La libertà, è partecipazione?

Sono cresciuta nella convinzione del valore positivo e rivoluzionario della parola “libertà”, personificata nella statua che accoglieva i migranti nel nuovo mondo, evocata nei canti anarchici, come nella frase di una canzone di Giorgio Gaber “libertà è partecipazione”. Purtroppo proprio quest’ultimo iniziò a disorientarmi, solidarizzando con una moglie che si spostava dichiaratamente a destra. Era infatti il presagio di una contraddizione di termini, perché proprio quel partito a cui aderiva la moglie di Gaber si intitolò “Casa della Libertà” e poi cambiò nome diverse volte senza mai abbandonare la parola libertà, tanto che una famosa gag di Corrado Guzzanti mostrava i suoi aderenti intenti a fare qualsiasi nefandezza (e maleducazione) in nome della libertà. Questo avveniva durante la campagna elettorale del 2001 e purtroppo la gag, non solo non è stata smentita, ma è stata dolorosamente superata dalla storia del nostro paese. Io pensavo che libertà volesse dire libertà dalle dittature, dalle costrizioni, dai falsi moralismi, dalle oppressioni dei popoli, invece apprendo che libertà può essere intesa come libertà dalle regole, con quella filosofia del ‘ghe pensi mi che caratterizza il popolo di destra del nord Italia, allergico allo statalismo, alle tasse, alle regole e alle istituzioni e che in questo motto si è tragicamente trovato d’accordo con un sud Italia che le regole non sa neanche cosa siano. D’altro canto tutto era forse generato da un’equivoco, da quella statua che campeggia nella baia di Hudson, posta lì a celebrare la dichiarazione di Indipendenza del popolo americano. Perché diciamolo con onestà, la libertà evocata dai nostri fratelli d’oltre oceano non era affatto la partecipazione, quanto quella di farsi da sé, pagando poche tasse, provvedendo senza alcun aiuto ai bisogni della propria famiglia e, nei casi estremi, imbracciare un fucile per farsi giustizia da soli. Questa notte in America c’è stata una rivoluzione, che non è stata quella sperata dal presidente Obama, e modestamente anche da me, non si tratta infatti di una assistenza sanitaria pubblica, così come l’abbiamo conosciuta in Italia (almeno fino a qualche anno fa). Questa sorta di riforma/compromesso significa che altri 32 milioni di americani si aggiungeranno a costoro che hanno il privilegio di essere curati, non ho ben capito quanti invece ne resteranno fuori. Né questa riforma riuscirà a scardinare l’odioso monopolio delle assicurazioni sanitarie private. Nonostante la pochezza dell’evento, questo viene considerato rivoluzionario, tutto infatti è relativo al contesto e quello americano, almeno da questo punto di vista, resta per me inspiegabile. Durante le vacanze di Natale in America ho avuto l’occasione di scambiare qualche opinione con chi era contrario alla riforma sanitaria, persone all’apparenza ragionevoli che poi vedevo impuntarsi sul termine libertà: “se passa la riforma di Obama l’America perde la sua libertà, i suoi principi fondamentali, cade in balia dello statalismo.” “La libertà è quindi quella di permettere che i malati di cancro, perfino bambini, muoiano per un tumore che potrebbe essere curato?” A questa domanda non ottenevo risposta e neanche quando facevo notare che la spesa totale di una futura riforma sanitaria sarebbe stata inferiore a ciò che si spende in un solo anno di guerra. A quel punto si faceva ricorso ad una filosofia che è quella che sostiene il sogno americano, quella cioè del self made men, il cui diritto di stare a questo mondo dipende dalla sua capacità di competere, cioè far carriera e accumulare quel gruzzoletto capace di far fronte alla spesa sanitaria come all’università dei figli, i quali a loro volta dovranno fare lo stesso, rigenerando la classe dirigente e permettendo ai propri figli di sopravvivere e sgomitare su una massa di disgraziati che invece rimarranno fuori dal sistema, perché sono nati nel quartiere sbagliato o perché nella loro vita sono incappati in qualche guaio. Questo concetto di libertà non ha nulla a che vedere con la partecipazione, con la solidarietà, con quelli che per me sono i principi che dovrebbero stare alla base di una moderna democrazia. Ma si sa che l’America ha almeno la capacità di rimettersi in discussione, l’ha fatto eleggendo il democratico Obama, che probabilmente ha barattato un suo secondo mandato con lo scardinamento del sistema egoistico della sanità, pagherà per questo ma alla lunga lascerà un segno nella storia: questo significa fare politica guardando ad un futuro che non necessariamente ti comprende. In Italia invece si cammina al contrario, continuando a dare consensi ad un capo del governo che pensa solo al suo personalissimo presente, scimmiottando un sistema che non è nostro e che non valeva la pena imitare.

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