Ce ne ricorderemo, di questi giorni

Ci ricorderemo di medici e infermieri stremati,

impauriti, scoraggiati e con la faccia soffocata dalle mascherine,

Ci ricorderemo di chi ci ha portato la spesa e i medicinali,

delle telefonate affettuose “niente volevo solo sentire la tua voce”,

ci ricorderemo delle lezioni di resilienza da parte di chi con la morte scende a patti di continuo.

E quando la paura sarà passata forse li riempiangeremo, questi giorni,

e rammenteremo i commoventi cori ai balconi,

e quell’inno alla patria più brutto del mondo cantato a squarciagola,

anche quando dice “siam pronti alla morte”,

noi che alla morte non siam pronti affatto,

noi che alla vita ci teniamo tutti: giovani, vecchi e ammalati.

Ci ricorderemo del silenzio nelle strade e del canto degli uccellini,

dell’aria pulita e del profumo di primavera,

dei network di cani abbaianti dai balconi,

dei biscotti impastati coi bambini,

delle favole e delle poesie postate su youtube,

delle risate a crepapelle per i tanti capolavori di autoironia,

che sono la migliore cura contro l’immunodeficienza,

e anche contro la deficienza,

Di scolari e studenti che sperimentano la scuola a distanza,

dei tanti attori e uomini di spettacolo ripresi a casa con la felpa,

a dirci che siamo tutti uguali,

del volersi bene in lontananza,

del riscoprirsi popolo attorno a un premier, che mai avremmo immaginato tanto bravo.

Ho pianto nel vedere i cittadini dello Zen sulle scale che cantavano l’inno nazionale,

e non mi importa se qualcuno, in centro o in periferia, canta per farsi riprendere.

Siamo popolo, e stiamo crescendo.

E io non voglio che tutto torni come prima,

chiedo e spero che la nostra umanità resti quella di questi giorni.

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