A parte lo Speakers’ Corner di Hyde Park, prima dell’avvento dei social networks i luoghi fisici o virtuali ove esprimere il proprio pensiero senzi filtri, erano pressoché inesistenti. Potevi scrivere “lettere al direttore” di un quotidiano locale o nazionale (io lo facevo spesso) ma, giustamente, la redazione operava le proprie scelte e i suoi tagli; e lo faceva in base alla qualità del messaggio, attualità dell’argomento, presenza o meno di contenuti offensivi o perseguibili penalmente.
Chi voleva diffondere in larga scala un messaggio dal contenuto sociale o politico, poteva distribuire volantini e affiggere manifesti. Un grande aiuto arrivò negli anni ottanta con l’avvento del fax, quando addirittura in alcune battaglie civili si profilò un “popolo dei fax”, che mandava messaggi stampati ai giornali e ai rappresentanti politici. C’erano anche i radioamatori, una piccola comunità che clandestinamente sfruttava l’etere, così come c’erano le radio e televisioni private, gestite da instancabili volontari oppure da imprenditori con pochi scrupoli.
Poi è arrivata la rete internet e la posta elettronica, con mailing list (più o meno eticamente corrette) capaci di inviare con un solo clic un messaggio a centinaia di persone.
Nel frattempo in rete nascevano i primi siti web, soprattutto i primi forum dove si poteva esprimere il proprio pensiero, ma in genere c’era un moderatore che censurava i contenuti offensivi o poco appropriati.
Infine, col nuovo millennio sono arrivati i social network e il controllo del messaggio virtuale è andato fuori controllo.
Presto ci si è accorti quanto fosse diventato semplice darsi appuntamento da qualche parte con migliaia di persone, non soltanto per feste, flash mob o rave party, ma anche per manifestazioni politiche di vario colore o addirittura per rivolte violente. Un’arma pericolosissima se in mani sbagliate. Il problema è che nessuno sembrava in grado di decidere quali fossero le mani giuste.
Abbiamo colto l’allarme ma non siamo stati in grado di rimediare. Perché a parte un sottile rimbrotto di sottofondo, tutti hanno preferito continuare su una strada comoda e gratuita, senza considerare che nulla al mondo è gratis e in qualche modo prima o poi devi pagare. Anche perchè, confessiamolo, i social network sono diventati la nostra principale compagnia e ce lo ha dimostrato la clausura da pandemia, come avremmo reagito senza di loro?
Ma ci sono account, su twitter, su facebook e sui numerosi altri social network, gestiti da influencer (personaggi politici o semplici blogger) che hanno milioni e milioni di follower, i cui messaggi sono capaci di raccogliere miliardi in beneficienza, vendere prodotti ma, potenzialmente, anche organizzare un colpo di stato.
Purtroppo un reale allarme è scattato solo dopo la sedizione di Capitol Hill, quando è diventato evidente che @POTUS (President of the United States) poteva rivelarsi sensibile quasi quanto la valigetta con i codici nucleari.
Il fatto che poi facebook e twitter abbiano chiuso gli account di Donald Trump, che Apple abbia cacciato dal suo hosting la piattaforma Parler, quella usata dai fanatici di Qanon e altri gruppi violenti di estrema destra, ha significato chiudere la stalla a buoi già scappati. Perchè la sedizione del 6 gennaio ci ha dimoostrato come da un account dai milioni di follower, in qualsiasi momento potrebbe partire un messaggio destabilizzante.
Trump era destabilizzato di suo, ma accorgersi di avere successo in rete potrebbe portare alla deriva narcisistica anche un comune mortale, come la signora Angela di “‘un ‘cinnè coviddì” che pur di sfruttare l’insperata ribalta continua a veicolare un pericoloso messaggio negazionista.
Chi in questo momento cerca di individuare in un solo “signor social network” il responsabile di questa deriva si sbaglia. In realtà la rete ha dei proprietari diversificati (pochi ad esempio considerano il potere degli hosting) che agiscono in nome del profitto, ma io credo che neanche essi siano ormai capaci di prevedere gli effetti di un sistema che sembra muoversi random, una sorta di anarchia alla quale si tenta di mettere lacciuoli e paletti che vengono continuamente divelti. Come il Mago di Oz che si rivela inesistente, scoprendo che dietro una tenda c’è un macchinario acefalo che trasmette messaggi registrati, come il computer Al che in “2001 Odissea nello spazio” si ribella ai suoi creatori, come il “Big Brother” Orwelliano, con la differenza che noi sudditi degli anni duemila, dal grande fratello ci facciamo coccolare senza alcun moto di ribellione.
Non voglio concludere con un messaggio pessimista, ma deve essere chiaro a tutti che solo una legislazione transnazionale, che regolamenti l’uso del web, ci potrà proteggere in futuro da eventi assurdi come quelli di Capitol Hill.
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