La perdita

Io e mio fratello eravamo convinti che al cinema si arrivasse quando ci era comodo ed eravamo bravissimi nel capire la trama a spettacolo iniziato. Era quasi un gioco enigmistico che poi si svelava nella seconda fase della visione, quando la proiezione ripigliava dall’inizio e finalmente comprendevamo i punti che c’erano rimasti oscuri. A un certo punto io, lui e zia Giggitta ci guardavamo nel buio della sala dicendoci “è qui che siamo arrivati” e, cercando di non dar troppo fastidio, guadagnavamo l’uscita. Era capitato a volte di vedere un film dall’inizio e l’avevamo considerata una coincidenza “guarda… sta iniziando proprio adesso”, non ci veniva da pensare che tutti gli altri fossero arrivati a quell’ora di proposito, controllando per tempo l’orario dal giornale, e sotto sotto quasi ci dispiaceva quella vicenda troppo facile, in cui i personaggi si presentavano dall’inizio.

Non so perché avessimo questa organizzazione, l’orario d’uscita era deciso dai nostri compiti o dagli impegni di zia Giggitta, che in realtà abitava nel palazzo di fronte. S’andava solo nei cinema raggiungibili a piedi da via Terrasanta: il Gaudium, il Golden o il Fiamma ma era il Gaudium il nostro preferito, perché era proprio a due passi, perché essendo un cinema parrocchiale costava poco, e perché dietro la sedia del cassiere campeggiava un bellissimo primo piano di Humphrey Bogart. In quello stesso cinema siamo andati l’unica volta nella nostra infanzia con nostra madre, in un pomeriggio di noia in cui lei entrò in casa insolitamente allegra dicendo: “chi vuol venire a vedere con me Fantasia di Walt Disney?”. Dieci minuti dopo eravamo seduti nelle poltrone del Gaudium nella scena della Pastorale, anche lì ripigliammo l’inizio del film dopo.

Poi mio fratello, che era più grande di me di quasi cinque anni, iniziò ad andare al cinema con i suoi coetanei, però tornato a casa mi raccontava tutto il film fotogramma per fotogramma, perfino riproducendo il rumore di spari, bombe, urla o risate. Ci sono pellicole che riconosco alla prima scena e che pure non ho mai visto, solo perché me le ha raccontate mio fratello. Ed era così bravo anche a leggermi i fumetti di Topolino nelle lunghe passeggiate in automobile con i nostri genitori, perché lui non soffriva il mal di macchina, a differenza di me, quindi mentre stavo sdraiata nel sedile posteriore per non vomitare, poggiandogli la testa sulle ginocchia, lui descriveva il disegno di ogni vignetta, leggendo le battute entro le nuvolette e persino gli SLAM, BUM, CRAC e SIG!

Gli aneddoti e le memorie delle persone scomparse aiutano solo chi scrive, ed è per questo che il mio sfogo sta in questo blog personale letto da pochi; però fanno bene. Perché di ogni persona che muore ognuno serberà il suo ricordo, che difficilmente combacerà con quello degli altri. Più che la persona, è la memoria della nostra relazione che portiamo con noi e, nel caso di un fratello o una sorella, si tratta di frasi, nomi, sguardi, che nessun altro potrà mai capire: quella parola che ti fa scoppiare dal ridere all’unisono dal un lato all’altro di una tavolata di Natale, perché fa parte di un tuo lessico; per noi era l’”Inaffondabile”, una vasca da bagno per bambole che usavamo come imbarcazione, sostituita anni dopo dal Ding che ci divertivamo a far scuffiare nel mare di Capo zafferano. Solo chi ha fratelli e sorelle, anche lontani, sa cosa vuol dire avere solo una persona che condivide “quel” ricordo, che poi diventa struggente quando si resta soli.

Questo è il senso della perdita.

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