Un tempo dipingevo ad acquerello, tecnica molto affascinante ma anche problematica, infatti a differenza di altre tecniche non si può cancellare, coprire, rimediare a una sbavatura del colore, è come scolpire il marmo: se fai troppo rovini tutto. L’acquerello consiste nel corteggiare una goccia di colore su un foglio di carta umido al punto giusto, trasportarla col pennello lì dove la tua mente ha già visto il chiaroscuro, in un progetto invisibile a occhio nudo. Spesso con l’acquerello si vive di rimorsi: “quì avrei potuto osare un altra velatura scura, ma avevo paura che risultasse eccessiva”, è davvero l’arte dell’essenzialità, che ti costringe al rigore e alla perfezione tecnica. Era affascinante anche l’attrezzatura: i pennelli di martora, quei cubetti di gouache avvolti in carta stagnola come fossero cioccolattini (che costavano ognuno un occhio della testa), il perdere tempo nei negozi di Belle Arti. Ero anche riuscita ad acquistare una scatola in legno pregiato con 36 gouache Winsor&Newton, con cassetti di porcellana per miscelare i colori, che era la riproduzione di una di quelle appartenute a Joseph Mallord William Turner. L’avevo corteggiata per un anno dalla vetrina del negozio di Belle Arti Di Benedetto a Palermo, in quell’occasione il titolare aveva sorriso sussurrando “è un capolavoro,” lui che difficilmente mostrava le sue emozioni.

A trent’anni arrivò l’artrite e le mie mani iniziarono a dolere e bloccarsi, bisognava seguire i dettami di quella che i medici chiamavano economia articolare ma, piuttosto che legarmi i pennelli alle mani come aveva fatto Pierre Auguste Renoir (collega in malattia), iniziai a guardare con curiosità i programmi di pittura in digitale. Inizialmente si trattava di muovere un pennino su una tavoletta grafica distante dal monitor; un pò dissociante ma potevi dosare la pressione ed evitare che falangi, polso e metacarpo si stancassero. Poi sono arrivati i tablet ed è stata una rivoluzione a poco prezzo, soprattutto in tempi ridotti: potevo tracciare direttamente sullo schermo e poi cancellare, tornare indietro, salvare lo stesso progetto con altro nome, sovrapporre strati differenti, avere una tavolozza colori illimitata, tutte le tecniche di pittura, e una svariata collezione di pennelli; in pratica l’attrezzatura di un intero atelier in un tablet di ridotte misure, in più lavorare comodamente accoccolata in poltrona. Da non sottovalutare poi la possibilità di riprodurre all’infinto il mio lavoro e trasferirlo in tutto il globo con un clic.
Producevo la prima fase di progetti più complessi: bozzetti per costumi, locandine per spettacoli in cui ero coinvolta, illustrazioni per un manuale di sartoria teatrale. Solo da poco ho iniziato a illustrare i post del mio blog e poi i miei romanzi, coniugando le mie due grandi passioni: scrittura e arte figurativa. Mi spiazza adesso la richiesta di quantificare economicamente questo aspetto del mio lavoro.
Perchè come in ogni rivoluzione tecnologica vengono poste delle istanze etiche: se posso riprodurre perfettamente la tecnica dell’acquerello, senza gli ostacoli che incontra ogni acquarellista, posso sempre considerarmi tale? L’arte sta ancora nella fatica artigianale, nella tecnica e nell’unicità?
Nel suo saggio del 1936 “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, Walter Benjamin “sottolinea che l’opera d’arte è sempre stata riproducibile e riprodotta, per studio, amore o guadagno, attraverso procedimenti quali la silografia ed altre tecniche grafiche, ma queste forme di riproduzione erano comunque procedimenti artigianali, di dimensioni limitate, legate alla velocità della mano. La stampa è stato il primo procedimento di riproduzione meccanico, che ha trasformato profondamente la produzione scritta e le sue forme di fruizione. Allo stesso modo e con lo stesso ritmo la litografia ha reso possibile una riproduzione ed una diffusione commerciale capace di riprodurre anche le scene della quotidianità e di riconfigurare il rapporto tra l’oggetto dell’arte, tradizionalmente elevato, e la vita. Queste tecniche erano tuttavia ancora legate al ritmo della manualità: la fotografia e la ripresa cinematografica, dipendenti dall’occhio, hanno impresso un’ulteriore accelerazione, raggiungendo la velocità dell’oralità e dell’azione. Ma le potenzialità tecniche del 1900 non modificavano solo la capacità di produzione e riproduzione artistica, ma modificavano anche i modi e le forme della fruizione dell’arte da parte del pubblico.” (citazione da Wikipedia)
Non so quanto Walter Benjamin avesse previsto l’arte digitale come ulteriore potenziamento della riproduzione tecnica, ma certamente la storia va in linea con le sue intuizioni.
D’altro canto, un romanzo vale meno da quando non si scrive più con penna e calamaio? E può un saggio o un romanzo moderno, col tutto il suo processo di copia e incolla, con la sicurezza del controllo ortografico, essere paragonato alle stesure uniche del passato, quando ogni revisione veniva scoraggiata dalla fatica di riscrivere tutto? Quanto prevale la tecnica sulla creatività?
Recentemente il graphic designer americano Mike Winkelmann ha messo all’asta da Christie’s un’opera digitale, cioè appartente al mondo virtuale. L’asta online è durata due settimane iniziando dalla base di 100 dollari: il prezzo ha iniziato lentamente a salire, poi ad accelerare, per poi diventare stratosferico negli ultimi minuti, con incrementi di oltre 1 milione a botta. L’offerta vincente è stata di 60 milioni di dollari, lasciando a bocca perta i battitori di Christies così come i mercanti d’arte presenti. Si trattava di jpeg, il formato più rappresentativo della riproducibilità tecnica, ma anche il più vulnerabile alla manipolazione e alla contraffazione. Cosa quindi è stato venduto? Probabilmente il tentativo di imbrigliare in un prodotto il percorso artistico di Mike Winkelmann, rintracciabile dal suo profilo Instagram beeple_crap, qualcosa che testimonia la sua ricerca espressiva, il suo tratto, il suo stile, la sua personalità artistica. Non certo un quadro da appendere in salotto, da possedere e mostrare.
Nel mio piccolo posso solo stampare in alta definizione i miei acquerelli, scegliendo una carta ruvida che dia effetto tridimensionale alle pennellate virtuali, da incorniciare e appendere al muro e guardare quando si vuole.
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