“Claudio su – diceva con infinita pazienza Igea a suo figlio – non ti fermare ogni cinque minuti, fai il conto con le dita e aggiungi ogni volta altri due numeri: 12, 14, 16, 18, 20…”
“Ma sul serio volete tornare in Toscana?” – Chiedeva Ottavia mentre cambiava il panno a suo figlio Davide.
“L’atmosfera qui alla villa sta diventando pesante – rispose Igea – c’è una cugina che ha impugnato la divisione… “
“E allora?” – chiedeva Elda mentre dava la pappa al suo Ruggero.
“La verità è che vuole rilevare tutta la tenuta per due lire, Isabella vuole iniziare una causa ma io preferisco prendermi quello che mi offre, del resto ormai senza papà stare qui non ha più senso e Vittorio ha avuto dalla zia quel podere in campagna, ci investiamo i miei soldi… è quello che abbiamo sempre sognato.”
Nel frattempo Emanuele si era avvicinato a Claudio e gli aveva rapidamente riempito il foglio di numeri, mettendone ora uno in basso, uno in alto a destra, uno nel mezzo.
“Emanuele, tesoro – diceva Igea con dolcezza – i numeri non si mettono così a casaccio, devi fare di conto ogni volta da sinistra verso destra.”
“Ma io così faccio prima.”
“Sì ma il concetto è che deve esserci una progressione.”
“E contali.”
Igea controllò la numerazione di Emanuele e si rese conto che era giusta.
“Ma come hai fatto?”
“Io i numeri li vedo già nel foglio, in ogni rigo ci metti dodici numeri? Poi vai a capo e ricominci e se guardi di traverso vedi gli stessi numeri due caselle prima con una decina diversa.”
“Ma questo bambino… – diceva Igea a bocca aperta – Ottavia, ma Emanuele non fa la prima classe come Claudio?
“Non ci fare caso, lui i compiti li fa con un criterio tutto suo.”
Nel fondo della stanza si sentivano le voci di Pietro, Vittorio e Giulio.
“Sai è proprio una scelta di vita diversa, lavorare la terra, scrivere, contentarsi di poco.”
“Ma non è troppo isolato?”
“Niente affatto, a quattro chilometri c’è il paese, Francesco e Claudio andranno a scuola lì.”
“C’è anche la scuola media per Francesco?”
“Certo, e lì io e Igea abbiamo già fatto domanda di insegnamento, sai… per i primi anni… finché con la produzione agricola non andiamo a regime.”
“Certo ci mancherete.”
“E verrete a trovarci!”
“Sapete… – diceva Giulio – anche io a volte ci penso, mi piacerebbe un posto tranquillo, in mezzo al verde, dove andare ogni tanto a rifugiarmi.”
“Ma non mi fare ridere Giulio – diceva Elda ad alta voce dal suo lato della stanza – te in campagna proprio non ti ci vedo, non c’è una persona più cittadina di te.”
“Infatti dico ogni tanto, un posto che disti da Palermo, che ti so dire… la stessa distanza che c’è da qui.”
“Venti chilometri?”
“Sì, appunto… venti chilometri, basta una stanza, un poco di terra attorno, un caminetto.”
“Ma qui non si trovano case così, non siamo in Toscana – diceva Vittorio – però… c’è una specie di masseria abbandonata alla Sperlinga, sopra la tonnara di Solanto, ogni tanto ci arrivo a piedi, certo è grande ma c’è una bella corte su cui si affacciano dei fabbricati… uno è voluminoso, poi c’è un uliveto che sarà più di due ettari.”
“Troppo grande.”
“Io un uliveto così l’ho sempre sognato – intervenne pensieroso Pietro – ti fai la raccolta delle olive, le porti al frantoio, così hai l’olio per tutto l’anno e lo puoi anche vendere.”
“E che, ti vuoi mettere a impiantare un’azienda agricola pure tu?”
“Ma che ci vuole? Organizzi quattro amici, ne ho fatte io di raccolte d’olive a Villalba…”
“Ma la vendono la masseria?”
“Ciccio mi ha detto che a pezzo a pezzo la famiglia sta andando a Brooklyn, sono tanti e hanno deciso di vendere per farsi un poco di soldi.”
“Ma quanto vogliono?”
“Credo che con tutto l’oliveto la darebbero a quattrocentomila lire, ma dovrei informarmi meglio.”
“Sì, vabbè, e chi ce le ha?” – fece Pietro.
“Guarda che non è molto.” – rispose Vittorio.
“Non è molto ad avercele.”
“Però se la prendessimo assieme…” fece Giulio.
“E sarebbe duecentomila l’uno, tu ce le hai?”
“Io posso arrivare al massimo a centomila.”
“Però Giulio… – fece Vittorio – mi sa che ti va bene questa casa editrice.”
“Ultimamente ho avuto qualche commessa fortunata.”
“E se ci uniamo pure noi?” – urlò Ottavia dall’altro capo del salone.
“Ottavia non ti ci mettere anche tu – fece Elda – non li stare a sentire, sono i babbii[1] della domenica sera.”
“Guarda che io dicevo sul serio.” – fece Pietro offeso.
“Perché, tu hai tutta questa voglia di stare in campagna? Siamo con un bambino piccolo, senza una lira e pieni di lavoro fino al collo.”
“E dai, Elda! Non fare la passapititto[2], che ci costa andare a vederla?” – fece Giulio.
La domenica seguente si organizzò una spedizione aggiungendo al gruppo anche Ignazio, che da Deputato Regionale era l’unico che poteva chiedere un mutuo. La masseria era leggermente in collina e si arrivava da una trazzera costeggiata da cipressi, era maggio e in lontananza si vedevano degli edifici quadrati che si affacciavano su una corte, il più grande aveva una sua eleganza con un intonaco rosa screpolato su cui erano tracciati dei grossi rettangoli e una specie di smerlo sulla sommità, per gran parte ricoperta di glicine.
“Ma è un posto stupendo!” – fece Ottavia
“Ma sono ruderi!” – fece Elda
“Certo, è tutto malridotto.” – fece Pietro man mano che si avvicinavano.
“Ma dai! – disse Ottavia ora che erano arrivati – ci mettiamo tutti insieme e lo tiriamo su.”
“Vabbè, ci vorrà un mastro e poi bisogna vedere se la struttura è solida. Lì per esempio c’è una trave marcia.”
“Poi non c’è pavimento.”
“Dobbiamo trovare qualcuno che ci fa una perizia, perché una volta che le mura reggono si può iniziare a ragionare.”
“I tetti però saranno da rifare.”
“Guarda, alle Pulci trovi tutto – diceva Giulio – mattoni, canali, finestre, porte, ci sono ancora tutti i materiali delle demolizioni della guerra.”
“Mi sembrate pazzi – diceva Elda guardandosi in giro scettica, poi spingendosi verso uno spazio all’esterno, leggermente rialzato – vieni Giulio! Da qui si vede la stradina che facevamo in bicicletta durante lo sfollamento.”
“Sì, vero, quando andavamo a dare lezioni a villa Maggiore.”
“E da qui si vede il mare… quella è la tonnara!“
“Vedi che ti piace?” – Le chiese Giulio.
“Certo… se si vede il mare… ma i soldi? Non ci arriveremo mai e poi ce ne vorranno altrettanti per rimetterla a posto, anche se ci lavoriamo con le nostre mani.”
“Ho parlato con la zia Teresa, ha duecentomila lire da parte e ci vuole aiutare. Voi come siete messi?”
“Ignazio, allora? Lo puoi chiedere il mutuo dell’Assemblea Regionale?” – chiese Ottavia
“Non lo so, devo vedere… ma in ogni caso come ci organizziamo? Ci stiamo tutti insieme o dobbiamo fare a turno?”
“Guardate – disse Giulio – qua ci sono quattro vani che danno sulla corte, ne potete prendere uno per coppia, uno lo prendo io e in uno ci mettete i bambini, mentre il corpo grande lo usiamo come soggiorno per tutti, là nell’angolo si fa un focolare e un lavandino e qui magari ci mettiamo un grande camino.”
“E le olive dove le metti?” – chiese Pietro
“Ci sono altri due magazzini lì dietro – fece Vittorio – avete visto che bel carrubo che c’è sopra il pozzo e l’abbeveratoio? E là si può fare anche un bagno.”
“Il bagno all’esterno?” – chiese Elda
“E così che si faceva un tempo, dai.” – fece Pietro
Se Teresa sposò con entusiasmo il progetto, Wanda e Guglielmo giudicarono l’affare folle e irresponsabile: Pietro ed Elda stavano impegnando soldi che non avevano giusto quando stavano allargando la famiglia. Giulio poi, piuttosto che crearsela una famiglia, vagheggiava questa sorta di condominio fra amici. E infine, due padrone di casa sotto lo stesso tetto non sarebbero presto entrate in conflitto? Al contrario, Sua Eccellenza e la signora Emma provenivano da un ambiente rurale e apprezzavano qualsiasi investimento che riguardasse appezzamenti di terra.
Una perizia tecnica aveva stabilito che le mura portanti reggevano abbastanza bene, il tetto era tutto da rivestire e bisognava sostituire due travi. Poi mancavano completamente il pavimento e gli infissi, ma alle Pulci per un ammontare di 8000 lire furono comprati canali, mattoni di maiolica, porte, finestre e poi una ghiacciaia, una cucina economica e due stufe a legna, così si poté ovviare alla mancanza del gas e dell’elettricità.
Alle loro braccia volenterose, per 1000 lire l’uno a giornata si unirono quelle di don Ciccio e di suo figlio, i quali costruirono anche un camino alla maniera toscana sotto la guida di Vittorio. Le serate diventarono più calde e, man mano che andavano avanti i lavori, si organizzavano giacigli dove restare a dormire per la notte. A un certo punto, ancora col cantiere armato da montagne di sabbia e cemento, una vasca per la calce viva e cumuli di canali e mattoni, Elda, Ottavia e la zia Teresa portarono i bambini, dando inizio alla prima villeggiatura. Di automobili ce n’erano due, una giardinetta foderata di legno che Ignazio e Pietro avevano in società e una Jeep della guerra che apparteneva a Giulio, l’unica capace di salire per la trazzera, portare materiale, mobili, vivande e i blocchi di ghiaccio per la ghiacciaia.
Fu deciso di chiamare quella campagna Carrubo, per via di quello enorme che sovrastava l’abbeveratoio.
Qualsiasi difficoltà di adattamento di Elda fu smorzata dall’atteggiamento gaio e accomodante della zia Teresa, che si affaccendava a organizzare la casa con Ottavia, cucinava, piantava gerani, faceva passeggiate con Emanuele e, in mezzo a tanti pericoli, controllava i passi incerti di Davide e Ruggero che da qualche mese avevano iniziato a camminare. Ottavia, con l’aiuto di Elda e Teresa, diede il suo tocco d’artista per la pittura delle pareti e degli infissi. Giulio iniziò a recuperare pezzi di mobilia al mercato delle pulci, a ripulirli e a sistemarli nel grande soggiorno.
Si organizzò lo spazio esterno, dirimendo il glicine e una buganvillea che c’era sullo spiazzo che guardava la tonnara, si sistemò l’acciottolato della corte dove poi si creò un pergolato con una vite, un tavolo e delle sedie. Sul retro invece Pietro e Ignazio progettavano di impiantare un orto e degli alberi da frutta.
Lavorarono per tutta l’estate e nel mese di agosto arrivò un gruppo di amici con alcuni bambini, che piantarono delle tende militari sotto gli ulivi, vicino al pozzo. Si lavorava tutti insieme, si facevano turni per il bagno e due volte al giorno si apparecchiava una lunga tavolata sotto il pergolato; mentre i bambini sperimentavano la vita agreste, senza restrizioni né confini, rischiando ogni giorno di affogare nell’abbeveratoio e riempiendosi di lividi e sbucciature.
…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla
I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda
Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.
[1] stupidaggini
[2] guastafeste
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