Contarsi in piazza

Non sono più i movimenti a identificare le istanze, ma sono le istanze a creare i movimenti, questa mia considerazione nasce dalla facilità con cui, dall’avvento dei social network in poi, si riescono a portare in piazza moltitudini di persone. Ne avevo fatto accenno nel post precedente e adesso vorrei approfondire il concetto.

Non è mia intenzione sminuire la forza di istanze drammatiche e urgenti ma spesso ci si muove ora per l’uno o per l’altro problema, che a sua volta costituisce il collante di masse scambievoli ed eterogenee. Quando c’erano i partiti, i loro iscritti aspettavano le indicazioni dei dirigenti sulla posizione da prendere per ogni determinato argomento: divorzio, aborto, politica estera… si chiamava centralismo e ce ne siamo liberati, ma adesso la situazione è ribaltata. Nella fretta dell’organizzazione dell'”evento” si sorvola sulla formulazione di programmi condivisi e si rischia di abbracciare battaglie con persone che sono state nell’opposta fazione nella piazza precedente, dopodiché risulta probabile che movimenti troppo spontanei vengano strumentalizzati.

Ritrovarsi in decine di migliaia in piazza, senza che ci sia un partito alle spalle, crea un momentaneo senso di onnipotenza e l’eco dei selfie che si propaga sui social network, rischia di fermare l’evento nella tecnica della sua riproducibilità mediatica. Il problema sarà dopo, quando si cercherà di dare un’organizzazione, individuare gli ispiratori, creare ruoli, dibattere e scontrarsi, fare cioè quello che fanno i partiti che si presentano alle elezioni.

Ma in Italia la repulsione per i partiti è diventata tale che le formazioni che ambiscono ad essere rappresentate in parlamento evitino ormai di chiamarsi partito, preferendo nomi dall’ampio significato.

La mia paura è quella di ritrovarsi in una due realtà che non dialogano fra loro, quella della piazza e quella del voto.

E adesso sul mondo scende la scure della pandemia, che impedisce qualsiasi attività basata sulla logica del contarsi e fare numero, si spera che sia una situazione momentanea ma forse è un segnale che ci invita alla riflessione, a una politica più ragionata e organizzata.

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