Ho visitato due volte Orchard house, la casa di Louisa May Alcott (1832 – 1888) a Concord, in Massachussetts. Ogni volta di passaggio, con qualcuno che mi faceva fretta e io che consideravo la sosta un tributo alla mia adolescenza. La seconda volta ero con mia figlia e siamo anche riuscite a fare il tour dei suoi interni, con la mobilia originale nella medesima disposizione, persino il piccolo tavolino a ribalta, centrato fra due finestre, in cui l’autrice scriveva.
Il suo nome è Orchard House perché un tempo c’era un meleto. Della villa di Laurie nessuna traccia mentre la cittadina di Concord (una chiesetta, un municipio, una stazione ferroviaria e una biblioteca) dista un miglio a piedi, cioè un chilometro e 600 metri. Visitammo anche il piccolo store ricavato dalle stalle della dimora, comprando qualche cartolina e una copia che raccoglieva i quattro libri di Little Women.
Se ad un primo sguardo quelle anguste stanzette sembravano custodire una convenzionale vita ottocentesca, in un contesto apparentemente simile a quello di tante piccole comunità del New England, bisogna precisare che la vita di Louisa May Alcott nulla ha avuto di convenzionale.
Inanzitutto lo stato del Massachusetts, per tutta la prima metà del diciannovesimo secolo, era ritenuto il centro degli studî e della vita artistico-letteraria della nazione, avamposto di idee, utopie e scuole di pensiero; Boston (dove in alcuni periodi vissero gli Alcott) era perfino chiamata l’Atene dell’America Settentrionale.

Ma anche l’ambiente rurale della vicina Concord portava l’impronta di grandi pensatori: a soli otto minuti a piedi da Orchard House, c’era la casa di Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882) che adesso è un museo, e non doveva essere lontana la capanna fra i boschi in cui visse da eremita Henry David Thoreau (1817 – 1862).
Emerson e Thoreau erano due esponenti di quella corrente filosofica definita “trascendentalismo americano” (erede della tradizione kantiana-fichtiana-schellinghiana, che riconosceva la superiorità assoluta del sentimento sulle altre facoltà conoscitive ) di cui ha fatto parte anche il padre di Louisa May: Amos Bronson Alcott ( 1799 – 1888), stimato educatore (anche delle proprie figlie), filosofo e pioniere militante del veganismo etico,

Nato da una famiglia di contadini poveri, il padre di Louisa May fu un autodidatta, ma questo non gli impedì di diventare uno dei fondatori del trascendentalismo americano. Praticava il veganesimo, rinunciando persino ai vestiti di lana e agli oggetti in cuoio, coinvolgendo nelle sua scelta anche la moglie e le quattro figlie, e influenzando l’ambiente dei trascendentalisti. Con la sua famiglia e alcuni seguaci, nel 1843 aveva fondato, in una fattoria presso Harvard, una comunità vegana chiamata Utopian Fruitlands, per dare prova di uno stile di vita in cui si rispettassero la natura e gli esseri umani, e in cui non si dovessero uccidere o maltrattare gli animali.

Fallita l’utopia, la famiglia si trasferì a Concord, nella dolce casetta chiamata Orchard House, dove Amos Bronson Alcott fondò la “Scuola di Filosofia di Concord“. Nel frattempo collaborava con Thoreau nell’Underground Railroad, una rete clandestina che creava una via di fuga agli schiavi che volevano raggiungere il Canada, dandovi nel frattempo rifugio e assistenza, Orchard House ne era un anello principale; Alcott, al pari di Thoreau, era un sostenitore della disobbedienza civile ed era attivo nei movimenti per l’abolizione della schiavitù.

La madre di Louisa May, Abigail May ( 1800 – 1877), era invece una femminista, impegnata in movimenti civili e lotte per i diritti dei neri: le suffraggette Lucy Stone e Sarah Helen Whitman erano di casa a Orchard House. Marito e moglie erano pienamente solidali nelle loro battaglie sociali e i criteri educativi con cui crescevano le figlie erano assolutamente controcorrente.
Essere anticipatori di istanze anticapitalistiche comporta rinunce e sacrifici e sia Louisa May che le sorelle dovettero ben presto contribuire al magro bilancio familiare, lavorando come istitutrici, domestiche o governanti per le famiglie della zona. L’autrice trovava anche il tempo di scrivere, e se da principio si trattava di storie di fate e folletti che fornivano insegnamenti sul rispetto della natura, in seguito passò ad articoli e brevi saggi sulla rivista Atlantic Monthly, per l’estensione del voto alle donne e l’abolizione della schiavitù . Fu anche la prima donna a iscriversi negli elenchi per l’elezione di un consiglio d’istituto scolastico a Concord. La famiglia attraversò gravi problemi finanziari e fu devastata dalla morte della sorella più giovane, Elizabeth. Louisa May ne soffrì come pure per l’allontanamento dalla sorella maggiore Anna, quando si sposò. Lei invece non si sposò mai e forse non fu neanche interessata all’amore eterosessuale.

Dopo alcuni anni dalla fine della Guerra Civile, Louisa May Alcott iniziò la produzione di alcuni romanzi usando lo pseudonimo A. M. Barnard, costringendosi a soggetti di facile successo di pubblico, giusto per arrotondare il bilancio. Solo nel 1868 iniziò il primo libro della saga di Piccole donne (nel giro di 20 anni sarebbero diventati quattro), attingendo all’infanzia e adolescenza vissuta con le altre tre sorelle a Concord. Ebbero un buon successo di critica e iniziarono a garantire un reddito per l’autrice, diventando in seguito tra i romanzi di formazione più conosciuti dell’Ottocento.
E’ quasi buffo pensare che tante famiglie perbeniste abbiano regalato alle figlie l’opera di una personalità così rivoluzionaria, senza rendersene conto. Se pure la Alcott si sia dovuta autocensurare per poter consentire la pubblicazione dell’opera, se abbia dovuto soffermarsi in melenserie da solotto borghese e piegarsi al destino da maritate delle sue eroine, la sua abitudine alle lotte per l’eguaglianza e alla disobbedienza civile non poteva restare fuori dai propri scritti. E’ forse questa la forza che ha permesso a tante adolescenti, me compresa, di affrontare con consapevolezza il passaggio all’età adulta?
Scomponendo le personalità sue e delle sorelle, e ricomponendole in modo diverso, Louisa May dà vita a quattro personaggi dai caratteri ben delineati, ognuno con una psicologia esemplare; e le segue nell’affrontare la vita in modi diversi, convenzionale nel caso di Meg e Amy, controcorrente nel caso di Jo (suo alter ego) o tragico in quello Beth, che con la morte prematura personifica il dramma di chi non vuole uscire dall’infanzia. Tutto questo con lo sfondo della Guerra Civile Americana da un’angolazione opposta (per posizione geografica e ideologia) a quella conservatrice del romanzo Via col vento.
Con la storia delle sorelle March, Louisa May riflette sulla sorellanza, un legame che può anche prescindere da quello familiare e che riguarda l’amicizia e la solidarietà fra donne, il perdersi di vista e ritrovarsi dopo anni, il carico di memorie e confidenze che ci si porta nel cuore.

Qualcuno ha voluto vedere in quest’opera un manuale per giovinette di buona famiglia, relegandolo nell’angolino dei pudding e delle trine. Questo è purtroppo il destino della penna delle donne, incline a scrutare l’anima dall’osservatorio dei propri spazi. Non sempre i libri si possono classificare per generi ed età, si scrive per qualcuno che ne recepirà il messaggio e in questo caso si è trattato di masse copiose di giovani donne nel corso di un secolo e mezzo.
Numerose sono state le sue trasposizioni cinematografiche, le prime moraliste e censorie, le più recenti meritevoli, come quella con Wynona Ryder e Susan Sarandon. In questi giorni arriva nelle sale l’ultima versione cinematografica (diretto da Greta Gerwig, con Emma Watson e Saoirse Ronan) e mi dicono sia molto ben fatta; andiamo a vederla ma anche rileggiamo da adulte la storia, scopriremo sicuramente alcuni dettagli che c’erano sfuggiti, a Louisa May Alcott questo lo si deve.
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