Introduzione
Gli archeologi che nei primi anni del ventesimo secolo presero parte agli scavi della reggia di Cnosso di epoca micenea, nell’isola di Creta, devono aver faticato non poco per riportare le loro analisi dei reperti entro un linguaggio prettamente scientifico. Gli affreschi del palazzo erano affollati da seni nudi e floridi così come numerose statuette in ceramica che raffiguravano una stessa dea, abbigliata alla moda delle corti rinascimentali, intenta a brandire un serpente in ogni braccio alzato al cielo. La dea fu soprannominata “dei serpenti” e diventò l’oggetto di lunghi studi per ricercare il significato simbolico di quei seni scoperti, veramente ben torniti, e quei serpenti. Ma la cosa che maggiormente colpiva era la sensualità di quest’icona femminile che con un seno prosperoso, un ventre strizzato ed una gonna a campana riproponeva l’intramontabile cliché della silhouette a clessidra, che ancora resisteva nella moda di quegli anni, con la curva ad S della Gibson Girl e del corsetto a becco di cigno. Sembrava così che la moda femminile avesse sempre girato attorno ad un unico ideale femminino capace di suscitare desideri e passioni; mentre in un’epoca già attraversata dal vento riformatore delle battaglie delle suffraggette, gli oppositori dell’emancipazione femminile sostennero che se la donna aveva avuto necessità di stringere il ventre per quattromila anni, questo significava una certificazione della debolezza della sua spina dorsale. Era solo uno dei capitoli di una guerra altalenante fra un movimento riformatore e le industrie manifatturiere, che orientavano il gusto femminile verso capi di abbigliamento costrittivi che esemplificheremo col termine corsetto, accompagnato da un altro, crinolina, che sta ad indicare le sottostrutture rigide che sostengono le gonne. Va anche detto che pur trattandosi di coercizione fisica quella del corsetto era per lo più una volontaria pratica auto-inflitta, semmai suggerita con abili strumenti di persuasione, in un gioco di ruolo in cui non si svelavano mai le vere intenzioni e in cui l’erotismo era il manovratore occulto. Probabilmente tante motivazioni medicali a sostegno dell’uso del corsetto erano espedienti per potersi profondere nella descrizione di un sensuale feticcio al quale era difficile resistere e in cui la scomodità, se non la tortura, giocava un ruolo masochistico. Quando poi nella storia della moda il sottile gioco della costrizione fisica giungeva oltre l’umana sopportazione, si innescava un fase ciclica che portava al rifiuto e poi ad una nuova restaurazione. Il primo atto di ribellione a tali sotto-strutture, di cui siamo a conoscenza, si levò in concomitanza della rivoluzione francese, un secondo momento di grande contrasto si ebbe negli anni venti del ventesimo secolo, quando il mondo stava riprendendosi dalla prima guerra mondiale ed era attraversato da una profonda crisi economica, il terzo e definitivo colpo fu invece inferto dopo i moti giovanili iniziati nel 1968: stiamo parlando di tre momenti significativi nella rivoluzione del pensiero seguiti a dirompenti balzi politici. Possiamo quindi affermare che l’effimera e vanitosa moda femminile sia strettamente collegata ai cambiamenti sostanziali della storia e applicando alla moda il processo hegeliano, possiamo notare che ogni provocazione genera una reazione, per attestarsi infine ad una soluzione di compromesso; tradotto in termini di stile in aggiustamenti scivolosi che a poco a poco, attraverso tentativi spesso goffi e grotteschi, riescono a riportare la sagoma muliebre entro i canoni rigorosi e costrittivi della clessidra micenea, delle circonferenze perfette del petto, della vita e dei fianchi. Questi tre elementi sembrano infatti, a torto o ragione, sintetizzare l’ideale femminile attraverso la storia del costume occidentale e non sappiamo bene il perché. Il seno ci riporta alla maternità ma è anche un elemento di attrazione sessuale, per quale delle due funzioni è messo in evidenza? I fianchi rotondi favoriscono un parto sereno ma sono anche un attributo di richiamo sessuale. Il ventre compresso non ha evidentemente alcun riferimento al periodo di gestazione, anzi è la sua negazione, sta qui forse il nodo? Vogliamo riportare tutto all’ancestrale invidia del genere maschile verso la capacità di generare della donna? Non esageriamo, andando avanti in questo studio ci accorgeremo che uomini e donne hanno semmai giocato al cane e gatto piuttosto che alla vittima e al carnefice. Semmai possiamo dire che il perfetto ideale femminino viene evocato e sfruttato ogni qual volta bisogna guarire il mondo da crisi economiche, eventi bellici e rivoluzioni del pensiero; perché specie se le donne in questi frangenti hanno attraversato un momento di riscatto, sono destinate a vedere prima o poi un’implacabile restaurazione, impersonata proprio dalla rinnovata popolarità del corsetto. Questo piccolo saggio è stato scritto in un momento di grave crisi economica, quindi vi suggerisco di vigilare sulle proposte di moda dei prossimi dieci anni se non vogliamo nuovamente vedere il genere femminile imprigionato in busti e crinoline. Nel frattempo però possiamo riflettere e divertirci, poi farci sedurre dal richiamo malizioso di questi vezzosi gingilli, infine trovare per loro la giusta collocazione, che è quella del gioco.
1 La dea dei Serpenti


Questa è la riproduzione di una delle numerose sculture antropomorfe in ceramica reperite fra gli scavi di Cnosso nell’Isola di Creta in Grecia (Datazione circa 1600 anni a.C.). Le statuette, quasi uguali fra di loro, mostrano “La Dea dei serpenti”, una divinità femminile che deriva dalle veneri paleolitiche e dalle dee madri, per questo motivo ha il seno scoperto e copricapi molto elaborati, mentre è molto discusso il significato dei serpenti che stringe fra le mani. Da questo reperto possiamo iniziare la nostra storia che arriva quasi ai giorni nostri.
E’ molto singolare il fatto che le donne micenee avessero adottato un abbigliamento del tutto differente da quello delle fogge precedenti e che tale moda sia poi completamente sparita dalla storia del costume, per riapparire tremila anni dopo con il verdugale ed il corsetto del sedicesimo secolo. Alcuni studiosi sostengono che la gonna a balze delle statuette micenee fosse ottenuta con delle cerchiature d’osso, esattamente come nel verdugale francese e che la vita fosse resa sottile da cinture. rigide e comprimenti. Ai Micenei piaceva quindi la vita sottile e piaceva anche la linea della gonna a campana, sappiamo anche che erano degli abili tessitori e quindi possiamo presumere che la manifattura degli abiti poteva essere abbastanza elaborata, anche perché sembra che nelle balze della gonna ci sia una sorta di patchwork di motivi geometrici differenti, il che denuncia una elaborata lavorazione del tessuto. Gli studiosi sono ancora al lavoro per spiegare la simbologia del seno nudo e dei serpenti fra le mani, i profani possono solo notare che quei seni tondi e ben torniti che fuoriescono dalla sagoma perfettamente tonda di un abito ben disegnato siano a dir poco conturbanti. Possiamo anche notare un perfetto equilibrio di volumi, dal cappello a corona svasata, al corpetto attillato, poi la cintura in rilievo, le maniche al gomito, le gonne a balze e un grembiale rigido uguale sia nel davanti che nel dietro. Poiché anche gli uomini erano ritratti delle pitture di quel periodo con la vita molto sottile, si crede anche che essi usassero cinture per garantire che la vita fosse stretta stringendola fin dalla giovane età.
In occasione dello spettacolo Elettra di Richard Strauss con la regia di Giorgio Pressburger e le scene e i costumi di Aldo Rossi, andato in scena al teatro greco di Taormina nell’estate del 1992, nei laboratori Arteinscena realizzai una copia di questo costume, almeno era una sua interpretazione. La gonna è stata cerchiata come nelle crinoline ottocentesche e il corpetto è stato rinforzato con stecche a spirale rigida. Un lavoro di patchwork e galloni ha cercato di riprodurre il disegno originale di una delle statuette.

2 Cosa succedeva nell’antichità
Sappiamo quindi che i minoici usavano corsetti attillati, soprattutto le donne che cingevano le vite con pesanti anelli e vestivano un bolero che dava supporto al seno, lasciandolo nudo. Ma cosa successe prima e dopo in altre civiltà pre-cristiane?
La pittura vascolare
Se osserviamo le figure femminili nella pittura vascolare dei periodi Egizio, Assiro, Greco e Romano le donne appaiono spesso come inguainate in corsetti, né vi è da dimenticare che in quelle culture le donne generalmente prendevano parte ad intense attività fisiche, come la ginnastica e la tauromachia, che necessitavano l’ausilio di bende ed indumenti costrittivi. Sappiamo ad esempio che le donne Greche vestivano bende chiamate zona mentre in Egitto esse indossavano una benda intorno al busto come parte del loro abbigliamento esterno.
La cura per il corpo
Anche il popolo romano infatti, come testimoniano le costruzioni adibite a terme e palestre giunte fino a noi, teneva in grande considerazione la cura per il proprio corpo, che lavava, profumava, massaggiava, e allenava quotidianamente. Ballerini e atleti romani di ambo i sessi indossavano poi il subligaculum che era un pezzo di lino, passato tra le cosce e allacciato intorno alla vita.
Le donne romane comprimevano il seno

Le donne romane usavano fasciae per comprimere il seno, come forma di superiorità sulle schiave, per mostrare il loro status superiore. Gli uomini dell’antica Roma non tolleravano infatti la vista dei seni femminili troppo grandi o, peggio ancora, flosci e cadenti (che gli ricordavano i costumi delle donne barbare), quindi le signore adottavano tutta una serie di accorgimenti atti allo scopo: ad esempio il mamillare che era una fascia di cuoio che serviva per appiattire e contenere la crescita, lo strophium, che come gli odierni reggiseno criss-cross, sosteneva senza comprimere, mentre, se di seno ce n’era veramente troppo, si ricorreva al cestus, un corpetto di cuoio morbido che dall’inguine, arrivava alla base del petto. Tutti questi accessori suscitavano negli uomini una forte carica erotica tanto che si sviluppo per essi un vero e proprio culto feticista.
3 La moda intima nel medioevo
Nel immaginario popolare la storia della moda nel Medioevo è un lungo susseguirsi di paludamenti non molto differenti l’uno dall’altro che coprono donne e uomini dalla testa a i piedi, ma il Medioevo è un periodo di tempo talmente vasto che sarebbe un’ingiustizia non soffermarsi ad osservare le sue trasformazioni nel costume.
I Barbari
Le popolazione germaniche, i cosiddetti barbari, avevano usi e costumi molto rudi e primitivi e le documentazioni sul loro abbigliamento, per lo più reperti originali, sono molto frammentari, ci mostrano delle braghe maschili probabilmente indossate senza mutande intime, mentre nulla si sa dell’abbigliamento interno della donna. Si sa che i Goti indossavano una tunica bianca, come primo indumento sulla pelle, mentre risulta che i Longobardi usassero un indumento a protezione dei genitali e, addirittura, camicie per la notte.
I Cristiani
Nella Bibbia si parla di una pettorina di tela di juta indossata al posto della cintura, usata più per esigenze funzionali che estetiche, mentre i primi Cristiani usavano degli indumenti intimi che erano in realtà degli strumenti di costrizione e tortura, come le corde strette per penitenza alla vita fino a che il laccio mordeva la carne. Poi vi fu la moda dall’est importata da Costantinopoli dove le donne, al pari di quelle di Alessandria, come costrizione avevano adottato l’uso di una stretta cinta ingioiellata.
Il Bliaut
Durante il Medioevo prevalse l’idea che il corpo fosse qualcosa di peccaminoso, da nascondere sotto volumi informi, di conseguenza nessuna attenzione poteva essere data all’abbigliamento intimo. Ciò non impedì comunque l’imporsi lento e progressivo di un abbigliamento femminile sempre più sagomato sul corpo e tagliato ad arte. Parte di questa sagomatura veniva infatti conquistata col sapiente uso di teli di stoffa utilizzati ora in sbieco e ora in drittofilo. E’ il caso del bliaut (quì illustrato) indossato nel dodicesimo secolo, una veste molto elaborata e complessa che proponeva un tronco molto ben modellato, ottenuto con l’ausilio di un corsetto esterno, anche se esso cambiò di foggia nel tempo e a seconda della locazione geografica.
Gli antenati del corsetto
Nel tredicesimo secolo veniva indossato un corsetto intimo che però non era rigido, questa abitudine continuò nei secoli successivi ma talvolta l’indumento venne indossato esternamente, come se fosse un gilet. Dal quattordicesimo secolo si notò invece la crescente introduzione di dettagli dettati più dal capriccio che dalla necessità, come le allacciature esterne che servivano per modellare gli indumenti sul corpo. Ma soltanto con l’uso di un tessuto irrigidito si riuscì poi a raggiungere la giusta silhouette, quando ancora gli elementi comprimenti erano però incorporati nell’indumento piuttosto che costituire un capo di abbigliamento a se stante.
4 1556 il corsetto di ferro


Il corsetto nacque in Italia
I primi supporti artificiali conosciuti adesso come corsetti, vennero fabbricati in Italia nel sedicesimo secolo, erano chiamati choche e più tardi in Inghilterra sarebbero stati chiamati stays o pair of bodies. A quel tempo in Italia l’abito cucito in pesanti broccati a disegni in rilievo era già assurto a simbolo di posizione, rango e ricchezza e il corsetto estremamente rigido doveva mostrare l’ampio disegno della stoffa per contribuire a palesare la posizione sociale di chi lo indossava.
Alla corte di Caterina
Caterina De’ Medici, italiana di nascita, estese la moda dei corsetti anche nel regno di Francia, alla cui corte si raggiunse una tale esagerazione nella ricerca della linea liscia e sottile che la misura ideale della circonferenza della vita divenne trentaquattro centimetri.
Uno strumento estremo
Nella corte di Caterina De’ Medici furono introdotte anche delle ossature interamente forgiate in ferro, é proprio il caso di affermare che si trattava di una forma estrema di costrizione. Solitamente costituiti da quattro placche con disegni ornamentali perforati, questi corsetti metallici erano collegati ai lati e al davanti mentre solitamente lasciavano la parte posteriore scoperta per entrarvi ed uscirvi agevolmente. Una volta allacciato il corsetto di ferro era in grado di conferire una forma liscia, diritta e rigida alla parte anteriore dell’abito e si riteneva che avesse anche una sua praticità. Data la durevolezza del materiale di costruzione, sono giunti a noi diversi reperti originali di questi corsetti di ferro e questo in un primo tempo aveva fatto pensare che fossero l’unica forma di costrizione del torso a quell’epoca. Salute o bellezza?
Non si sa comunque con precisione se i corsetti di metallo fossero di uso quotidiano, se costituivano un ausilio ortopedico per chi aveva dei problemi alla schiena o se venivano utilizzati solo in occasioni particolarmente importanti. Di sicuro questi indumenti incredibilmente scomodi e pesanti erano indossati solamente da dame che non svolgevano alcuna attività fisica.
La biancheria intima
Per fortuna il corsetto non veniva indossato a contatto della pelle, sotto c’era generalmente una camiciola di lino o smock che poteva avere una scollatura bassa e squadrata, oppure un collo alto, quest’ultimo era guarnito con volant pieghettati come nelle camicie maschili, o con raffinati merletti. Talvolta vi erano anche dei mutandoni chiamati drawers, che potevano essere ricamati all’orlo delle gambe ed erano allacciati alla vita anteriormente e posteriormente. Le gonne venivano modellate e mantenute rigide mediante verdugali, o gonne cerchiate, di cui parleremo nella pagina successiva.
Il verdugale spagnolo
5 Il verdugale (Verdugado in spagnolo, Farthingale in inglese)


Negli anni cinquanta del sedicesimo secolo dalla corte ispanica si diffuse in tutta l’Europa occidentale l’uso di una sottostruttura rigida per sostenere le gonne, chiamata Verdugale Spagnolo. Si trattava di una sottogonna di lino che sorreggeva e ampliava le gonne mediante l’inserimento di cerchi orizzontali rigidi che le conferivano una forma conica, crescendo in larghezza dai fianchi al pavimento. I cerchi potevano essere fabbricati in legno, giunco, fil di ferro o stecche di balena. Non era un indumento comodo ma aveva il principale effetto di assicurare un portamento leggero ed elegante. Più tardi si sarebbe diffusa l’abitudine di posare sui fianchi del verdugale un rotolo di materiale imbottito, chiamato bum roll, capace di conferire maggiore ampiezza alle gonne che così si allargavano uniformemente ricadendo in morbide pieghe fino al pavimento. Il bum roll aveva dei nastri che permettevano di mantenerlo stretto alla vita sistemandolo sul verdugale, talvolta poteva essere indossato senza di esso, specialmente in Francia dove il verdugale Spagnolo ebbe popolarità abbastanza limitata.
Nella corte conservatrice Spagnola, il verdugale a cono resistette molto più a lungo che in qualsiasi altra parte d’Europa, cioè fino agli anni cinquanta del diciassettesimo secolo, quando poi fu definitivamente rimpiazzato dalla sua variante francese.
Il verdugale francese
Se la moda del verdugale Spagnolo, dalla forma conica, perdurò solo nella madre patria, negli altri paesi Europei dal 1580 fu rimpiazzato dal Verdugale Francese, dalla forma a tamburo. Con esso la silhouette femminile arrivò ad assomigliare ad un vassoio posato sui fianchi. Perpendicolare alla vita vi era infatti un disco tondo che scendeva come un cilindro fino al pavimento ma la punta anteriore a V della pettorina faceva inclinare in avanti il disco, creando un effetto di prospettiva forzata responsabile di quel senso di disorientamento che proviamo osservando i dipinti dell’epoca, per esempio quelli che raffigurano Elisabetta d’Inghilterra. Generalmente dei raggi di bambù mantenevano rigido il disco superiore, cioè all’altezza della vita, ma con la maggior parte della circonferenza spostata nella parte posteriore, da essa scendeva una sottana liscia come la faccia di un cilindro che raggiungeva il pavimento. Sopra questa struttura venivano di solito indossate tre voluminose sottogonne e poi sopra l’intero abito, la cui gonna era generalmente steccata. Il verdugale a ruota fu indossato dalla corte inglese fino alla morte di Anna di Danimarca nel 1619.
6 1598: Il corsetto appartenuto alla Contessa Palatina Dorotea Sabina di Neuburg

Separazione del corpetto dalle gonne
Nella moda femminile del sedicesimo secolo si assistette alla separazione del corpetto dalla gonne, spesso pesanti e sovrapposte. Il corsetto interno ben stringato permetteva al corpino di stare teso creando un contrasto fra il volume della parte inferiore e la forma smilza della parte superiore. Parallelamente all’uso del corsetto di ferro, in tutta Europa si diffuse la moda di un corsetto più moderno e meno scomodo, irrigidito da stecche di balena, metallo o legno inserite nel tessuto di lino robusto.
Il primo reperto in tessuto
Il corpetto interno veniva chiamato body o corps ed esiste un suo reperto originale che è quello appartenuto alla Contessa Palatina Dorotea Sabina di Neuburg (datato approssimativamente 1598), si tratta anche del primo corsetto intimo ad essere stato preso in esame dagli studiosi di storia del costume. Il corsetto ha una larga stecca di legno al centro davanti che già in quell’epoca veniva chiamata busk (il busk, anche chiamato busque, è l’elemento rigido posizionato al centro davanti del corsetto) e altre quattro stecche al centro dietro, mentre la forma del seno è conferita mediante delle impunture longitudinali in tutto il torso, nervature che determinano ognuna un leggero restringimento della circonferenza e che terminano in corrispondenza della sagoma rotonda del sottoseno. Con questa lavorazione molto elaborata risultava libera dalle nervature e quindi più morbida, una coppa simile a quella della moderna guepiere, anche se non molto accogliente, il seno veniva quindi inevitabilmente schiacciato, mentre busk, stecche e nervature conferivano rigidità al corsetto. Nella parte posteriore, all’altezza del giro vita, partivano verso il basso dei tasselli rettangolari che sistemandosi, sotto la sottogonna saldavano insieme i due indumenti, abitudine che resterà per i secoli diciassettesimo e diciottesimo.
Body o pair of bodies?
Il corsetto diventò elemento comune del vestiario femminile ed in Inghilterra veniva chiamato pair of bodies quando era realizzato in due valve, per essere allacciati sia anteriormente che posteriormente; se invece constava di un solo pezzo (come in questo caso) e stringato solo nella parte posteriore, esso veniva chiamato body.
Una manifattura destinata a durare
Il metodo di manifattura del corsetto del sedicesimo secolo era destinato a sopravvivere fino agli anni sessanta del diciannovesimo secolo, quando l’invenzione della macchina da cucire avrebbe permesso delle impunture molto più elaborate. Esso consisteva nel confezionare diversi strati di tessuto irrigidito, impunturati fra di loro in modo da formare apposite guide in cui venivano inserite delle stecche di legno o metallo, questo permetteva di mantenere la figura rigida e tesa, appiattire il ventre e spingere in alto il petto che lasciava visibile la parte superiore.
7 “The effigy corset”, il corsetto di Elisabetta I° di Inghilterra, fine del 16° secolo




Una sagoma sorprendente
Molti si sono chiesti come Elisabetta prima d’Inghilterra riuscisse a comprimere il proprio ventre fino a raggiungere una silhouette dalla stilizzazione essenziale. Sembrava quasi che i suoi ritratti fossero il frutto dell’approssimazione dei pittori di corte. Il ritrovamento del suo ultimo corsetto ha invece svelato l’ossessione della Regina per il raggiungimento di un torso perfettamente conico.
The effigy corset
Il secondo reperto originale di corsetto, oggetto di attenzione da parte degli studiosi di moda, è stato l’ effigy corset della regina Elizabetta I d’Inghilterra, conservato nell’Abbazia di Westminster insieme al manichino che riproduce le sue proporzioni corporee (effigy, appunto), ad un paio di mutandoni (drawers) e ad altre oggetti a lei appartenuti. Si pensa che questo paia di body, chiamato anche stays, sia stato indossato negli ultimi anni di regno (ricordiamo che la regina è morta nel 1606).
La cura per ogni dettaglio
Il reperto originale in questione è tagliato in tre parti, una posteriore e due anteriori, ed è allacciato solo anteriormente. La sezione anteriore ha due fianchini leggermente curvati e due bretelle larghe che partono dal centro dietro e si irradiano ad un angolatura di trenta gradi rispetto alla linea del centro dietro; stringendosi al culmine esse vanno ad annodarsi ai lati della scollatura anteriore. Le due sezioni anteriori formano un’ampia scollatura mentre il centro davanti termina in una punta all’in giù molto bassa a larga. Questo per potersi adattare alla scollatura dell’abito alla moda che aveva lunghe pettorine. Il corsetto si allaccia al centro davanti irrigidito da due busk, con 29 occhielli per ogni lato, mentre il resto è completamente steccato con ossa di balena larghe circa un centimetro e mezzo, inserite dentro canali impunturati fra i due strati del corsetto. L’intelaiatura si estende nei tasselli della baschina ad essa incorporati, che vanno rastremandosi da una larghezza di circa sette centimetri ad una di tre e che sono lunghi circa dieci. Questo corsetto è stato confezionato con del fustagno di cotone tessuto in saia diagonale ed è interamente orlato con pelle morbida, intorno agli orli inferiori e superiori e alle spalline. Sotto le scollature delle braccia sono stati anche ritrovati dei brandelli di tessuto di lino, presumibilmente il residuo di sottoascelle rimuovibili applicate lì per assorbire il sudore.
8 1610 Corsetto dei primi anni del diciassettesimo secolo

Dall’inizio del diciassettesimo secolo gli abiti femminili iniziarono a perdere parte della rigidità che aveva caratterizzato la moda precedente, così le gonne divennero più morbide e fluttuanti e furono sostenute dal solo bum-roll, che creava un rigonfiamento attorno ai fianchi facendole poi ricadere gonfie e morbide al pavimento. La moda sembrava attraversare un momento di incertezza, indecisa fra le geometrie del periodo elisabettiano e il rilassamento delle forme seicentesche.
Lo stays
Il corsetto, che adesso si chiamava stays, era interamente steccato in modo da assottigliare la vita e spingere in alto la rotondità dei seni, tuttavia era meno costrittivo di quello del periodo elisabettiano e, analogamente a quella del corpetto dell’abito, aveva la vita leggermente più alta.
Evoluzione della manifattura
Il corsetto adesso veniva tagliato più sapientemente, infatti aveva tre elementi diversi per ogni valva che erano: centro davanti, fianchino laterale e centro dietro, mentre erano ancora presenti i tasselli a baschina posti dalla vita in giù. Inoltre esso iniziava ad essere confezionato con maggiore cura tanto che durante il corso del secolo la moda gli consentirà più volte di essere mostrato come parte di dell’abbigliamento esterno. Questo tipo di manifattura sarebbe rimasta pressoché invariata per almeno tre secoli e consisteva nel confezionare due corsetti differenti, potremmo dire uno (tagliato in drittofilo) con la stoffa che visibile all’esterno e un’altro (spesso interamente tagliato in sbieco) con una tela abbastanza consistente ma di minor valore. Una volta cuciti i due corsetti differenti e appiattiti verso l’interno i margini di cucitura (mediante stiratura con ferro caldo) li si facevano combaciare mantenendo internamente i due rovesci del lavoro. A questo punto, assicurando con una sapiente imbastitura ogni linea di cucitura dei due lembi sovrapposti, si passava ad impunturare tutto il corsetto in modo che restavano libere soltanto le guide (o tasche) per l’inserimento delle stecche. In questo modo il corsetto assumeva quell’aspetto rigido e teso, come un tamburo, che conferiva al torso femminile un aspetto geometrico.
Un cuscino per sorreggere il seno
Spesso, nei corsetti che come questo avevano la forma di cono rovesciato, veniva posto al suo interno un cuscinetto all’altezza del sottoseno che teneva sostenuti i due seni ed evitava che il cono risultasse “ammaccato” all’esterno. Il procedimento di confezione di un corsetto, passo passo, è spiegato con esaurienti illustrazioni alla fine di questo volume.
9 1625 corsetto

La donna pingue
Durante il diciassettesimo secolo ci fu un lasso di tempo in cui la moda femminile sembrò accontentarsi di un basso profilo, mentre l’ideale femminino vedeva progressivamente allargare la silhouette fino a raggiungere proporzioni corporee che nelle moderne tabelle oscillerebbero fra il sovrappeso e l’obesità. I ritratti dell’epoca ad esempio non cercavano neanche di nascondere inestetismi quali il doppiomento o il cuscinetto di grasso sotto la nuca, evidentemente erano dettagli che piacevano in un mondo dominato dal dibattito religioso e dal puritanesimo. La donna infatti tornò a nascondere il proprio corpo come nel primo medioevo e l’unico vezzo concesso fu quello di mostrare candidi pizzi inamidati in abiti accollati, forse come segno di purezza. Guardandola con i nostri occhi la donna seicentesca sembra avere assunto la forma di un melone, ma questo non vuol dire che fosse meno costretta dalle sottostrutture, era infatti ingabbiata in un corsetto, o stays, che in certi casi rimaneva parzialmente in vista, diventando parte dell’abito (mettere immagine donna 1625).
Il corsetto
Sebbene meno stretto di quelli precedenti, il corsetto di quest’epoca mostrava una novità interessante che era l’accentuato protagonismo del busk, cioè la stecca posta longitudinalmente al centro davanti, che adesso era molto larga e profonda verso l’inguine. Dato che la moda consentiva la vista di una sezione del centro davanti del corsetto, al posto dei tasselli in basso vi era un’elegante sagomatura che contornava l’ampia larghezza del busk, sia a destra che a sinistra.
Il busk

Il busk, che veniva anche chiamato busque ed era l’elemento rigido di un corsetto piazzato al centro davanti, che d’ora in poi avrebbe costituito un dettaglio di moda dall’importanza sempre crescente, fino a diventare un oggetto di culto, addirittura un feticcio, nel secolo successivo. Il busk poteva essere di legno, di avorio, o di osso di balena e come tutte le altre stecche veniva inserito dentro apposite tasche lasciate libere dall’impuntura, veniva poi annodato al suo posto con allacciature chiamate busk point. Le allacciature che mantenevano i busk al loro posto erano però separate da quelle che sostenevano il corsetto. Dato che il corsetto era parzialmente in vista la sua confezione era molto meticolosa e attenta alle rifiniture sottolineando, nel disegno e nei ricami, la presenza del busk centrale.
10 1635 corsetto corto

In questi anni i rigidi broccati degli abiti dell’epoca elisabettiana avevano già lasciato il posto a tessuti più morbidi. Era scomparso il rigido verdugale e perfino il bum roll, sostituito da una serie di gonnelle chiuse assicurate alla linea del vita del corsetto, che potevano anche essere dieci con l’effetto di allargare la figura in modo goffo e disordinato. Il corsetto poi si era accorciato notevolmente, circa di dieci centimetri e questo, unitamente ai volumi delle gonnelle, poteva far sembrare tutte le donne in stato interessante. Il corsetto constava di tre elementi differenti per ogni valva, un centro dietro, un ampio fianchino sagomato che andava da un quarto di schiena fino alla linea del seno, infine un piccolo elemento corto centrale che si congiungeva ad esso, di forma quasi rettangolare.

Non sono giunti a noi molti reperti originali di quest’epoca, anche perché spesso il corpetto esterno era steccato ed e inamidato e rendeva superfluo l’uso di un elemento analogo al suo interno.
Questo corsetto aveva la scollatura quadrata e le spalline incorporate al dietro che si congiungevano alla pettorina, era tagliato in modo da spingere in alto i seni, aveva i tasselli come baschina ed era allacciato al centro dietro mediante ganci ed occhielli..
11 1665 corsetto

Dopo gli anni quaranta del diciassettesimo secolo l’effetto generale della moda femminile era quello di crescente sciatteria, anche se le donne erano sempre costrette nei busti e nei rigidi corsetti, addirittura di nuovo molto allungati e quindi estremamente scomodi. Il corpetto era spesso costruito sopra il corsetto, certe volte invece diventava parte del corpetto esterno ed era montato su una base interna steccata. In alcuni casi, come già detto, si pensò di fondere indumento e corsetto che così diventava un’unica parte superiore dell’abito, dispensando dall’uso del busto intimo.
Comunque vogliamo intenderlo, corpetto o corsetto, esso era pesantemente steccato e allacciato al centro dietro, con spalline regolabili. Possiamo anche dire che era tagliato in un modo alquanto irrazionale e l’effetto era quello di aggiungere volumi lì dove non c’erano senza correggere l’inestetismo di un addome spesso troppo pronunciato, in più il taglio delle spalle rendeva difficile il movimento delle braccia, sembrava proprio che i sarti avessero dimenticato tutti i trucchi del mestiere per seguire le forme anatomiche del corpo femminile. Essendo il corsetto nuovamente sceso al livello della circonferenza della vita, erano ricomparsi i tasselli rettangolari che formavano la baschina, anche se di dimensione maggiore e di numero inferiore. Sotto si indossava sempre la chemise con numerose sottane ed era ricomparso un piccolo bum roll di forma tubolare. Non soltanto il busk ma tutte le stecche erano molto larghe, nel caso inoltre che corpetto e corsetto fossero un unico elemento, le impunture che delimitavano le tasche in cui venivano inserite le stecche, diventavano un elemento decorativo. La morale dell’epoca imponeva la pudicizia così le donne coprivano le ampie scollature con degli scialli o stole.
12 1675 Corsetto

In questo periodo si assistette ad un radicale cambiamento nella silhouette femminile che tornò ad assottigliarsi ponendo rinnovata enfasi alla magrezza del busto il quale, come in epoca elisabettiana, si allungò notevolmente a punta verso l’inguine. Parallelamente si ebbe il ritorno del corsetto come elemento di biancheria intima a se stante, di conseguenza il corpetto dell’abito esterno, sagomato nella stessa forma del corsetto, fu indossato su di esso e sulla sopravveste. Vi è da notare che esso veniva tagliato in modo da aderire perfettamente al corsetto intimo e per questo le prove sartoriali venivano eseguite indossando quest’ultimo, quest’abitudine resterà fino alla metà del ventesimo secolo.
Si tornò così a confezionare il corsetto intimo in tessuto di lino rigido e pesante e a steccarlo in modo assai robusto, esso veniva poi stretto al torso il più possibile mediante una salda allacciatura posteriore e certe volte anche anteriore che scendeva a punta, dove ognuno dei lati da congiungere aveva il suo busk. Il busto assumeva così la forma di un cono rovesciato allungato, enfatizzando la rotondità del seno e dei fianchi. Osservando la parte posteriore di questo corsetto vi è da aggiungere che le spalle erano ancora tagliate come nel corsetto precedente e se a questo si aggiunge il fatto che le misure erano più ridotte e le sagomature all’attaccatura delle braccia minime, si può capire come i movimenti degli arti superiori fossero estremamente impediti. Nella parte inferiore, come già detto, la vita si abbassava in giù comprimendo parte dei fianchi e il corsetto terminava in circa dieci tasselli per lato che servivano per fermarlo alla gonna. Sotto al corsetto veniva sempre indossata la chemise di lino finissimo, le gonnelle e un piccolo bum roll.
13 1690 Corsetto

E’ molto importante sottolineare che dagli anni ottanta di questo secolo si era imposta la nuova moda del manteau che rivoluzionava tutto il modo di vestire femminile e che era destinata a perdurare per la maggior parte del secolo successivo. Invece di un corpetto e una gonna cucita separatamente, il manteau o mantua si appendeva dalle spalle al pavimento e veniva indossato come se fosse una veste da camera.
I fianchi ed il posteriore erano fortemente accentuati dal rialzamento indietro delle gonne superiori (manteau) che venivano agganciate ai lati in modo permanente, lasciando in questo modo intravedere le gonne sottostanti (sottogonne). Il corpetto era chiuso al centro davanti, talvolta tagliato in modo da svelare la punta a V del corsetto nella parte anteriore della linea della vita. La mantua lasciava una scollatura quadrata in contrasto con l’ampia scollatura bassa sulle spalle in voga nella moda precedente. La nuova moda era più vezzosa e senza dubbio più curata, con fiocchi, trine, nastri ed altre decorazioni.
Il torso a tronco di cono vedeva una vita molto stretta, garantita dall’uso di un paia di body o stays irrigidito con l’ausilio di ogni stratagemma consentito a quell’epoca: busk, stecche di balena, di ferro o di metallo, oltre all’inamidatura col ferro caldo e all’uso di tela rigida e carta pecora. Lo stays era a due valve, quindi aveva sia un’allacciatura al centro dietro che un’altra al centro davanti, alla vita c’erano i tasselli utili per assicurare il corsetto sotto la sottana e le spalline erano regolabili.
14 1705 Corsetto

All’inizio del diciottesimo secolo gli abiti da donna erano già caratterizzati dai tre elementi distinti della moda rococò: il corsetto intimo, la sottogonna (realizzata, almeno nel pannello centrale visibile, in un tessuto prezioso) e l´abito con maniche indossato per ultimo, le cui gonne rialzate sui fianchi mostravano la sottogonna sottostante e terminavano in una lunga coda posteriore.

Il corsetto, o stays, aveva una linea allungata ed era tagliato con una parte posteriore stretta ed una anteriore più ampia, con spalline regolabili che dalla parte posteriore si allacciavano a quella anteriore. L’elemento che lo distingueva dal modello precedente era il fatto che esso spingeva le spalle indietro costringendo quasi le scapole a toccarsi fra di loro. Ne risultava una postura molto eretta ed un seno alto e pieno, questa caratteristica rimase però specifica a questo periodo forse a causa della scomodità che comportava. Dato che le allacciature potevano ricadere nel centro davanti e mostrare la corda che scorreva da un occhiello all’altro, venne posizionata nella parte anteriore una pettorina triangolare che serviva a nascondere i lacci. Questo triangolino di tessuto (stomacher o pettorina) si trasformò ben presto da elemento funzionale ad importantissimo dettaglio di moda, prodotto da ora in poi in una vasta gamma di varietà, da quelli più sobri trapuntati a quelli eleganti ricamati in fili d’oro o d’argento e pietre preziose.
Il manteau o mantua, la sorta di vestaglietta o cappottina già in voga dagli anni ottanta, adesso restava parzialmente aperta nella parte anteriore del corpetto e della gonna dove risultavano visibili un triangolo di corsetto, coperto appunto dalla pettorina triangolare e una sottogonna dai motivi contrastanti, spesso impunturata o decorata con elaborati motivi, guarnita di nastri, rosette e volant. Più tardi delle ingombranti sottostrutture a paniere sarebbero state indossate fra il corsetto ed il manteau e sotto la pettorina, così come mostrato dalla sequenza di illustrazioni in questa pagina. La, mantua, cucita con intere lunghezze di tessuto pieghettate, si spostava verso la parte posteriore trasformandosi a volte in una coda.




15 Il Pannier



La moda delle sottostrutture piatte e larghe nacque alla corte di Spagna nel diciassettesimo secolo, come ben evidenziato nei ritratti di corte di Velasquez. Ben presto essa raggiunse la Francia e già durante il regno di Luigi XIV (1643-1715) la struttura aveva iniziato la sua crescita in larghezza per poi raggiungere il suo picco massimo verso il 1725, quando l’ellisse maggiore arrivò a misurare tre metri. Inizialmente queste sottostrutture erano costituite da due sorte di panieri di giunco o bambù posti ai lati dei fianchi (da quì il nome pannier) su cui si adagiavano le gonne. Verso la metà del secolo questa moda si sarebbe sviluppata nella robe à la française o pannier. Dopo gli anni cinquanta del diciottesimo secolo il pannier diminuì notevolmente le sue dimensioni, ma nel 1774, dopo l’ascesa al trono del suo consorte, la regina di Francia Maria Antonietta reintrodusse a corte l’ampia sottostruttura metallica. Se i pannier si estendevano tanto in larghezza ai lati, la fronte ed il retro restavano invece piatte. Sul davanti del pannier veniva così abilmente sistemato un largo pannello che veniva mostrato dall’apertura del manteau, questa sorta di gonna interna poteva essere imbottita ed impunturata o riccamente ricamata, oppure guarnita di nastri, fiocchi, rosette e volant.
Alla corte di Maria Antonietta
Il pannier si espandeva lateralmente e poteva essere largo anche un metro per ogni lato, come succedeva alla corte di Maria Antonietta di Francia, il che rendeva estremamente difficile sedersi in una poltrona con i braccioli o passare da porte che non fossero a doppia anta, ovviamente è questo il motivo per cui le esagerazioni di questa moda riguardarono quasi esclusivamente le cortigiane e le dame di alto rango. Questo però non evitò il fatto che donne di ogni stato sociale, per non essere guardate dall’alto in basso, volessero indossare pannier, perfino le esponenti della classe lavoratrice, se pur con l’espediente di adottare dimensioni ridotte.
Strutture complesse
Il giunco fu usato soltanto in un primo periodo dopodiché i pannier diventarono delle complesse strutture di metallo flessibile e relativamente leggero, che davano la possibilità, in taluni casi, di sollevare i lembi laterali per passare dalle porte. Il più comune pannier era quello in cui nella parte più alta di ogni lato erano sistemati due elementi circolari di metallo piegato che si elevavano a ventaglio con una angolatura di circa venti gradi. La struttura metallica, che come le altre si estendeva assai ai lati ed era appiattita il più possibile nelle parti anteriore e posteriore, era costituita da costole metalliche molto sottili, alcune volte spesse un millimetro, inserite in guide di pelle.
Vi erano poi numerose varianti con ampiezze e meccanismi differenti chiamati la culbute, le bouten-train, le tatez-y, etc. La caratteristica comune era comunque la scomodità e assai di frequente le dame che indossavano queste sottostrutture avevano difficoltà a camminare per strada, salire nelle carrozze e passare attraverso spazi ristretti, tanto che per irridere questa moda si diceva che ogni dama occupava lo spazio di tre uomini.
16 1730 corsetto

Spesso ci si chiede come le dame del diciottesimo, indossando abiti di sola seta e molto scollati, riuscissero ad affrontare i climi rigidi delle corti del nord Europa; si sa per centro ad esempio che la vasta reggia di Versailles era talmente fredda che durante le conversazioni fra cortigiani non era raro vedere del vapore condensato uscire dalle bocche. Quello che sappiamo è che adesso vi era una maggiore cura per la biancheria intima, sia per il piacere di mostrarla durante i frequenti incontri galanti, sia perché essa costituiva una barriera contro la sporcizia del corsetto e degli abiti steccati che difficilmente potevano essere lavati, infine essa poteva essere una protezione nascosta contro il freddo. Oltre quindi alla camiciola, che adesso era di tessuto fine e riccamente ricamata, le dame usavano indossare, fra quest’ultima e lo stay, dei gilet di lana che servivano ad assicurare calore durante l’inverno, così come si usavano sottogonne impunturate con uno strato interno di ovattina di lana. Era anche uso l’allacciare alla vita delle tasche volanti, alle quali si accedeva da delle fessure della gonna dell’abito. Sciolte vestaglie, talvolta con una chiusura a sormonto o a portafoglio, venivano poi indossate sulla camiciola, la sottogonna ed il corsetto come veste da casa, ed era di moda avere un ritratto che immortalava la dama in questo abbigliamento.
Lo stays
In questo periodo poi prese piede la moda di un di corsetto all’inglese che prevedeva un gran numero di guide per l’inserimento delle stecche, sia longitudinali che in sbieco. La trama della steccatura era non soltanto fitta, con una distanza fra una stecca e l’altra che poteva andare da uno a cinque centimetri, ma passava anche sopra il seno, schiacciandolo notevolmente e costringendolo a fuoriuscire in alto; a stento si riusciva a coprire il capezzolo, trattenendo il colmo anteriore della scollatura con una robusta impuntura di filo forte. La rigidità era anche incrementata da una base del triangolo anteriore (stomacher o pettorina) doppiamente rinforzata, sotto la quale stava conservato un sacchetto di erbe fragranti, unico rimedio contro un tremendo olezzo di sudore a cui l’intera popolazione dell’epoca, cortigiani e non, erano probabilmente assai abituati. L’allacciatura di questi corsetti era sul retro anziché in fronte (come era invece nella versione francese) e le asole erano rinforzate soltanto da punti ricamo, il che non aiutava ai lacci di scorrere agevolmente durante la vestizione (più tardi sarebbero stati inventati gli occhielli metallici a pressione). Si usava poi uno scomodissimo metodo di allacciatura a spirale: una estremità del laccio dello stay veniva inserita e annodata all’occhiello che stava più in cima su di un lato, l’altra estremità si avvolgeva a spirale negli altri occhielli, scendendo verso quello più inferiore, all’altezza della vita.
Le cameriere dovevano avere una grande forza per stringere il più possibile il busto da parte a parte mentre con le dita tiravano il laccio da ogni occhiello e la dama stava aggrappata ad un solido appiglio. Bisogna anche ricordare che nelle corti europee, specie a Versailles, vi era un’intensa attività extraconiugale, ragion per cui un nobiluomo che avesse voluto consumare delle avventure segrete doveva per prima cosa imparare ad allacciare un corsetto così come sapevano fare le cameriere personali delle dame.
17 1740 Corsetto

Per tutto il corso del diciottesimo secolo le differenze di stile del corsetto o stay non furono molto sostanziali. L’indumento era infatti ancora un prodotto artigianale e si può affermare che variazioni di taglio o di manifattura erano più imputabili alle differenze di metodo dei vari laboratori artigiani e alla loro dislocazione geografica che ad una evoluzione lineare della moda, come invece succedeva per l’abito esterno.
Un corsetto meno soffocante
Un sensibile cambiamento si ebbe tuttavia alla metà del secolo, quando il corsetto pesantemente steccato, dalla vita lunga e dalle spalle strette, cedette il passo ad uno strano corsetto senza spalline, tagliato alto alle ascelle e con la parte posteriore più rialzata. Si disse che questo espediente fosse necessario per incoraggiare la donna ad ergersi eretta sulle spalle, in una postura considerata più elegante. Anche se spianava il tronco rendendolo conico, questo corsetto veniva generalmente allacciato in modo più confortevole perdendo inevitabilmente l’effetto contenitivo, tanto che in certi casi lo stesso spessore del corsetto allargava le circonferenze alla donna che lo indossava facendola apparire più corpulenta. L’effetto generale era quindi di un maggiore rilassamento, tanto che questo stay fu adottato dalle donne della classe media durante il lavoro domestico.
Forse per tutti questi motivi continuava in questi anni a sopravvivere un corsetto allacciato molto stretto, ma riservato alle occasioni di eleganza.
L’esclusività della manodopera maschile
Nonostante si fosse già costituita in Francia un’associazione di sarte, Les maitresse couturieres, la confezione dei corsetti o stay, anche quelli femminili, rimase sempre di competenza della categoria professionale maschile, già attiva dai tempi del medioevo, questo anche perché l’inserimento delle stecche di balena e la perforazione dei durissimi strati di tessuto richiedevano una grande forza. Vi era anche una variante dello stay, il jump, che era sempre steccato ma più comodo e con le maniche attaccate, come una giacchetta.
18 1755 corsetto

Verso gli anni cinquanta del diciottesimo secolo i pannier diminuirono notevolmente in dimensioni. La forma delle gonne continuò a cambiare per tutto il corso del secolo mentre il busto mantenne fino agli anni ottanta, grazie al corsetto, una forma conica pressoché invariata. Vi sono al mondo una enorme varietà di reperti originali di corsetti del diciannovesimo secolo, che ci mostrano come la fattura divenne sempre più elaborata decennio dopo decennio. Sempre cuciti in stoffa di lino o cotone pesanti essi erano fittamente impunturati da cima a fondo e rinforzati da molteplici stecche di balena. Spesso le stecche erano talmente vicine da conferire una rigidità che richiamava alla memoria i pesanti corsetti di ferro del sedicesimo secolo.
La sottile malizia delle prove sartoriali
Questo spiega perché la loro manifattura restava privilegio di una consorteria artigianale maschile, il che fa presumere che le prove sartoriali dovessero comportare grande imbarazzo, o al contrario fossero pervase da una sottile malizia. I busti erano confezionati su misura ed erano ovviamente cuciti a mano; su di un corsetto si poteva lavorare ad ago per giorni e giorni e la maestria nel tirare le impunture faceva somigliare il manufatto ad un prodotto di alto ricamo, mentre appretto ad amido e talvolta vera e propria colla, erano utilizzati per conferire rigidità.. La gran parte delle differenze fra un corsetto ed un altro era quindi da imputare più alle differenze “di mano” che di stile. Altre differenze fra un corsetto ed un altro potevano invece essere determinate dall’età e corpulenza della persona che doveva indossarlo, oltre che dalla provenienza geografica. E’ quindi un azzardo definire un modello di corsetto come tipico di quel decennio, mentre nel secolo successivo sarà più semplice segnare le differenze di una moda che avrebbe subito veloci trasformazioni.
Il busk
E’ il caso invece di sottolineare l’importanza crescente che andava assumendo il busk, la stecca centrale che aveva lo scopo di mantenere la parte anteriore del corsetto dritto e liscio. Già in uso dalla nascita del corsetto moderno (sedicesimo secolo) esso era fatto di legno, avorio, metallo o osso, veniva inserito in apposite tasche e fermato da nastri chiamati busk-point, mentre le allacciature che mantenevano i busk al loro posto erano separate da quelle che sostenevano il corsetto.

Adesso questi busk venivano spesso intagliati con decorazioni ed incisioni, addirittura era uso iscrivere delle frasi amorose. Un giovanotto poteva infatti scolpire o far realizzare un elegante busk da donare alla ragazza di cui era innamorato. Non era inusuale poi che una signorina usasse il proprio busk, che ricordiamo era pur sempre la componente di un indumento molto intimo, come punto d’interesse civettuolo da concedere ad un ammiratore.
19 1785 Corsetto

Verso il 1780 ci fu un cambiamento radicale nella moda femminile: al salone fu esposto un ritratto della regina di Francia, ad opera della pittrice di corte Élisabeth Vigée-Lebrun, che la immortalava con un abito di morbida mussolina bianca privo di sottostrutture. Già da tempo la regina soleva evitare i rigidi abiti di corte indossando solo abiti bianchi e morbidi, ma il fatto che si facesse ritrarre vestita come una cameriera suscitò delle reazioni indignate. Questo fu l’esordio di una moda che prese piede in Francia per tutti gli anni ottanta e che fu chiamata robe a la polonaise. La robe a la polonaise era un vestiario campagnolo morbido e rotondo perché privo di pannier, rimpiazzato al suo posto dai rigonfiamenti del tessuto che si spostavano verso la parte posteriore.
Inizialmente la voglia di un abbigliamento più libero poteva suggerire la liberazione dal corsetto. Ma ben presto si tornò all’uso di una struttura rigida, anche se talvolta sdoppiata in una versione steccata e spesso a vista e un corpetto più morbido, talvolta aperto, da indossare sopra. Quest’ultimo era steccato in modo leggero ma soprattutto era impunturato ed imbottito al suo interno con della ovattina di lana. Vi è anche da notare che adesso, per la prima volta, il busto intimo venne chiamato corsetto e non più stays.
I panniers o side-hoop restarono un essenziale elemento della moda di corte ma sparirono da qualsiasi altro contesto, in favore di una varietà di sottogonne indossate l’una sull’altra, mentre si mantenne l’abitudine di indossare internamente delle tasche pendenti dalla vita, alle quali si accedeva da tagli laterali della gonna dell’abito.
20 Il volgere del secolo



Sul finire del secolo, il crescente interesse per i recenti scavi archeologici aveva diffuso in tutto l’est europeo la popolarità dello stile neoclassico, o impero, che prevedeva per la donna uno stile semplice, basato sui paludamenti dell’antica Grecia e le toghe dell’antica Roma. Le gonne erano dritte e snelle, ed indossate, quando c’erano, su leggere sottane. Gli abiti di morbida mussolina, spesso increspati, erano modellati sul corpo mettendo in evidenza le forme naturali. Ma quella che sembrava solo una nuova moda doveva subire le ondate d’urto dello scoppio della rivoluzione francese per determinare un radicale cambiamento nello stile di vita della donna, che in questo modo si opponeva alle etichette e sovrastrutture dalla casa reale, la corte e l’aristocrazia. Questa prima rivoluzione della moda occidentale era caratterizzata dalla scelta di tessuti impalpabili e trasparenti e dal rifiuto del corsetto, addirittura dalla liberazione totale del punto vita da qualsiasi costrizione, l’abito infatti era spezzato appena sotto il seno e cadeva liberamente lungo i fianchi. Vi era proprio una volontà preponderante di liberare il corpo della donna da costrizioni e falsi pudori e il corsetto fu il capo di abbigliamento maggiormente incriminato. Analogo atteggiamento rivoluzionario si manifesterà nel mondo occidentale del futuro, dopo la prima guerra mondiale e dopo il 1968, stiamo quindi parlando di tre momenti significativi nella rivoluzione del pensiero seguita a dirompenti cambiamenti politici. Possiamo quindi affermare che l’effimera e vanitosa moda femminile è strettamente collegata ai cambiamenti sostanziali in campo politico. Come tutte le mode radicali anche questa non fu presa alla lettera da tutto il genere femminile, soprattutto da quelle che non potevano mostrare una forma perfetta e avevano bisogno dell’ausilio di qualche indumento di contenimento. Ma se proprio si rendeva necessario un corsetto, questo era comunque più corto del solito, proprio sotto il seno, inoltre fece la sua comparsa un’altro indumento intimo avvolto a portafoglio che molto somigliava ai moderni reggiseno criss cross.
Incredibilmente furono ora gli uomini, anzi i dandies, ad adottare il corsetto. Questa moda perdurò fino a tutti gli anni quaranta sebbene dopo il 1850 alcuni uomini continuarono ad indossarlo sostenendo di averne bisogno per sostenere la schiena.
Tornando al genere femminile vi è da dire che gli abiti alla moda Impero del volgersi del secolo erano spesso più leggeri di una semplice camicia da notte e sovente ci si chiede come le donne affrontassero i climi rigidi del nord Europa. Una soluzione pratica per risolvere il problema del freddo fu quello di adottare i caldi mutandoni (pantaloons) intimi maschili. Questi erano lavorati a maglia come le calze, potevano essere di cotone, seta o lana e potevano fermarsi al ginocchio o scendere fino alla caviglia. Essi erano anche tinti color carne e per questo motivo, osservando i ritratti dell’epoca si ha la sensazione che le donne non indossassero biancheria intima.
21 gli anni dieci del diciannovesimo secolo, il periodo della reggenza

Gli anni che vanno dal 1811 al 1820 vengono chiamati in Inghilterra il “periodo della reggenza”, quando cioè il re Giorgio III fu destituito affidando la reggenza a suo figlio, Giorgio IV. Il termine reggenza si è poi estesa a rappresentare la politica, la cultura e la moda di un’epoca. Per quanto riguarda l’abbigliamento si può dire che il riflusso post rivoluzione era già iniziato e pian piano riemergeva l’immagine di una femminilità vezzosa, lo si vedeva già dalla biancheria intima che constava di molti elementi.
Il primo era ancora la camiciola, un sottile indumento stretto, lungo un po’ meno dell’abito, con maniche corte e scollatura bassa, cucito in cotone leggero e rifinito con un semplice orlo. Queste camiciole avevano lo scopo di proteggere gli indumenti esterni dalla traspirazione e potevano essere lavate più frequentemente. La camiciola inoltre serviva da schermo per tessuti trasparenti dell’abito quali la mussolina o la seta leggera.
Vi erano anche calze lavorate a maglia in filo di seta o di cotone, per molto tempo sarebbero state sorrette da giarrettiere a bracciale fino a che furono introdotte i reggicalze con sospensorio del diciannovesimo secolo. Anche se ancora non molto popolari, ricomparvero i drawers, mutandoni intimi corti, allacciati separatamente attorno alla vita.
Lo strato finale era poi la sottana, che aveva un girocollo riccio ed era senza maniche, era inoltre attillata nella parte posteriore ed aveva una chiusura di ganci ed occhielli. Queste sottane venivano indossate fra l’abbigliamento intimo e quello esterno, erano spesso in morbido satin e conferivano all’abito una linea perfettamente liscia. Il bordo inferiore della sottana doveva essere in mostra, in quanto le donne avevano preso l’abitudine di sollevare le gonne esterne per difendere i tessuti di pregio dal fango e dalla melma presenti nelle strade dell’epoca. Essendo quindi spesso esposte alla vista, le sottane venivano decorate all’orlo con file di nastri pieghettati, merletti o volant.. Più tardi, l’arricciatura eccedente della gonna posteriore fu sostenuta da un piccolo cuscinetto, una sorta di primo coulisson.
Vi è da dire che la silhouette non rimase per molto in questo modo e gli orli delle gonne iniziarono ad allargarsi fino a raggiungere una forma a cono, se tutto questo non era sufficiente per aiutare l’ampiezza si indossavano sottogonne aggiuntive.
Il corsetto
Anche se la moda a vita alta non necessitava di un corsetto le donne che avevano perso la loro linea, o che non l’avevano mai avuta, indossavano un corsetto lungo sopra la camiciola. La nuova lunghezza del corsetto, meno steccato di quelli della fine del secolo precedente e di fattura più leggera, conferiva una sagoma liscia e scivolata sui fianchi e le cosce ed il busto guadagnavano un contorno più naturale.
22 1820 corsetto degli anni venti

Come in tutte le rivoluzioni, anche in quella dell’abbigliamento inizio secolo ogni volontà di cambiamento urlato al mondo intero subì immediatamente la sua voglia di riflusso, prima intercettato da satirici e vignettisti e poi tradotto in aggiustamenti striscianti che a poco a poco, attraverso tentativi spesso goffi e grotteschi, riuscirono a riportare la sagoma femminile entro canoni rigorosi e costrittivi. Più tardi invece noteremo come questa direttiva verrà rispettata soltanto formalmente ma privata del suo significato liberatorio, mentre il corsetto si imporrà nuovamente ed in modo inesorabile, prima come ausilio alle donne non perfettamente in forma, poi come elemento indispensabile del vestiario di ogni dama.
Così, conclusosi il periodo di transizione chiamato reggenza, il corsetto trovò un rinnovato protagonismo tanto che si può facilmente affermare che il periodo più interessante della sua storia va dal 1820 al 1910.
Negli anni venti del diciannovesimo secolo la moda femminile vide la circonferenza della vita spostarsi verso il basso, andando quasi a raggiungere la sua posizione naturale. I corsetti diventarono quindi più lunghi ed iniziarono ad essere usati da tutte le classi sociali. Molte donne iniziarono a confezionare da se il proprio corsetto che poteva essere trapuntato ed imbottito di ovattina o avere le guide entro cui si inserivano le stecche. Vi era anche un tipo di corsetto che separava i seni delle donne e ne sviluppava il volume con l’inserimento di tasselli triangolari imbottiti di ovattina, era chiamato per questo divorce.
23 1830 corsetto degli anni trenta

Nel 1837 Vittoria ascese al trono inglese e nonostante non fosse una vera e propria bellezza era giovane, questo bastò per suscitare molto interesse da parte delle riviste di moda, tanto che essa diventò involontariamente un’icona della sua epoca, da prendere a modello nei comportamenti e nello stile del vestire. Contrariamente al credo popolare e al fatto che non amasse eccessive frivolezze, almeno fino a quando morì il principe Alberto, Vittoria fu abbastanza interessata alla moda. La sua eleganza discreta si ritrovava nei figurini degli esordi del suo regno, in cui la linea femminile era caratterizzata dalle spalle cascanti, un carrè romboidale con due angoli sulle spalle e altri due sul fronte e retro della vita. Per conferire la giusta sagoma a questi abiti dalla vita stretta erano necessari lunghi corsetti pesantemente steccati. I nuovi modelli erano sagomati attorno alla vita ed avevano dei gheroni triangolari ai lati dei fianchi che creavano un effetto a baschina, le stecche si muovevano sia in senso longitudinale che diagonale creando una forma assai sinuosa. Era anche stato introdotto un tipo di corsetto in cui i tasselli triangolari che dovevano conferire sviluppo al seno e i gheroni laterali, erano incorporati nella tessitura della pesante saia, questo modello era solitamente di colore bianco ed era robustamente rinforzato.
Da notare anche che i nuovi sviluppi della tecnologia avevano introdotto degli occhielli metallici che permettevano di far scivolare più facilmente le stringhe e quindi stringere maggiormente la figura.
1840 corsetto degli anni quaranta

La morale vittoriana
Il fatto che l’Inghilterra avesse a capo del suo regno una giovane donna purtroppo non riuscì a determinare una maggiore consapevolezza di se nel genere femminile, anzi, la giovane regina prima moglie e poi madre irreprensibile, fu portata come esempio di rettitudine e servì da casto modello per la donna dell’età Vittoriana, casalinga e servile, con la vita abbassata, le spalle curve ed inclinate, cinta da sottostrutture restrittive e strati di pesanti sottogonne.
Da questo momento in poi si parlerà di una vera e propria morale vittoriana in cui l’uso del corsetto costituirà un cardine principale. La femminilità era intesa come sesso debole e la debolezza si estendeva al corpo oltre che alla mente. La fragilità della donna era poi identificata nella sua spina dorsale, considerata incapace di mantenersi eretta senza l’ausilio di un supporto rigido. Persino le bambine di tre o quattro anni erano imbracate entro dei corsetti cosa che, sebbene suggerita dalle migliori intenzioni, era senza dubbio una crudeltà. Crescendo la situazione peggiorava allungando e restringendo gradualmente i corsetti così che, giungendo all’adolescenza, le ragazze erano incapaci di sedersi o stare in piedi senza l’ausilio dell’imbracatura di tela pesante rinforzata con stecche di balena o acciaio. Ma nonostante il levarsi di un movimento di opinione contro l’uso dei corsetti, l’allacciatura stretta fu considerata virtuosa, mentre una donna che teneva il corsetto allentato veniva considerata di facili costumi. Più alto era il rango della donna, più i suoi indumenti erano costrittivi, tanto per sottolineare la propria estraneità ai lavori domestici, riservati invece a servitori ben pagati. Eccetto che per le occasioni importanti, le donne della classe lavoratrice invece si sottraevano alla scomodità di corsetti allacciati stretti, ne avevano di più informali o non ne portavano affatto, affidando il compito di comprimere al corpetto dell’abito.
Il corsetto
Dopo il 1840 il corsetto fu di un nuovo tipo, ancora allacciato al centro dietro e composto da una moltitudine di pezzi, anche tredici diversi per ogni lato, cuciti insieme per dare rotondità al busto e sagomare i fianchi. Un ampio busk veniva inserito al centro davanti mentre stecche di osso di balena erano inserite al centrodietro. File su file di ferme impunture a mano rinforzavano il corsetti di saia diagonale pesante, con tasche verticali e diagonali per l’inserimento di altre stecche di balena che modellavano la naturale forma del corpo.
Gli abiti da sera avevano delle scollature tanto basse da scoprire le spalle, così che il corsetto doveva perdere le spalline e diventare autoreggente.
Nei figurini di moda le gonne di questi abiti erano molto voluminose ma gli espedienti per tenere gonfie quest’ultime iniziarono a porre dei problemi. Dovevano essere sostenute da strati di pesanti sottogonne inamidate, calde e antigeniche, specialmente in estate. Il più popolare esempio di sottogonna rigida era fatto di una trama tessuta di crine di cavallo e per questo prese il nome alle crinolina, da non confondere però con la versione degli anni cinquanta detta crinolina a gabbia e realizzata con l’ausilio di cerchi di acciaio, di cui parleremo più tardi.
1850 corsetto degli anni cinquanta

Sembrava anche che la donna vittoriana avesse bisogno di pesanti strati di indumenti per proteggere se stessa dagli uomini lussuriosi così che l’atto di spogliarsi fosse un lavoro lungo e laborioso, i corsetti dovevano anche essere rigidi per stirare gli spessori e rigonfiamenti degli strati di biancheria intima indossati sotto, che includevano la camicia, i mutandoni e la sottogonna. Bisogna anche considerare che gli uomini lussuriosi si facevano vanto della loro abilità nello sfilare il corsetto e ricreare le stesse allacciature ad incontro galante terminato, in modo che le fantesche o ancor peggio i mariti, non potessero accorgersi che il corsetto era stato tolto durante la giornata. Era infatti pacifico che la donna da sola non fosse padrona di levarsi e mettersi il corsetto da sola. A questo punto si potrebbe dire che il corsetto, ribaltando il suo scopo iniziale, rappresentava più un divertimento erotico che un impedimento alla lussuria, mentre gli strati di biancheria ricamata e inamidata potevano suggerire la stessa malizia dei sette veli della principessa Salomè.
Per favorire l’atto di agganciare e sganciare il corsetto, nella seconda metà del diciannovesimo arrivò in soccorso l’invenzione di un’agganciatura anteriore a busk che consisteva di due lunghi pezzi di metallo in cui erano saldati due file di ganci maschio e femmina (mostrare reperti originali). Questo permetteva al corsetto di essere indossato e levato con maggiore comodità, dato che i lacci posteriori non necessitavano di essere allentati così come avveniva quando il corsetto doveva essere sfilato dalla testa e le spalle.

Una delle innovazioni più importanti di questo decennio fu l’invenzione della macchina da cucire moderna (nel 1851 ad opera del meccanico americano Singer) questo portò alla produzione di massa dei capi di abbigliamento e di conseguenza anche dei corsetti. Sebbene l’impuntura a mano era sempre considerata un pregio, la velocità della cucitura a macchina consentì alle industrie manifatturiere di produrre corsetti in un numero di gran lunga maggiore secondo stili ed esigenze diverse. In generale però si può dire che i modelli degli anni cinquanta e sessanta erano più corti di quelli che erano stati in voga dall’inizio del secolo fino agli anni quaranta. Questo per favorire la nuova silhouette che enfatizzava la rotondità dei fianchi mediante l’espediente delle gonne cerchiate.
Crinolina degli anni cinquanta



La necessità di gonfiare le gonne
I primi tentativi per gonfiare le gonne di metà secolo consistevano nell’inamidare le sottogonne con sapienti stirature in modo da diventare rigide, o altrimenti confezionate intessendo il crine di cavallo (da qui il nome crinolina), molto spesso avevano balze anch’esse inamidate per aiutare le gonne a raggiungere l’ampiezza desiderata. Comunque, anche quando la sottogonna riusciva ad avere la perfetta forma a campana, una volta indossato l’abito esterno (i tessuti per abiti erano pesanti, ma non rigidi abbastanza da sopportare il proprio peso) la struttura della crinolina tendeva a crollare o ad ammaccarsi in più punti, perdendo la propria sagoma. Si pensò di dare una rigidità di supporto aggiungendo all’orlo delle sottogonne degli anelli di corda o di passamaneria ma neanche questo bastò, l’orlo formava delle onde e l’aspetto era molto lontano dall’essere uniforme.
Primi tentativi
Da considerare anche che più materiale si metteva sotto le gonne più il peso e la scomodità aumentava, e ciò era insopportabile specie nei mesi caldi. Nel 1856 fu brevettato un indumento che veniva appositamente gonfiato e poi sgonfiato per permettere a chi lo indossava di sedersi.
Si scatenò quindi l’ilarità dei vignettisti nel descrivere dame che prendevano il volo insieme alle loro crinoline. Finalmente nel 1857 fu introdotta l’artificiale crinolina a gabbia, accolta con grande sollievo. Era costituita da cerchi metallici flessibili, di diametro crescente nella parte posteriore, tenuti in sospeso da nastri di cotone. Il numero di cerchi variava da nove a diciotto, a seconda della formalità dell’indumento. Questo modello era abbastanza resistente per poter sostenere le gonne, creando il desiderato effetto a campana senza però essere pesante, essa richiedeva soltanto una o due sottogonne poste sopra giusto per evitare che si rivelassero le sagome rigide dei cerchi, mentre lasciava le gambe libere dagli avviluppamenti delle sottogonne.
L’ilarità dei vignettisti
Grazie alla larga circolazione di riviste e giornali la nuova moda si diffuse in tutto il mondo occidentale, favorendo la produzione di massa della crinolina a gabbia, che fu così alla portata di tutti e indossata (a differenza dei verdugali e dei pannier) dalle donne di ogni classe sociale. Questo portò la rivista inglese Punch a soprannominare questa ossessione crinolinomania. Molto è stato scritto per criticare e satirizzare la crinolina anche perché i rischi e gli inconvenienti nell’indossare la gabbia erano sotto gli occhi di tutti ed includevano l’impossibilità di entrare dentro le carrozze o passare attraverso le porte strette. Alcune immagini satiriche andarono oltre fino a sostenere che donne dovevano lasciare le proprie crinoline sul tetto della vettura quando viaggiavano. Altro effetto indesiderato della crinolina era quello di ondeggiare in modo incontrollato, scoprendo le caviglie e le gambe sotto i colpi del vento. Potevano poi succedere incidenti domestici quali far rovesciare bicchieri e porcellane al proprio passaggio.
Corsetto degli anni sessanta


Una faticosa pratica quotidiana
L’immagine di Scarlet in Via col vento, avvinghiata alla colonna del letto mentre la Momi le stringe il corsetto, riassume la percezione popolare della donna degli anni sessanta (mettere immagine stringi il corsetto), quando la ricerca della vita di vespa diventò un’ossessione. Vi era tutta una letteratura su ragazze costrette a sdraiarsi per terra mentre la mamma e la fantesca tiravano le stringhe o altre che si facevano levare chirurgicamente due costole per poter stringere maggiormente il corsetto. Non si sa quanto tutto questo fosse vero ma è accertato che il corsetto portato dalla tenera età deformava le costole e gli organi interni, oltre che comprimere il diaframma e rendere impossibile un respiro profondo. A causa di ciò le donne erano spesso soggette a svenimenti e necessitavano l’uso di sali per rinvenire. Inoltre l’estrema compressione del punto vita non vuol dire che le donne fossero tutte magre come Vivian Leigh, spesso si riusciva ad ottenere una circonferenza al di sotto dei 50 centimetri spostando i volumi sopra e sotto, così si aveva un seno florido sopra e dei fianchi eccessivamente rotondi sotto, ma in realtà questo importava poco perché il tutto era coperto da sottogonne e crinoline. Più tardi, con l’avvento della fotografia e la conseguente diffusione di nudi artistici e scatti erotici, si evidenzierà la deformazione del corpo femminile, con un torace insufficiente e un sedere enorme.

Gli abiti da sera avevano delle scollature così basse da scoprire le spalle, così che il corsetto doveva perdere le spalline e diventare autoreggente. (sottotitolo immagine)
Verità e leggende
Non si sa con esattezza quanto fossero stretti i corsetti, vi erano cronache che riferivano di circonferenze dalla vita che andavano dai 18 ai 12 pollici, cioè dai 45 ai 30 centimetri, perfino 12 pollici, cioè 30 centimetri (considerate che una ragazza magra dei giorni nostri difficilmente scende sotto i 60 centimetri). Probabilmente molti di questi resoconti erano pura fantasia. Le circonferenze vita dei corsetti conservati nei musei di storia del costume, per il periodo che va dal 1860 al 1910 indicano una media di circa 20/22 pollici, cioè 50/55 centimetri. Inoltre, quelle misure non ci dicono se quei corsetti erano allacciati stretti fino a far toccare i due lembi del centro dietro o se erano tenuti più larghi. Essi potrebbero essere stati acquistati più stretti del dovuto nella speranza di riuscire a sembrare più magre, così come le ragazze degli anni settanta compravano jeans troppo stretti e poi erano costrette a coricarsi a pancia in su per riuscire a tirare la lampo.


Crinolina degli anni sessanta

La crinolinomania
La mania della crinolina raggiunse la sua ampiezza massima durante la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta, mentre dopo il 1862 la sua sagoma a campana spostò la maggior parte del volume verso la parte posteriore. Nonostante in alcuni ritratti questa crinolina appare estremamente voluminosa essa aveva una sua praticità, in quanto i cerchi erano incredibilmente flessibili e potevano essere compressi. Accadevano ancora degli incidenti nell’indossare la gabbia ma le donne avevano ormai imparato come camminare o sedersi elegantemente con essa, evitando anche di mostrare la biancheria intima. Le strutture a cerchi flessibili erano anche molto leggere e le donne piuttosto che sentirsi imprigionate, avvertivano la liberazione dal peso delle sottogonne a strati. La stampa umoristica e i vignettisti continuavano a sbizzarrirsi nel deridere le enormi gabbie ma vi è anche da dire che le versioni molto voluminose erano riservate essenzialmente alle serate da ballo o ai grandi ricevimenti, mentre per le altre occasioni vi erano versioni più ridotte. L’uso della gabbia doveva comunque essere molto diffuso in tutti gli strati sociali, se nel 1860 la compagnia Courtaulds avvertì la necessità di chiedere alle lavoratrici della propria fabbrica di “lasciare a casa cerchi e crinoline.”
Dal 1866 la misura della crinolina a gabbia iniziò a decrescere e la rivista Punch non perse l’occasione per fare un po’ di umorismo anticipando nuovi usi per le crinoline dismesse, come ad esempio una protezione per le piante durante l’inverno, o una gabbia per i polli.
La vestizione della dama degli anni sessanta del diciannovesimo secolo seguiva dei passaggi obbligati: per prima venivano indossati la camiciola e i mutandoni, poi veniva indossato e stretto il corsetto, quindi nella parte posteriore veniva poggiato un cuscinetto che serviva ad inclinare la gabbia, poi si indossavano le sottogonne ed infine la gonna e il corpino.
Corsetto degli anni settanta

I volumi nuovamente indietro
Dopo gli anni sessanta, quando i cerchi passarono di moda e le gonne divennero più strette e piatte sul davanti, venne data più enfasi alla vita e ai fianchi. Era quindi necessario un corsetto adatto a modellare il corpo nella forma desiderata. Questo scopo fu raggiunto allungando il corsetto e suddividendolo in più parti sagomate, per aumentarne la rigidità esso era poi rinforzato con un maggior numero di stecche di balena, corde e perfino inserti in pelle.
Un busto modellato al vapore
Allo scopo di ottenere un contorno maggiormente sinuoso, negli anni settanta fu introdotta la modellatura a vapore. Si trattava di un processo di lavorazione da eseguire una volta terminato il corsetto e consisteva nell’inamidare, essiccare e sagomare sul manichino di sartoria il busto appena cucito, in modo che il vapore aiutasse la modellatura.
Lo spoon busk

Un’altra invenzione tecnologica che aiutò a rendere i corsetti più restrittivi fu lo “spoon busk” (stecca centrale anteriore a forma di cucchiaio e fornita di propria agganciatura), inventato nel 1873, accessorio reso possibile da una nuova metodologia per forgiare il metallo. Si pensava infatti che la forma a cucchiaio potesse rendere i corsetti più comodi equilibrando la pressione nella regione addominale, nella realtà la parte rigida e piatta comprimeva in dentro l’addome consentendo un’allacciatura più stretta (da fare due immagini con spoon busk) ma rendendo il corsetto più opprimente.
Nuovi detrattori del corsetto
Non c’è da stupirsi se la campagna contro l’uso del corsetto si alimentò di nuovi detrattori mentre chi stava dall’altra parte (soprattutto la corporazione delle ditte che producevano corsetti), riteneva che questi busti fossero curativi. Ad un rapido sguardo è invece facile intuire come essi costituissero strumenti di compressione che non consentivano una grande libertà di movimento. Alcune riviste denunciavano il fatto che le vite venivano ridotte dal corsetto anche a 38 cm. e che le ragazze fossero costrette dalle madri ad indossare busti non solo di giorno ma anche di notte, in modo che si abituassero a considerarli propaggini del proprio corpo. Dottori e pubblicazioni scientifiche elencavano invece innumerevoli disturbi alla salute causati dai corsetti, che includevano il deperimento fisico, la curvatura della spina dorsale, lo spostamento delle costole, il cancro, l’isteria, la gobba, l’aborto, la depressione e l’epilessia. Alcuni moralisti poi criticavano l’aspetto seduttivo del busto intimo in quanto alcuni uomini avevano sviluppato una vero e proprio feticismo per i corsetti e le vite di vespa.
Bisogna comunque considerare che le donne comuni adattavano probabilmente la stretta del corsetto a seconda delle occasioni, allacciandoli più lenti quando erano previste attività dinamiche come la danza e l’equitazione, o durante la gravidanza, o quando si svolgevano attività lavorative.
Crinolette e sellino degli anni settanta
Dal 1869, invece di fluire sull’ampia gabbia, le stoffe delle gonne iniziarono ad essere panneggiate sui fianchi e spinte su in un elegante drappeggio che si spostava verso la parte posteriore spesso formando una coda posteriore, così come era successo per il mantello tardo rococò. La grande crinolina a campana precedentemente in voga subì quindi delle profonde trasformazioni iniziando a scendere piatta sul davanti e ai lati e spostando i suoi volumi all’indietro.
La crinolette

Il tipo di crinolina che permetteva questa forma era per lo più conosciuta col nome crinolette ed era ancora simile alla crinolina in quanto consisteva sempre in una sottana cerchiata attaccata alla vita, però la forma dei cerchi era molto più complessa e di fatto appiattiva la parte anteriore e i fianchi spingendo i volumi indietro, un po’ come era successo alla fine del diciottesimo secolo. Al suo esordio la crinolette fu subito irrisa dalle vignette del Punch che confrontarono la sua sagoma con quelle di lumache e coleotteri.
Il sellino
Ben presto però alla struttura a sottana della crinolette si affiancò un meno ingombrante sellino o bustle o coulisson o cul de crine o tournure, ritenuto sufficiente per supportare i drappeggi delle gonne. Si trattava di un supporto la cui rigidità poteva essere conferita da una imbottitura di crine o da un sistema di cerchiature metalliche ed era allacciato alla vita e ai fianchi o mediante un cinturino o addirittura una allcciatura simile a quella dei corsetti. Va precisato che il “regno del sellino” ebbe due differenti periodi in mezzo ai quali sparì del tutto (cedendo il passo ad una moda dai fianchi lisci e compressi): il primo dal 1870 al 1876 e il secondo che iniziò dopo il 1880 raggiungendo dei veri e propri eccessi in dimensione.
Le crinolette e i sellini erano probabilmente più limitanti delle crinoline. La parte anteriore piatte e le strisce assicurate attorno al corpo impedivano notevolmente l’atto di camminare o sedersi. Ma mentre la crinolette ingabbiava completamente le gambe col sellino i problemi della seduta potevano essere superati spostando il supporto da un lato o sedendosi sporti nella sedia.
Il sellino era un tipo di struttura metallica che ampliava la rotondità posteriore della gonna e si offriva da supporto al drappeggio del centro dietro dell’abito femminile, fu in voga prevalentemente negli anni settanta e ottanta con una breve pausa in mezzo. I sellini venivano indossati sotto le gonne nella parte posteriore, giusto sotto la vita, per mantenere gli strascichi delle gonne che venivano spinti all’indietro mentre la gonna scendeva piatta sul davanti. (metterlo come spiegazione di una figura, per esempio).
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Corsetto degli anni ottanta

Oggetto di culto
Dagli anni ottanta del diciannovesimo secolo il corsetto cominciò ad essere un capo di abbigliamento di culto e le donne erano solite indugiare nella sua scelta, avendo a disposizione una vasta gamma di forme, colori, tessuti e decorazioni. Le ditte che producevano corsetti avevano infatti già capito come solleticare la vanità femminile proponendo modelli sempre più accattivanti e registrarono una rapida crescita, anche perché l’offerta era molto diversificata e alla portata di ogni tasca. I corsetti più costosi potevano essere fatti di satin di seta con le stecche tenute ferme da una varietà di impunture ricamo, mentre si imposero i corsetti quelli dai colori sgargianti.
La produzione in serie
I produttori erano poi orgogliosi nel pubblicizzare l’eccellente vestibilità e adattabilità a tutte le figure dei corsetti bell’è pronti. Era infatti diventata una scienza raffinata il saper progettare busti capaci di adattarsi a diverse misure di vita, torace e fianchi oltre che a differenti tipi di corporature, da quello tarchiato al tipo snello, dal pieno al gracile. Altro espediente per potenziare le vendite era quello di dare alle linee di corsetti dei nomi stravaganti come ad esempio La Fiancée (la fidanzata).
Nel 1880 poi la compagnia aertex propose un corsetto di una fibra di cotone che prendeva il nome proprio dalla ditta, l’aertex aiutava a mantenere la pelle fresca in estate e calda in inverno, espediente tuttora usato nell’industria di abbigliamento sportivo.
Il “regno del sellino” ebbe due differenti periodi: il primo dal 1870 al 1876 e il secondo che iniziò dopo il 1880 raggiungendo dei veri e propri eccessi in dimensione. In mezzo a questi due periodi il sellino sparì del tutto cedendo il passo ad una moda dai fianchi lisci e compressi.
Il tardo sellino 1881-1889
Ancora più esagerato
Dopo un periodo di assenza di circa quattro anni, alla fine del 1881 nell’abbigliamento femminile riapparve il sellino, in una forma tanto esagerata da divenire il maggior distintivo di moda della metà degli anni ottanta. Nel 1885 esso raggiunse proporzioni considerate ridicole dall’occhio moderno e lo stesso George Bernard Shaw lo irrise nel suo “Arms and the Man”. Questi trado-sellini erano generalmente ben strutturati e qualche volta sporti indietro in un angolo retto rispetto alla linea della spina dorsale. Questo fece sorgere la dicitura popolare che vi si poteva posare sopra una tazza di te e mantenerla perfettamente in equilibrio. Spesso all’interno dell’abito erano attaccate delle strisce di metallo che avevano il compito di rendere ancora più esagerato la curva all’indietro determinata dal sellino.
Per ogni taglia e gusto
I sellini vennero immessi nel mercato in ogni sagoma e misura. Alcuni erano costruiti quasi interamente in metallo, altri somigliavano a cuscini colorati. Questi ultimi erano imbottiti con crine di cavallo ed anche paglia, fino a raggiungere la pienezza desiderata. I sellini venivano spesso ridicolizzati nei giornali e nella stampa popolare, ma sebbene potevano essere scomodi ed ingombranti, così come nel caso di busti e crinoline non bisogna pensare che i casi estremi fossero all’ordine del giorno. Molti sellini conservati nelle collezioni da museo non sono infatti tanto esagerati quanto la critica del tempo voleva far credere. Essi erano spesso adattabili in grandezza e le donne potevano scegliere stili differenti a seconda delle attività che dovevano svolgere durante il giorno. Piccole tournures assicurate ai corsetti venivano raccomandate per le passeggiate, piccoli cuscini per il primo pomeriggio per spezzare la sagoma piatta degli abiti, mentre sellini più larghi in larghezza e profondità venivano indossati per le serate danzanti.
Il new phantom

Il sellino New Phantom (nuovo fantasma), datato circa 1884, aveva una forma speciale. In esso infatti dei fili di ferro erano imperniati così che potessero richiudersi, come una tenda a cupola, per consentire la seduta, per poi riaprirsi quando ci si alzava in piedi. Un novità fra i sellini Phantom fu poi lanciato per commemorare il giubileo d’oro della Regina Vittoria, con inserito un carillon che suonava “Dio salvi la Regina” ogni qual volta la donna che lo indossava si sedesse!
La moda del tardo o grande sellino finì nel 1889.
Corsetto degli anni novanta

Abbandonati definitivamente i sellini, la sagoma femminile spostò la sua enfasi verso il punto vita e questo cambiamento nella silhouette necessitò una nuova forma di corsetto con steccature molto sostenute sia nella parte anteriore che in quella posteriore. Il risultato era una perfetta forma a clessidra che come facile prevedere provocò un’ondata di attacchi da parte dei dottori e riformatori della moda, che denunciavano distorsioni e altre forme patologiche per la salute della donna; anche perché, se da un lato questi corsetti riuscivano a comprimere, provocavano poi delle strane protuberanze di carne che fuoriuscivano al di sotto della vita, povere parti del corpo umano che da qualche parte dovevano pure andare a finire. Iniziarono così a fiorire delle alternative ai corsetti troppo comprimenti, una di queste fu un tipo in cui le stecche erano sostituite da corde cucite in senso longitudinale. Era fabbricato come un normale corsetto con l’allacciatura al centro dietro e un busk curvato al centro davanti, tuttavia, al posto delle stecche di metallo o di osso di balena esso aveva inserito nelle guide delle corde robuste. Le corde erano già state usate per rinforzare i corsetti sin dall’epoca della Reggenza, ma con l’invenzione di un macchinario industriale per produrre cordami doppiamente ritorti (verso la fine degli anni settanta), il suo utilizzo divenne più semplice. Questo corsetto era realmente più comodo in quando le corde erano flessibili e non producevano strane protuberanze piegandosi così come succedeva al metallo, né correvano il rischio di spezzarsi, così come accadeva alle stecche di balena. Fra le alternative grottesche ed in contraddizione col termine “salutare” che accompagnava la sua pubblicità, è da annoverare “il corsetto elettrico” che apparve sul mercato negli anni novanta. Il termine elettrico si riferiva al fatto che la componente metallica delle stecche (quale era dunque la novità?) dovesse fungere da catalizzatore per eventuali onde magnetiche. Questo tanto per sottolineare come la nascente vocazione delle donne verso una maggiore autodeterminazione fosse già stata intercettata dai professionisti del marketing.
Sottogonna a balze degli anni novanta
Il sellino quindi sopravvisse fino al volgere di secolo, tuttavia nei primi anni del novecento si sentiva ancora la necessità di un elegante supporto nella parte posteriore della gonna, giusto per bilanciare la curva formata dal busto spinto in fuori. Questo mini-sellino poi scomparve totalmente dal 1905 contemporaneamente alla diffusione del lungo corsetto dell’inizio del ventesimo secolo dai fianchi stretti ed il petto spinto in avanti.
I fianchi emersero così dai precedenti ingombri di sellini e drappeggi, le gonne furono più semplici ed ebbero una silhouette stilizzata senza l’ausilio di trucchi artificiali. Esse erano tagliate con una linea ad A svasata dalla vita in giù, un sostegno era comunque necessario e si trattava di una sottogonna svasata che aveva dalla linea dell’orlo in su numerose balze di rigidità decrescente: dal tessuto di crine, alla tela inamidata, alla balza merlettata.
1900 The Gibson girl


The Gibson girl
Al volgere del secolo l’ideale femminile fu incarnato da un’icona visiva presa a prestito dalle raffigurazioni pittoriche dell’artista Charles Dana Gibson. Le modelle che posarono per i suoi dipinti furono diverse, da sua moglie Irene Langhhorne all’attrice teatrale belgo-americana Camille Clifford, ma ognuna fu stilizzata tracciando gli stessi tratti caratteristici che, riassumendo i concetti di estetica del tempo, riproponeva svariate varianti di un’unica ragazza ideale, statuaria ed effimera. La ragazza di Gibson era alta e snella, il suo collo assomigliava a quello di un cigno e sulla sommità del capo vi era posata una nuvoletta di capelli acconciati in uno sbuffante chignon. La caratteristica più evidente era però la sua sagoma di profilo, che vedeva una schiena fortemente inarcata che spingeva il seno in avanti ed il sedere all’indietro.
La curva ad S

La curva ad S veniva raggiunta con l’ausilio di corsetti estremamente rigidi ed inarcati, uno fra i più famosi era chiamato a collo di cigno (swan-bill) e fu indossato fra il 1900 e il 1908. Questo corsetto, che prendeva il nome dal particolare busk che comprimeva la parte anteriore, era liscio sullo stomaco e aveva un fitto sistema di stecche che costringeva la schiena ad una curva innaturale. E’ strano pensare che una donna tanto arresa alla scomodità personificasse non solo bellezza ma anche volitività, indipendenza e realizzazione personale. Il seno florido era la caratteristica principale della Gibson girl e furono studiati vari espedienti per aumentarne il volume. Le riviste alla moda pubblicizzavano creme miracolose e potenti pozioni ricostituenti, su tutto prevaleva il vecchio stratagemma di imbottire il corsetto con dell’ovatta, una sorta di push up simile a quello che si usa adesso. Quella che risultava nuova era infatti la legittimazione di qualsiasi espediente pur di arrivare all’ideale di bellezza desiderato, non importava a costo di quali sacrifici. Ovviamente i detrattori del corsetto ebbero nuovi argomenti a loro favore ma è indubbio che il busto di inizio secolo era uno strumento di tortura, tanto che a guardare le riviste di moda dell’epoca, viene istintivo massaggiarsi la regione lombare. Nella realtà il corsetto allacciato tanto stretto provocava dolori lombari, fiato corto, ipertensione e gonfiori alle ginocchia, qualcuno addirittura sosteneva che causasse il prolasso dell’utero, sebbene non vi siano mai state prove scientifiche a riguardo. Tuttavia continuavano a fiorire ragioni scientifiche a sostegno della controparte. C’era chi sosteneva infatti che le donne, più degli uomini, non avevano ancora superato il trauma del cambiamento di posizione del genere umano da orizzontale a verticale e che per questa ragione il corsetto era l’ausilio indispensabile per correggere l’anomalia anatomica. A supporto di queste teorie furono addirittura addotte le recenti scoperte archeologiche compiute in Grecia e a Creta. Fu proprio la statuetta della dea dei serpenti e gli affreschi del palazzo di Cnosso, che raffiguravano donne con la vita strizzata, ad essere strumentalmente portati a supporto di questa teoria, come testimonianza del fatto che da circa quattromila anni le donne sentivano la necessità di un supporto che sorreggesse la propria spina dorsale.
prima del primo conflitto mondiale
Dal 1910 i creatori di moda iniziarono apertamente a criticare la scomoda curva ad S identificata nell’icona della Gibson girl e lo stilista che per primo passò alla storia per aver intrapreso una guerra contro la tirannia del corsetto fu Paul Poiret, che disegnò modelli d’abito morbidi e fluttuanti che seguivano le curve naturali del corpo e non necessitavano di indumenti intimi costrittivi. In realtà egli aveva intercettato il rifiuto della morale vittoriana da parte di giovani donne, per lo più concentrate in aree urbane maggiormente evolute. La rivendicazione delle donne di una propria attività lavorativa, di un’educazione accademica e scientifica, la pubblica protesta per l’accesso al suffragio universale e al controllo delle nascite, la nuova abitudine ad attività ricreative che vedevano balli più dinamici come per esempio il tango, erano tutte cose che portavano a mettere in discussione l’uso del corsetto e da allora in poi nell’immaginario popolare, la giusta e legittima battaglia delle suffraggette sarebbe stata identificata con la demonizzazione del corsetto così come le femministe degli anni settanta sarebbero state additate come quelle che volevano bruciare i reggiseno.

Sull’altra sponda la battaglia prendeva apertamente i connotati di una difesa corporativa da parte dei produttori di corsetteria i cui strumenti persuasivi erano, ancora una volta, quelli di paventare una vita dissoluta e disordinata come conseguenza dell’allentamento del controllo del vestiario.

Se dal 1908 il corsetto a collo di cigno era stato provvidenzialmente riposto nel baule, le minacciose stecche avevano iniziato ad orientarsi rigide sui fianchi in modo da creare una forma di corsetto quasi tubolare che inglobava le gambe e di fatto impediva una regolare falcata ed una comoda seduta; era confezionato in cotone o in raso, composto di teli, inserti di elastico, nastri, merletti, era rinforzato da stecche di balena o di metallo ed era stringato nella parte posteriore mentre il ventre era particolarmente compresso. Per far si che il corsetto scendesse liscio lungo le gambe si pensò di creare un raccordo fra esso e le calze, che prima avevano avuto un reggicalze ad anello per sorreggerle. Il nuovo tipo di reggicalze attaccato al busto constava di sospensori elastici che si agganciavano alle calze, la gran parte dei corsetti avevano 4 sospensori ma 6 erano preferiti se si voleva avere un effetto molto stirato. Altra caratteristica di questo corsetto lungo è che lasciava scoperti i seni, che iniziarono quindi ad essere sorretti dal reggiseno, innovativo capo di vestiario intimo che aveva già fatto la sua timida comparsa nel 1897. Parallelamente si diffuse l’ossessione per una raffinata biancheria ricamata ad ago, monogrammata, ornata di pizzo, rifinita con merletto valenciennes e nastri colorati di cui bisognava avere dodici di ogni cosa: camicie sia per il giorno che per la notte, busti, corpetti, copribusti, cuffie da boudoir, mutandoni e sottogonne, anche perché l’accorciarsi delle gonne permetteva di intravedere l’orlo ricamato delle sottane che contrastava con le calze nere, elemento di seduzione che richiamava le ballerine di can can. L’esplosione della prima guerra mondiale però avrebbe affrettato tutti i cambiamenti che stavano venendo alla luce.
gli anni venti del ventesimo secolo
L’età del Jazz

Gli anni venti furono caotici e sfrenati. Il mondo si stava riprendendo dalla prima guerra mondiale, c’era una tremenda depressione economica mentre le donne, dopo essersi impegnate in prima linea con ruoli diversi durante la guerra, faticavano a rientrare nei confini della loro vita domestica. In alcune parti del mondo avevano guadagnato il diritto al voto e un certo protagonismo e le suffraggete volevano sfruttare il momento per ottenere maggiori conquiste mentre si imponeva una sensualità femminile che equivocava sull’identità sessuale, con atteggiamenti mascolini quali fumare in pubblico e ostentare una muscolatura tonica. Inoltre per la prima volta era una donna, Gabrielle Coco Chanel a disegnare la silhouette femminile. Questa frenesia fu riassunta dal Jazz e da un capo di abbigliamento, il flapper (il tipico abito corto guarnito all’orlo con lunghe frange conosciuto in Italia come abito charleston), che riassumeva il nuovo ideale smilzo ed efebico della donna moderna, alla garcònne, con abiti sciolti in vita, zazzera mozzata sotto le orecchie e il protagonismo dirompente del maquillage.
Il flapper


Il flapper sfidava tutto quello che prima di allora era stato dato per scontato e suggeriva una nuova figura agile che non necessitava più del corsetto quanto della più moderna biancheria intima, che si restringeva al reggiseno e alla fascetta elastica attorno all’addome. Maggiormente messe in discussione furono poi le stecche dei corsetti precedenti, che avevano impedito la falcata agile delle gambe e la seduta, mentre si impose l’uso di materiali elastici. Le industrie di corsetti cercarono di arginare il calo delle vendite immettendo sul mercato dei manufatti più flessibili adatti ad occasioni particolari. Il corsetto Tango, ad esempio, era progettato per ballare più comodamente la nuova danza che giungeva dall’america latina.
Il consumo di massa
Altra caratteristica del tempo fu il fatto che le donne di tutte le classi sociali, in special modo le giovani con un’indipendenza economica, potevano avere accesso al nuovo linguaggio del consumo, il semplice atto dell’acquisto iniziò allora a diventare un’attività di intrattenimento e svago e i grandi magazzini ampliarono il reparto corsetteria immettendo in vendita, sotto il termine di lingerie, capi di abbigliamento flessibili come gingilli accattivanti di seta e satin, ai quali poche ragazze riuscivano a resistere.
Il corsetto per le più robuste
Risulta chiaro che il corsetto non poteva sparire dal mercato dall’oggi al domani, né tutte le donne potevano immedesimarsi nel modello flapper, specie se erano di una certa età, se erano in sovrappeso o se vivevano in provincia. Così quelle che erano rimaste a guardare, indecise fra la libertà dalla costrizione del corsetto, il giudizio dei benpensanti e l’esigenza di nascondere le imperfezioni dei propri fianchi, accettarono i nuovi suggerimenti delle industrie manifatturiere per lisciare la figura privandola dei propri inestetismi, anche se bisogna dire che il corsetto, quando c’era, era una sorta di sottoveste elasticizzata di forma quasi tubolare.
gli anni trenta del ventesimo secolo

La donna crisi
Il modello femminile degli anni trenta era mascolino, magro ed atletico, veniva chiamato donna crisi, questo vuol dire che il suggerimento mediatico era quello di raggiungere la forma perfetta mediante lo sport e la vita dinamica. Ciò nonostante non tutte avevano voglia di praticare sport o riuscivano a mantenere la linea sottile mostrata nei figurini di moda, soprattutto dopo le gravidanze. La maggior parte delle donne sentiva quindi la necessità di aiutare il proprio fisico con gli ausili di sempre ma il mercato adesso proponeva indumenti di compressione che contrabbandati come moderni e meno costrittivi, erano comunque molto scomodi.
Il corsetto di gomma

Con grande successo si impose sul mercato il corsetto di gomma, pubblicizzato come capo economico ed innovativo, capace di garantire una maggiore libertà di movimento. Questo indumento, spesso prodotto dalle stesse ditte che producevano pneumatici per automobili, nella maggior parte dei casi consisteva in un tubo di gomma estruso in un unica soluzione, altre volte era aperto su di un fianco o al centro dietro, in questo caso poteva avere le stringhe o avvalersi dell’innovativa cerniera lampo, ancora molto grossolana ed inestetica. Il corsetto di gomma era perforato in più punti per permettere la traspirazione, nella realtà si incollava alle carni ed era necessario interporre uno strato di talco o una camiciola di tessuto fine. Era anche infiammabile e tendeva ad alterarsi col calore. Chi lo ha adoperato lo ricorda ancora come una delle peggiori torture della sua vita., sicuramente l’odore che si sviluppava quando lo si toglieva era acre e intenso. Non era certamente un feticcio erotico e le donne se ne vergognavano persino di fronte al proprio marito. L’unica conquista sembrava quella di aver bandito le stecche ma questo non rappresentava per forza di cose un vantaggio. Essendo un tubo le stecche avrebbero impedito l’arrotolamento dell’indumento, che in casi estremi poteva ridursi in un unico rotolo attorno al punto vita. Anche in pubblico le donne tentavano con buffi gesti di riportare il corsetto di gomma al proprio posto, srotolandolo in ambo le direzioni. Per fortuna vi erano in basso i sospensori reggicalze che raccordavano la fascia alle calze ma la situazione si fece critica quando in tempo di guerra la maggior parte delle donne dovette rinunciare a queste ultime, a volte con l’espediente di tingersi le gambe e segnare la riga posteriore con la matita.
Apparvero in commercio anche i primi tentativi di fascetta a pantaloncino, ma questo indumento che si sarebbe imposto negli anni sessanta non ebbe molto successo al suo esordio. In parallelo al corsetto di gomma, sicuramente più economico, vi erano fascette di tessuto con inserti elastici, prodotti quasi artigianalmente. Su tutti si impose il color rosa, dal tenue incarnato, al rosa salmone, alle tonalità più accese. Vi è anche da dire che sul finire del decennio ci sarebbe stato un ritorno di passione per busti e corsetti dovuto ad un revival Vittoriano operato dal successo di due grandi film: Via col Vento e Piccole Donne. Ma si era già in guerra, bisognava andare avanti con gli indumenti che si avevano a disposizione e aspettare il new look di Christian Dior.
Il corsetto di gomma fu uno degli episodi più ingloriosi nella storia della corsetteria e sarà ricordato insieme ad altri tristi distintivi del periodo bellico.
gli anni quaranta del ventesimo secolo

I primi anni quaranta del ventesimo secolo furono terribili anni di guerra, in cui le donne avevano ben altro di cui occuparsi piuttosto che della propria forma fisica. Si andava avanti con quel che era rimasto del corredo anteguerra, rammendando e aggiustando, si attingeva a materiali poveri o riciclati, come le fibre naturali e le sete dei paracadute, mentre qualsiasi pezzo di elastico poteva essere prezioso per improvvisare un corsetto.
Il new look


I cambiamenti più rivoluzionari nella storia della moda arrivarono giusto dopo la guerra, con il lancio del New Look creato da Christian Dior, che irruppe nel 1947 come reazione all’austerità post guerra, sebbene sia evidente che alcune tracce di questo stile erano già apparse dal 1939. Il New Look disegnava una silhouette con una vita di vespa ed un corpetto attillato che valorizzava il petto e i fianchi, mentre l’orlo della gonna si ampliava e abbassava, tutto questo con l’ausilio di tagli ingegnosi del tessuto, imbottiture e steccature. Il capo più esemplare fu il modello Bar (Bar suit), un abito da giorno caratterizzato da una giacca fortemente sciancrata e un’ampia gonna pieghettata. La stessa collezione proponeva anche gonne a tubino al di sotto del ginocchio sempre molto strette in vita.
Per raggiungere questo look la maggior parte delle donne aveva bisogno di un indumento intimo altamente costrittivo, poteva essere una fascetta elastica o un reggiseno lungo fino alla vita o nei casi più difficili una sorta di scafandro che stringeva la figura dalle spalle alle cosce. Il punto vita era particolarmente rinforzato con cinte e stringature aggiuntive. Per ovvi motivi al lancio del new look non seguì immediatamente un cambiamento di tendenza, le donne occidentali faticavano a riprendersi dalla guerra e solo le appartenenti ad una classe privilegiata poté cogliere al volo il fascino della nuova moda.
Dopo la guerra i grandi magazzini cercarono di rilanciare il commercio con la vendita a rate, cosa che non risparmiò neanche il reparto corsetteria. In provincia sopravvivevano invece le abili bustaie, che producevano corsetteria su misura e che recepivano con una certa lentezza le nuove tendenze.
Rimettere in linea il proprio corpo fu visto come una analogia alla guarigione dagli stenti della guerra e la pubblicità dei corsetti si impadronì del concetto di “prima e dopo”, con immagini pubblicitarie che mostravano la stessa donna prima sciattamente compressa da bustini ordinari e poi perfettamente scolpita dal corsetto giusto, non senza l’ausilio di un ritocco fotografico.
Il new look del 1947 rese anche molto popolare l’accoppiata reggiseno e fascetta. Altre innovazioni di fine decennio, ma destinate a segnare la moda dei prossimi anni cinquanta, erano il Bustier steccato, usato al posto del corpino negli abiti da sera a gonna ampia e la vezzosa Guepiere, di cui parleremo alla prossima pagina.
gli anni cinquanta del ventesimo secolo, dopo il new look





L’onda lunga del New Look di Christian Dior dalla vita stretta segnò la moda di tutti gli anni cinquanta con poche eccezioni, come l’abito a sacco e la linea ad A.
Per stringere la vita così come richiesto dalla nuova moda, l’industria della corsetteria proponeva una vasta gamma di reggiseno bassi che sembravano corsetti, accoppiati a bustini talmente alti che i due capi quasi si congiungevano. Il bustino salì infatti gradualmente fin sotto il seno riuscendo a garantire una vita di vespa con l’ausilio dei nuovi tessuti elastici. Per le più robuste vi erano poi busti integrali che comprimevano la figura femminile dal petto fin sotto i fianchi.
La guêpière

La vezzosa innovazione dell’epoca fu la guêpière.
Questo indumento era stato inventato da Marcel Rochas nel 1945 e il suo nome derivava dal francese guêpe (dal latino vespa, in riferimento al vitino di vespa che il suo uso riusciva ad ottenere). La guêpière era destinata a rimanere un capo di vestiario intramontabile ma nella versione anni cinquanta la sua confezione era molto simile a quella di un corsetto del secolo precedente, con i suoi molteplici telini sagomati ed una potente steccatura alla quale si aggiungevano due ferretti semicircolari che contornavano i seni. Era allungato fino ai fianchi dove terminava con i sospensori del reggicalze. Esso alternava tessuti rigidi ed elastici ed era chiuso sulla schiena con una serie di ganci o lacci che assottigliavano la vita. Poteva avere o meno le spalline. Negli anni 50 la guepiere si impose così sugli altri capi intimo di contenimento e la sua particolare forma a coppe staccate permise una migliore vestibilità gli abiti a decolletè.
Nostalgia della crinolina
Nelle sere eleganti l’abito riproposto in infinite varianti constava sempre di un bustino a decolletè senza spalline ed una gonna amplissima. Questa infatti era riccia e tagliata a ruota in modo da poter conferire maggiore ampiezza all’orlo, che arrivava a terra con una leggera coda posteriore, oppure si fermava dritta a metà polpaccio. Per garantire l’ampiezza della gonna fu rispolverata la crinolina ottocentesca che poteva essere a balze o costituita da più strati di tulle tagliati a ruota o addirittura cerchiata. L’avvento del nylon facilitò non poco la sua realizzazione in quanto consentiva l’uso di tulle sintetici, tulloni o crinoline di nylon (in questo caso inteso come tessuto, come il suo nome originario). La silhouette femminile scimmiottava così, in tutto, quella di un secolo precedente e i creatori di moda e di biancheria intima si divertirono a studiare la struttura di busti, crinoline e sellini degli anni 1850-60 per riproporli più flessibili e confortevoli ma pur sempre restrittivi. L’immagine di una donna formale, fluttuante ed impedita nei movimenti sembrava essere l’espediente migliore per ricoverare il mondo dal trauma della guerra.
il tramonto di corsetti e crinoline
Il canto del cigno
Possiamo dire che la guepiere rappresentò un canto del cigno del corsetto, accompagnato dalle vezzose imitazioni di crinoline e coulisson, a volte gradevoli segni di una nostalgica rassicurazione, quasi una citazione autoironica. Sicuramente fu l’ultimo periodo in cui si poté vedere una comunione fra culto feticistico dell’indumento intimo e necessità di comprimere. Dopodiché le due funzioni si diversificarono, tutto quello che era vezzoso avrebbe avuto bisogno di un corpo già perfetto, mentre tutto quello che era contenitivo sarebbe stato nascosto con pudore.
Capi che non si vuole mostrare




Già dagli anni quaranta avevano fatto la loro comparsa i busti elastici con o senza steccatura, integrali o spezzati in vita, un po’ per tutte le esigenze e corporature e col passare degli anni destinate soprattutto a quelle robuste. Se ogni tanto qualche stilista, come Vivienne Westwood o Jean Paul Gaultier, si è divertito ad inserire dei pronipoti del corsetto nelle sue sfilate di moda, i capi intimi contenitivi sono arrivati fino al giorno d’oggi, con la variazione più significativa costituita dalla pancera a mutanda, integrale o a calzoncino, addirittura bermuda, che però ha l’effetto di creare un cuscinetto di cellulite l’i dove termina l’effetto contenitivo. Sono in ogni caso capi di vestiario di cui ci si vergogna, come ammettere che non siamo in forma, anche se le pubblicità ce li mostra sempre tesi e ben lisci indossati da donne magre che non ne avrebbero bisogno. In realtà il busto o fascetta elastica costituisce un eterno tormento, impedendo la traspirazione, arrotolandosi e creando bozzi li dove non dovrebbe, indispensabile solo per chi non riesce a farne a meno, evitata da chi riesce a fare tre cicli di addominali al giorno o da chi non considera un problema i rotoli di ciccia sopra la vita bassa dei jeans. Di sicuro questi capi di vestiario non hanno il sex appeal dei corsetti di un tempo; nel diario di Bridget Jones la protagonista si chiede se mettere o no una “pancerina” prima di un incontro galante, poi si vede la scena seguente in cui lui guarda inorridito la mutanda alta che le strizza le carni non sapendo come toglierla di dosso. Ci sono poi in circolazione delle guepiere molto vezzose, buone per creare una atmosfera intima ma molto inferiori nel livello di fattura a quelle degli anni cinquanta: le stecche non sono mai abbastanza rigide e si inarcano malamente mentre l’indumento non contiene.
Ma siamo veramente liberi dalle costrizioni?
Possiamo imputare il tramonto dei corsetti all’abitudine di diete e ginnastica e ad una maggiore consapevolezza del ruolo della donna, ma personalmente non mi faccio molte illusioni. Su ogni mutamento del gusto c’è sempre un motivo economico. Fino agli inizi del ventesimo secolo ogni tentativo di bandire il busto steccato era stato combattuto con ogni mezzo dalla lobby dell’industria della corsetteria, ma quando quest’ultima si accorse che il problema del calo di produzione poteva essere combattuto semplicemente con una riconversione verso mutande elastiche, reggicalze e reggiseno, magari allargando la produzione anche ai costumi da bagno, non ci fu più bisogno di mettere in campo tutti gli strumenti di pressione all’acquisto che erano stati impiegati nei decenni precedenti.
Se qualcuno quindi pensa che la scomparsa di elementi costrittivi dal vestiario della donna occidentale sia il segno di un’evoluzione positiva del suo stile di vita, se qualcuno osa pensare, scrivere e gridare, che la mortificazione del corpo della donna sia rimasta una caratteristica di altre culture considerate per questo meno evolute, rispondo d’impeto citando i jeans attillati della mia generazione, quella per l’appunto della liberazione sessuale post sessantottina, quando per tirare la zip dovevamo stenderci sul letto. Ma dopo l’impeto arriva la riflessione che mi fa vedere una realtà ben peggiore, almeno in Italia. La timida offesa un tempo operata dal corsetto adesso è di gran lunga superata dalla chirurgia plastica, con effetti molto più grotteschi e devastanti. Se alcune sagge hanno intuito che il proprio corpo può essere valorizzato con uno stile di vita sano, buona alimentazione e attività fisica, altre invece chiedono troppo, giungendo all’anoressia e alla bulimia, alla liposuzione e al botulino, alla ricerca di quella magica bellezza che alcune sfiorano per alcuni anni attorno all’adolescenza, passando il resto della propria vita a non saper invecchiare. Forse il vero nemico di molte donne è la non accettazione di sé, virus malefico che non ha risparmiato principesse, cantanti rock e uomini politici, si, anche uomini.
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