A cosa serve la cultura

Risultati immagini per libriIl dibattito sul ruolo della cultura, sul suo rapporto con la politica e il denaro, ha solitamente il punto di vista di chi la produce. Ma una volta tanto vorrei provare ad affrontare la questione dal punto di vista dell’utente, che spesso è un mancato fruitore poiché è colui che la cultura non è riuscita a raggiungere.

Il fatto è che quando si toglie sussistenza economica alla cultura, non si mortifica solo la categoria degli addetti ai lavori, ma si priva la società di un alimento basilare di cui magari non si sente un bisogno immediato. Il paradosso è che maggiormente si è lontani dalla cultura, minormente la si desidera.

Viviamo in un presente che brucia le esperienze e vuole fatti concreti, incapace di costruire il futuro, nostro o delle generazioni a venire. Mentre la cultura richiede tempo, costanza e pazienza; contribuendo a costruire la personalità, la coscienza civile, la capacità di mettersi nei panni altrui.

E’ anche vero che “cultura” è un contenitore difficile da definire, raccogliendo materia impalpabile ed effimera, i cui atomi sono emozioni, piaceri, empatie, bellezze. Ma chi è capace di decidere cosa sta dentro e cosa sta fuori questo contenitore? Ci sarà sempre qualcuno capace di produrre cultura, perché essa è tenace, prodotta in qualsiasi situazione o contesto, il nodo della questione è la sua propagazione e le scelte che vi stanno a monte.

In passato i sistemi di veicolazione della cultura erano semplici: la scuola, l’università, l’editoria, le istituzioni culturali, a cui poi si sono aggiunti nuovi mass media come il cinema e la televisione. C’era un controllo determinato dai mezzi, c’erano selezioni severissime, ad esempio produrre un film costava una fortuna e la televisione era di stato. Pensate cosa significava negli anni sessanta controllare la programmazione dell’unico canale televisivo in Italia. L’intera nazione vedeva ogni sera lo stesso programma, il martedì c’era il teatro di prosa e l’indomani ciabattini e portieri commentavano “Morte di un commesso viaggiatore”, gli sceneggiati televisivi (antenati delle serie TV) attingevano dai classici della letteratura, così seguendo le puntate dei fratelli Karamazov in cerca dell’assassino, un po’ di Dostoevskij attraversava gli animi della nazione tutta.

La propagazione seguiva un progetto, che era quello di creare una cittadinanza funzionale al potere politico. La fortuna stava semmai nella bontà (o meno) del potere politico.

Succede poi che un nuovo mezzo di comunicazione di massa irrompa sul pianeta ad aprire frontiere ed informatizzare la cultura. Una rete che attraverso sei gradi di separazione potrebbe mettere in comunicazione fra loro tutti gli abitanti del globo, offrendo a chiunque la possibilità di caricare e scaricare immagini, testi, musica, video e file di diversi formati digitali. All’inizio sembrava che il classismo della rete fosse costituito dal suo accesso: sembrava che poveri, anziani e semianalfabeti ne sarebbero rimasti fuori. Invece non si erano fatti i conti col narcisismo della gente, che si priva di tutto ma non di uno smartphone, mentre il funzionamento di quest’ultimo viene imparato dai bambini prima ancora della scrittura. Nel 1968 Andy Warhol disse “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”. La profezia si è talmente avverata che 15 minuti adesso sembrano pochi, siamo in una corsa alla visibilità che spinge le persone a mettere in rete qualsiasi cosa possa diventare virale, cioè cliccata da migliaia di utenti.

Così nell’era in cui la cultura è gratuitamente accessibile in rete, tanta, tutta quella che vuoi, essa è difficile da scovare in mezzo ad un mare di spazzatura. C’è la più ricca enciclopedia della storia, puoi accedere a dati storici e scientifici, informarti sull’intero scibile umano, insieme però a notizie false e fuorvianti, venditori, messaggi violenti, incitamento all’odio, santoni, fattucchiere e predicatori. Una rete talmente fitta di contenuti da celare l’eccellenza come un ago in un pagliaio, solo gli ostinati trovano il proprio alimento culturale, perché sanno in partenza cosa cercare e hanno gli strumenti per non cadere nei tranelli. Agli altri viene fornito ciò che piace, che non è il meglio. Le scelte sono operate da una logica commerciale che pubblicizza prodotti tramite ciò che riceve più visibilità, un algoritmo al ribasso che privilegia volgarità e violenza. Quindi la rete, che inizialmente era democratica, è diventata più classista della peggiore cultura nazional-popolare e pian piano tende a riportare il genere umano ai suoi istinti primordiali.

Eravamo arrivati ad un punto in cui la cultura, nel senso di istruzione, era un progetto familiare ed equivaleva a denaro, potere e prestigio. Studiare era l’unico mezzo per riscattarsi da una vita costrittiva e comportava l’acquisizione di regole comportamentali, mentre il docente era una figura incontestabile e di grande autorevolezza. Adesso il denaro lo si può raggiungere senza la cultura ed esso è più direttamente legato al prestigio in società rispetto al passato, quindi perché istruirsi? – “Perché conseguire una laurea, fare concorsi, per poi guadagnare quanto quel morto di fame del nostro docente? Appunto, chi è costui perché noi dobbiamo prestargli attenzione?” – questo purtroppo pensano oggigiorno molti studenti, senza bisogno di distinguere fra i discenti dei vari corsi di studio; e se irridere il proprio docente comporta maggiore visibilità in rete – “perché non provarci?” –

La privazione delle emozioni, dell’empatia e della bellezza può involvere gli individui fino a queste azioni? Io direi di sì. Il problema non è come sei nato ma chi hai incontrato nella tua strada. Se la preoccupazione della scuola che frequenti è quella di intrattenerti ad ogni costo, abbassando l’offerta formativa al tuo livello, non si fa altro che sposare la filosofia della rete.

Il mondo però ha un enorme bisogno della cultura, che ci rende individui liberi e cittadini attivi, che ci fornisce l’empatia necessaria per capire il prossimo e l’emozione per riflettere.

Il fatto è che sono i malati più gravi a non conoscere la cura, perché non sanno di cosa siano stati privati, quindi il compito di inoculare goccia a goccia la medicina resta come sempre a coloro che sanno.

Abbiamo bisogno di buoni maestri.

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