere dal parapetto del ponte nel mettere lo striscione, sempre sorprendendoci nel ritrovarci a quell’età a fare volantinaggio, sempre passando oltre la perplessità dei nostri mariti.
La mattina di quella domenica di dicembre alle sette pioveva, fui svegliata da due o tre telefonate scoraggiate, diedi certezza di alcune ottimistiche previsioni meteorologiche e ci ritrovammo lì dopo mezz’ora col naso in su ad incoraggiare quel benefico vento che ci stava liberando da nubi e pioggia. Alle dieci il sole era già esploso e si andava avanti come da copione.

Venne Giuliana Saladino e anche qualche altro assessore, ma non il sindaco; dopo una perlustrazione del parco Giuliana, giunta con noi davanti alla casena ci disse: «Capisco l’esigenza del sindaco di voler trasferire qui, per risparmiare un affitto, il nostro assessorato, ma sarebbe un delitto sprecare questo luogo mettendoci dentro degli anonimi uffici».
Il problema della collocazione degli uffici a Villa Trabia non era nuovo, quando frettolosamente si era destinato all’assessorato beni culturali l’immobile, la fantasia dei funzionari non era andata molto oltre quella di una destinazione d’uso per scopi di rappresentanza, magari con la celebrazione occasionale di qualche evento culturale di quelli molto mondani, oppure per l’installazione dei propri uffici, sistemazione che avrebbe reso più decoroso il loro lavoro e avrebbe creato più occasioni di parcheggio per le loro auto. Adesso, la politica della giunta Orlando era quella di utilizzare preferenzialmente i beni immobili di proprietà del comune come sedi dei propri uffici e assessorati, risparmiando così una serie di canoni d’affitto.

Giuliana conveniva con noi che un luogo così bello, la cui ubicazione dentro il parco lo rendeva ancora più affascinante e singolare, aveva diritto ad una destinazione più intelligente, e poi Palermo era piena di sedi di rappresentanza e uffici, mentre non si era finora pensato di dotarla di centri culturali e aggreganti; fissammo quindi un incontro operativo per discuterne, mentre lei si sarebbe adoperata per far valere queste posizioni all’interno della giunta.
All’incontro partecipammo noi del comitato, Giuseppe Barbera, neo nominato consulente del comune per le aree verdi, e Michele Buffa, naturalista della soprintendenza regionale ai beni ambientali, nonchè coautore di un trattato sul parco di Villa Trabia. Illustrammo la nostra bozza di proposta sulla realizzazione del centro polifunzionale, Giuseppe e Giuliana ci seguivano interessati, anzi Giuliana aggiungeva al progetto una caffetteria. Per Michele Buffa era più difficile staccarsi dalla propria ottica di tutore del bene storico, considerava la presenza di bambini o anziani nel parco come una minaccia per le varietà botaniche da ripristinare e difendere. Conosceva profondamente la storia del parco ed è chiaro che dal suo punto di vista, quello di un autorevole studioso, ci fosse il desiderio di restituire un bene ai suoi originali splendori guardando con sospetto ogni iniziativa che tendesse a minacciare la logica di tale recupero. Avevamo invocato l’intervento di esperti botanici per arginare un inizio di restauro condotto a braccio senza una programmazione logica, scambiando il parco per l’aiuola di una stazione ferroviaria.

Chissà perché pensavamo che in materia di verde bastasse essere democratici e sensibili per pensarla tutti in maniera uguale: a noi in realtà la villa era piaciuta sempre così, per quella massa di verde selvatico che dava la sensazione di trovarsi in una foresta dentro la città: bastava ripulirla un po’, liberarla dalle minacciose siringhe, tutelarla nei punti pericolosi, dotarla di panchine e cestini per i rifiuti e farla fruire a tutti, difendendola quindi dal vandalismo con la frequentazione e la conoscenza.
Incominciavamo adesso a visualizzare il parco restituito ai suoi parterre settecenteschi, con ordinati vialetti ricchi di svariate rarità: certo non sarebbe stato più possibile sdraiarsi per terra a prendere il sole, né sarebbe stato più consentito ai bambini arrampicarsi sugli alberi, e già che c’eravamo, all’insegna del ritorno agli originali splendori, potevamo tutti recuperare abiti settecenteschi e passeggiare nei viali con i nostri ombrellini, come facevano un tempo gli ospiti della famiglia Lanza di Trabia.

Ci aggiornammo per un’altra riunione più operativa, si pensava che il centro polifunzionale, diretto da un funzionario del comune, potesse essere organizzato con una biblioteca ed emeroteca, gestita anch’essa da personale comunale e con altre attività affidate con una convenzione ad un consorzio di associazioni culturali e cooperative.
Ci premeva che non fosse un condominio di associazioni culturali in cerca di una sede: per noi il centro doveva essere mosso da una programmazione collegiale, da uno spirito comune, proponemmo quindi alla cooperativa «Lo Scarabocchio», all’associazione «Mutazioni» e ad una cooperativa teatrale di presentare insieme un programma.

La gestazione di questo progetto fu laboriosa e non soltanto per la difficoltà di mettere insieme persone con esperienze diverse, ma anche perché man mano che ne parlavamo il progetto maturava, prendeva corpo nei suoi significati. Ci ritrovammo a lavorare con Emilia e Maria di «Mutazioni» e con Bibi, Francesca e Elisabeth de «Lo Scarabocchio» per giorni interi: scrivevamo, limavamo, discutevamo e fra noi si creava un rapporto molto allegro: un progetto che debba servire a rendere qualitativamente migliore la vita della gente, deve nascere anche dall’allegria e dall’ottimismo.
Finalmente riuscimmo a raccogliere in un grosso volume blu le proposte e i curricula di queste consorziate, portammo il volume in assessorato, dove fu protocollato insieme alla richiesta della nuova convocazione da parte dell’assessore e aspettammo…

Questo 1994 accolto con tanta eccitazione non doveva portarci molto di buono: ci aspettava una serie di brutte notizie. Ad Anna morì improvvisamente la madre, ma non fece in tempo a riaversi che nella sua famiglia accadde un fatto allucinante.
Una domenica comprando il giornale lessi inorridita: rapinatore sgozza un gioielliere e accoltella la sorella incinta. L’ubicazione era quella della gioielleria della famiglia di Ninni, il marito di Anna, il cognome era il loro, leggevo nella cronaca … il fratello Ninni disperato…
Io e Francesca andammo al funerale e ci ritrovammo abbracciate ad Anna; avvicinarci oltre a quella composta famiglia ci sarebbe sembrato un segno di invadenza. Era un altro momento di storia della nostra città, in quella chiesa, per coincidenza la stessa dei funerali di Falcone, l’amministrazione della città non seppe stringersi attorno ai suoi cittadini: non c’era nessun suo rappresentante, parte di quella folla di commercianti del centro storico, fra qualche mese avrebbe preferito votare a destra.
In quella famiglia, e in Ninni in particolare, sarebbe rimasta una ferita insanabile, ed Anna stava esaurendo le sue scorte di energia.
La notte del 27 marzo, fui svegliata con la notizia della morte di mio cugino Roberto, mio compagno di giochi e di vita, una parte di me che andandosene improvvisamente mi lasciava un pugno allo stomaco, e così anche per me iniziò un periodo nero, di nebbie. Solo dopo qualche giorno riuscii a rendermi conto che quel maledetto 27 marzo avevamo anche perso le elezioni.

Qualche giorno prima eravamo andate a cena tutte assieme: io, Francesca, Anna, Emilia, Maria, Francesca, Bibi ed Elisabeth, fra l’emozione di quel cameratismo qualcuna si fermò a dire: ma l’avete capito che Berlusconi sta vincendo le elezioni? Sì l’avevamo capito tutti, ma non riuscivamo ad ammetterlo. Ed anche dopo, dinanzi a quei risultati, non riuscivamo a capire come era stato possibile che Caponnetto, che a novembre aveva avuto un plebiscito, adesso era stato ampiamente surclassato da un fascista, conosciuto a Palermo per la sua irruenza fin dai tempi del sessantotto.
Quando le cose vanno male c’è anche il rischio di dividersi e così Orlando, che si sentiva mancare il terreno sotto i piedi, non riuscì a difendere la sua giunta dalle pubbliche accuse di «vetero-comunismo», rivolte dal teorico della Rete, Padre Pintacuda.
Noi ancora aspettavamo di essere convocate dall’assessore Saladino, l’incontro per un certo lunedì fu rinviato per indisposizione dell’assessore e da quella volta cominciammo a vedere con sospetto ogni rinvio di incontri. Iniziarono a circolare voci sulle dimissioni da assessore di Giuliana. Lei era a casa chiusa in un riservato silenzio. Dopo una settimana rese pubbliche le sue dimissioni «per motivi personali». Alla fine aveva resistito meno del previsto, si era preparata a combattere in un ambiente di lupi, ma evidentemente non si aspettava l’incomprensione di chi le stava vicino.
Avevo rabbia per la sua decisione, per come erano andate le cose, non glielo perdonavo perché capivo che lasciava monca una questione troppo importante per la nostra città, anche se comprendevo pienamente quali potessero essere state le sue ragioni.
Un motto di Orlando era: «Amata Palermo quanto ti odio, odiata Palermo quanto ti amo». Adesso eravamo noi cittadini a dire: «Amato Orlando quanto ti odio, odiato Orlando quanto ti amo».
Un altro tradimento fu per noi la sua candidatura a parlamentare europeo, sembrava che invece di rispondere all’insuccesso del proprio movimento governando al meglio la città, volesse esaurire la questione in un problema legato alla sua leadership. Voleva salvarsi dimostrando che presentandosi personalmente avrebbe ritrovato il consenso perduto, ed ora era a caccia di quei voti, tralasciando tutto il resto, e li cercava negli ambienti cattolici e di centro.
Io nel frattempo avevo ricevuto l’offerta di dirigere l’allestimento dei costumi per un Barbiere di Siviglia al teatro Vittorio Emanuele di Messina; l’idea di allontanarmi da casa per un mese, che in altri momenti mi avrebbe resa sgomenta, mi sembrò provvidenziale: ero un peso con la mia personale e insanabile ferita e avevo bisogno di stare un po’ sola; lasciai in asso anche le mie amiche che avevano deciso di organizzare una giornata di festa per il primo maggio a Villa Trabia.
Mentre a Messina ero alle prese con un immane lavoro, mi arrivavano in teatro le telefonate di Francesca ed Emilia, mi leggevano bozze di volantini, elenchi del programma della giornata, mi annunciavano anche il nome a molti sconosciuto del nuovo assessore alla cultura.
Si trattava di un professore di storia dell’arte dell’accademia, ex prete; chi lo conosceva non si pronunciava, unico indizio una mostra allestita qualche anno prima in Cattedrale, magnificente nel nome quanto nella quantità di spesa pubblica: «Stupor Mundi».

Il primo maggio andai alla festa da spettatrice, era il mio unico giorno di vacanza in tutto il mese e volevo stare il più possibile con le bambine. Per me fu un giorno difficile, ero straziata perché dovevo lasciarle di nuovo, tra l’altro nel frattempo la cistite di Vittoria sembrava qualcosa di più serio, avevo con me anche la figlia di Roberto: quanto me lo ricordava bambino!
Soltanto l’energia ottimistica di Anna che, offrendo torte e catechizzando persone dava un calcio ai suoi drammi, mi rimise in pista.
Sembrava un sogno poter passare il primo maggio con una scampagnata in città, distesi al sole in una foresta sotto casa senza automobili e ingorghi, la gente era felice, noi offrivamo solo le torte, ma molti si organizzarono un improvvisato picnic anche per il pranzo, eravamo state assistite come al solito dall’alto, sfruttando l’unica giornata splendida di tutto il mese.

Francesca, Emilia e le altre erano riuscite a compilare un programma bellissimo, tutti si erano prestati come al solito volontariamente, questa volta si continuava anche il pomeriggio e la giornata era così tiepida che nessuno alla fine voleva andare via. C’era stata l’eco del contenzioso che continuava fra il comune di Palermo nella nuova persona del city manager Scialabba e i soci del circolo Unione: la questione da noi sollevata circa il contratto d’affitto si era trasformata in un vero e proprio braccio di ferro. I presenti quel giorno stavano tutti dalla parte nostra e di Scialabba e i più estremisti convinsero gli altri a formare un corteo festoso con bambini in testa che, cadenzato da rulli di tamburo, si recò sotto la casena a reclamare quell’immobile per la città.

Il giorno che tornai definitivamente da Messina stavo cercando di riorganizzare la mia casa e la mia famiglia, quando arrivò la telefonata di Emilia e Francesca che, dopo frettolosi saluti, mi chiedevano se potevano passare un attimo. Cercavo di rimandarle al giorno dopo, volevo avere il tempo di fare mente locale, stare con le bambine.., non riuscii a fermarle, arrivarono subito dopo, Francesca col suo fare estremo di quando si definisce Bertinotti, Emilia razionalità pura… avevano ragione loro a riportarmi a questo mondo.
Si doveva urgentemente produrre un volantino da fare sottoscrivere durante le celebrazioni per il secondo anniversario della strage di Capaci che sarebbero iniziate pochi giorni dopo e Francesca non so come, era riuscita ad entrare in possesso della lista completa degli iscritti del circolo Unione, l’aveva intitolata: «Ecco gli intoccabili». Mentre me la porgeva, Emilia, a cenni, mi faceva riflettere sulla opportunità di essere più prudenti. Leggendo tutti quei nomi riuscivo anche a capire come per una persona che non è radicata da generazioni in questa città come Francesca, fosse grande la tentazione di deridere quel gruppo di Gattopardi: quella lista da sola senza commenti era già una denuncia, nomi di personaggi illustri su cui grava più di un sospetto di collusione con la mafia …Vanni Calvello, per esempio, colui del quale la Regina d’Inghilterra si era dovuta vergognare di essere stata ospite, e per questo motivo aveva intimato a suo figlio di non passare più da Palermo… insieme ad alti dirigenti di banca, politici in auge, professionisti stimati e molti blasonati. C’era riassunto tutto l’equivoco di questa città: fra loro alcuni di indiscussa integrità che per una sorta di pigrizia, magari senza mai frequentare, erano stati inseriti per diritto dinastico. Loro del resto stavano al gioco: i siciliani, come dice Tomasi di Lampedusa, «si sentono degli dei» e anche se illuminati non disdegnano del tutto gli ambienti esclusivi.

Pensavo proprio a questi che, vedendosi in tale compagnia, avrebbero sicuramente fatto qualcosa, e così proposi di mantenere la lista cambiando l’intestazione: «Facciamo appello alla coscienza di ognuno di voi soci del Circolo Unione» – e giù la lista di oltre duecento nomi e cognomi – «affinchè la casena di Villa Trabia finora frequentata da 212 persone possa essere fruita anche dai restanti 698.344 cittadini di questa città». La cifra era ottenuta sottraendo al numero degli abitanti di Palermo quello dei soci del circolo.

Sottoscrisse anche Nicolò Scialabba, in una mattina in cui stavamo a Villa Trabia per il calendario delle celebrazioni, e anche alcuni parenti di iscritti, che in famiglia continuarono a perorare la causa. Per il 23 maggio partecipammo al corteo con due striscioni su Villa Trabia e raccogliemmo moltissime altre adesioni.
Nel frattempo i soci avevano chiesto la sospensiva dell’ultimo provvedimento di sgombero al TAR, era un modo per loro di prendere ancora tempo. Potevamo averne per anni, le condizioni politiche erano cambiate e chiaramente a loro vantaggio e superato lo scoglio della giunta Orlando, chi li avrebbe più smossi di lì? Improvvisamente la sospensiva fu revocata, e chissà se per constatate loro inferiori argomentazioni o per timore di essere ancora presi di mira, fra i soci prevalse la linea morbida e a giugno annunciarono che entro l’estate sarebbero andati via.

Adesso che lo scoglio più grosso per noi stava per essere superato, adesso che si poteva parlare concretamente delle attività da svolgersi all’interno della casena, adesso… il nuovo assessore alle attività culturali del comune di Palermo, Giovanni Bonanno, esordiva con un articolo nel quale, prospettando un programma di grandi e costosi eventi culturali, annunciava che la casena avrebbe ospitato i propri uffici e qualche mostra di arte figurativa. Forse l’assessore non era al corrente degli accordi presi con chi lo aveva preceduto e cosi chiedemmo un incontro urgente.
Nel frattempo Salvo Pitruzzella, che si era sempre offerto di aiutarci in tutte le nostre manifestazioni, ci chiedeva il favore di organizzare un’altra festa a Villa Trabia per potervi inserire uno spettacolo che aveva preparato con gli ospiti di una casa-famiglia della USL 59. Non era il momento di festeggiare ancora, volevamo prima ricevere delle certezze dal comune prima di restare a futura memoria come le festaiole della città, e l’assessore non voleva ancora riceverci. Però a Salvo non si poteva dire di no e nemmeno agli ospiti della casa-famiglia. A proposito di questa USL avevamo visto qualche giorno prima in televisione, un servizio che denunciava varie inadempienze ai danni dei ricoverati, fra cui l’acquisto di una palestra destinata poi al body-building dei figli dei dirigenti. Così decidemmo di fare la festa e incaricammo Salvo di chiedere il permesso per utilizzare la villa quel giorno.
Gli fu risposto di no perché erano in previsione per i giorni seguenti quella data dei concerti sinfonici nel la villa e l’assessore non voleva contaminare i due avvenimenti. Salvo, con alcuni medici della USL 59, riuscì a farsi dare un appuntamento per discuterne, dicendo che si sarebbe portate dietro anche le organizzatrici della manifestazione, e così l’assessore ricevette anche noi.
In alcuni film di Hitchcock ci sono scene che sembrano incubi, in cui il protagonista ritorna sul luogo dove è certo di trovare importanti prove e trova tutto cambiato, facce, persone, mobili, atmosfere, tutti a negare l’evidenza, e così accadde nello stesso luogo dove già eravamo stati accolti dall’affabilità di Giuliana e dei suoi collaboratori: l’enorme tavolo, prima pieno di carte, progetti, proposte, appunti disordinati, adesso aveva la purezza e l’ordine di un altare consacrato, tutto era più spoglio e più essenziale, c’erano facce a noi sconosciute che si avvicendavano a quel tavolo col tono sommesso del suggeritore discreto. E poi c’era lui, come un vate benedicente, che per non tradire il suo linguaggio aulico ci chiamava «professoresse».

Dovemmo subire un’orazione con diverse citazioni latine prima di giungere al dunque, ci accontentò con molta magnanimità per una cosa per la quale non avevamo dovuto penare neanche ai tempi del commissario Piraneo, e cioè il permesso di ottenere il suolo pubblico per la prossima manifestazione. Ma, giunti all’argomento casena, ricominciò con il suo catechismo mostrando di non avere mai letto il programma di governo della giunta alla quale aveva chissà perché accettato di prendere parte. Non conosceva gli atti compiuti dal suo predecessore, né mostrava alcun interesse nel conoscerli, anzi aveva il tono di chi era stato chiamato a correggerli; del fascicolo col progetto sulla casena, che era stato protocollato quando era assessore Giuliana, non vi era alcuna traccia né alcuno voleva prendersi la briga di indagare, insomma, una situazione chiusa che stava facendo diventare sempre più rubizze le guance di Francesca.
L’assessore anche in quell’incarico, come prima con i voti ecclesiastici, si sentiva investito di una missione, quella di restituire gloria alla nostra cultura e questo doveva avvenire con una serie di eventi che l’avrebbero sdoganata dal suo isolamento geografico, e quindi grandi mostre importate già confezionate e incontri con esponenti illustri, cene, buffet, convegni, tutto con il tono adeguato… E quindi la casena, sede dell’assessorato, sarebbe diventata con la sua autorevolezza di sito il luogo propulsore di tutti questi eventi, il luogo dove egli nella sua qualità di assessore avrebbe ricevuto ambasciatori e uomini di stato di passaggio a Palermo. Il parco, bello sì ma troppo vasto, avrebbe potuto essere il luogo ideale dove costruire un moderno auditorium con tante occasioni di posteggio attorno.
Ricominciammo come se nulla fosse ancora stato mai detto su Villa Trabia a ricapitolare tutto quanto, chi eravamo noi, che cosa avevamo fatto, quale era il nostro progetto che l’assessore Saladino stava portando avanti prima che (maledizione!) si dimettesse. Ci guardava stupito, sembrava capitato a Palermo da un altro pianeta, ci ascoltava attento come un confessore … e poi ricominciava …vede professoressa…gli anziani, i bambini.., in un sito settecentesco… lei capisce… Anche se avesse continuato completamente in latino, nulla si sarebbe aggiunto di più al nostro divario linguistico. Ci levammo la soddisfazione di precisare che non eravamo professoresse e lo lasciammo al suo puntuale autista che doveva ricondurlo a casa per il pranzo. Anche in questo la differenza con chi l’aveva preceduto era abissale: Giuliana consumava un rapido panino e continuava con gli altri fino a tardi; Vedevo certe volte accese le finestre di quell’assessorato fino alle otto di sera, adesso alle due si chiudeva. Tanto anche restando aperti…

Per annunciare la nostra festa rispolverammo un articolo di febbraio nel quale Giuliana annunciava l’imminente nascita del centro polifunzionale, accanto a quello di giugno dello stesso giornale nel quale l’assessore Bonanno parlava della casena come futura sede del suo assessorato. Preparavamo una manifestazione agguerrita e cercavamo di prevenirla parlando direttamente con Orlando; mandammo la copia della stessa richiesta di convocazione in tutti i modi consentiti dalla burocrazia comunale, volevamo anche capire come dei comuni cittadini potessero riuscire a mettersi in contatto col proprio sindaco… nessuna risposta.
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ho letto,anzi no, divorato con grande piacere e una sottile vena di nostalgia e rimpianto queste pagine che restituiscono a noi tutti, non solo palermitani, il ricordo e l’atmosfera di giorni che hanno fortemente segnato nel bene, più che nel male, il nostro percorso di vita. il racconto della frenesia di quegli anni, della forza legata ai nostri sogni e desideri,spesso osteggiati ma non per questo sviliti, è davvero una chiave per poter tornare a sperare… e sappiamo tutti quanto in questo momnento abbiamo bisogno di credere di nuovo in progetti di spessore. grazie