Per la prima volta nella storia repubblicana, le camere erano state sciolte prima della naturale scadenza del quinquennio di legislatura e si andava alle elezioni anticipate. Il PCI, alla cui segreteria nazionale era da poco stato eletto Enrico Berlinguer, si trovava adesso minacciato dal frazionamento della sinistra perché una serie di gruppi, che erano stati espressione dei movimenti giovanili degli ultimi anni, decisero di presentare proprie liste[1].
Nei pranzi del sabato adesso si rischiava la rissa, dei ragazzi soltanto Davide sosteneva il PCI mentre Ruggero, Dario ed Emma erano col Manifesto, Emanuele addirittura aveva comunicato che non sarebbe sceso per votare.
“E che cosa pensate di concludere? Non arriverete mai al quorum! L’unica cosa che riuscirete a fare sarà quella di indebolire il partito!” – sbottava Ignazio.
“Tanto per fare un regalo alla Democrazia Cristiana.” – rincarava Pietro.
“Questo è un ricatto! Ora per non indebolire il PCI dobbiamo stare zitti come soldatini?” – rispondeva Ruggero
“Anche un solo deputato in parlamento può fare da cane da guardia a un partito che non riesce a fare opposizione!” – interveniva Dario.
“E vale la pena di tentare!” – questa era Emma.
Quelle elezioni avevano anche un risvolto materiale, se Ignazio era stato ricandidato, altri compagni storici erano rimasti fuori dalle liste. Uno di questi, loro caro amico, veniva spedito a dirigere la federazione della sua città, lasciando l’appartamento che aveva in affitto a Roma a via del Panico.
Anche se ne conosceva solo il soggiorno e la terrazza, Ottavia adorava quell’appartamento e pensò che prendendo casa avrebbe messo i suoi figli di fronte al fatto compiuto, non aveva infatti ancora rinunziato al suo progetto. Aveva già in programma una visita a Emanuele e pensò di passare da Roma al ritorno per visitare la casa, poteva rientrare in tempo per votare.
Il giorno della chiusura della campagna elettorale, Elda e Pietro erano andati a sentire il comizio di Occhetto al Politeama e poi s’erano fermati a mangiare in una trattoria della stessa piazza, mentre ancora si sentivano dal palco gli echi dell’Internazionale. Dopo il comizio Davide, con altri compagni, aveva iniziato a girare per la città col megafono sul tetto della macchina, per convincere gli ultimi indecisi. Emma e Dario avevano partecipato alla chiusura di Mario Mineo e Lucio Magri per “Il Manifesto” e poi si erano uniti a un gruppo di volantinaggio; anche Ruggero era lì e poi con altri ragazzi aveva iniziato ad attaccare manifesti elettorali, sforando la mezzanotte.
Elda e Pietro erano stanchi e si erano ritirati presto ma poche ore dopo furono svegliati da una telefonata, rispose Pietro e iniziò a balbettare, mentre Elda gli chiedeva ansiosamente chi fosse.
“E’ Pippo, dal giornale, sembra che sia caduto un aereo”
“Ma dove?”
“Stava atterrando a Punta Raisi”
“Mamma mia! Ma quanta gente c’era?”
“Pietro ascoltava il suo interlocutore e riferiva a Elda – …l’Alitalia sta fornendo un elenco di nomi molto confuso…sembra che ci sia mezza città.”
Elda fece un gesto di disperazione: “e certo con le elezioni domenica, le persone venivano per votare”
Pietro continuava a riferire ciò che sentiva dall’altro capo del telefono “… tre posti prenotati dagli uffici dell’amministrazione…”
“Oddio! Chi sono?”
“Carla, Franco e Saverio… ma non per certo, le prenotazioni non significano nulla.”
“Oh mamma mia, così giovani! Hanno contattato i genitori?”
“Stanno valutando se andarci subito o aspettare che si faccia giorno, svegliarli nella notte per un falso allarme sarebbe crudele.”
“Sì, ma saperlo dal gazzettino è peggio, comunque, Pietro, vestiamoci e andiamo in redazione, dobbiamo andare in straordinaria.”
“Infatti, dobbiamo essere lì al più presto.”
Erano quasi pronti per uscire quando arrivò una seconda telefonata, questa volta era il direttore, Pietro rispose e ascoltò impietrito.
“Pietro, che c’è? Dimmi.”
“Pietro, rispondimi! che è successo?”
“Saverio è rimasto a Roma…”
“Allora?”
“Aveva scambiato il suo biglietto con quello di Ottavia.”
Pietro alzò lo sguardo e vide Dario, pallido e allampanato, appoggiato alla cornice della porta del corridoio.
“Non ci credo! – urlò Elda – Ottavia arriva domani.”
“Sì papà – intervenne Dario – sono stato con Emma fino a poco fa, l’aspettava per domani mattina, altrimenti sarebbe qui a tormentarsi per il ritardo.”
“E dov’è Ignazio?” – domandò Elda
“Aveva il comizio di chiusura a Sciacca.” – rispose Pietro
“Telefona in federazione!”
Pietro telefonò e gli dissero che aveva finito il comizio da tre ore, i compagni lo stavano riaccompagnando in macchina, apparentemente non aveva avuto modo di ricevere la notizia.
Nel frattempo si sentì arrivare l’ascensore al piano “gli parlo io” – fece Pietro, aprì la porta di casa e vide Ruggero.
“Papà che ci fai ancora in piedi a quest’ora?”
Ruggero fu messo al corrente delle notizie e i ragazzi suggerirono ai genitori di non andare al giornale, almeno per il momento, pensavano ai loro cugini lì accanto.
“Magari è arrivata con un aereo precedente e sta dormendo nel suo letto – Elda non si rassegnava – magari è ancora a Roma, Pietro telefona alla pensione!”
“Un attimo – fece Ruggero guardando alla finestra – c’è lo zio Ignazio, papà vai tu.”
Pietro aprì la porta tremante, gli altri si erano ritirati in cucina.
Anche Ignazio, come Elda, rimase scettico, non credeva che Ottavia avesse voluto cambiare i suoi programmi senza avvertire nessuno. Entrò in casa insieme a Pietro, il loro letto era vuoto, Davide ed Emma stavano dormendo.
“Non li voglio svegliare, andiamo da te a telefonare.”
Ignazio chiamò la proprietaria della loro pensione a Roma, le disse che Ottavia era rientrata di fretta alle sette di sera per prendere la valigia e andare a Fiumicino. Poi Pietro telefonò al giornale per farsi dare il numero telefonico romano di Saverio, lo chiamò, piangeva, non riusciva a parlare:
“Mi dispiace, mi dispiace… c’eravamo incontrati nel pomeriggio a Paese Sera, era venuta per parlare col direttore, aveva appena visto un bell’appartamento a via del Panico, era contenta, io dovevo scendere per votare ma all’ultimo minuto mi avevano detto di coprire un comizio, lei aveva il volo di stamattina e abbiamo deciso di fare cambio, mi dispiace, scusatemi, dovevo esserci io…” nel frattempo Ignazio aveva afferrato la cornetta, gli si ammollarono le gambe e si buttò nel divano, impietrito, a guardare il vuoto.
La certezza la ebbe Pietro un’ora dopo, nel sopraluogo alla montagna maledetta[2].
Ignazio volle dirlo di persona ai ragazzi e poi andò anche lui per il riconoscimento.
Ottavia non aveva più i genitori, Elda pensò che questa in un certo qual modo era una fortuna, perché lo strazio del dolore di Ignazio, Davide ed Emma era già per lei insostenibile, senza pensare a Emanuele che in tutto questo frangente doveva prendere un aereo per raggiungerli, ed era solo, ed era dei figli quello più attaccato alla madre.
Per Elda fu impossibile andare al giornale, nonostante con l’edizione straordinaria ci fosse un gran bisogno di lei e di Pietro. Dalle otto iniziarono le telefonate e poi le visite, e poi i telegrammi, e per fortuna arrivò Maddalena e tanti amici dei ragazzi ma Emma, come quella notte in ospedale dopo il pestaggio dei suoi fratelli, aveva lo sguardo nel vuoto e non era ancora riuscita a piangere. Arrivarono Wanda, Guglielmo e la zia Teresa, la signora Emma si installò nella casa accanto per cucinare, rassettare, levare di mezzo effetti personali di Ottavia che potessero provocare dolore soverchio.
Nel pomeriggio arrivò la telefonata di Vittorio e Igea e solo allora Elda poté dare sfogo alla sua personale sofferenza, ricordando la prima volta in cui aveva visto Ottavia, seduta sul vano della finestra della dependance. Avrebbe voluto continuare quella conversazione all’infinito, voleva qualcuno che l’aveva conosciuta sin da quei tempi, appunto, dov’era Giulio? E le passavano per la mente tutte le cose che avevano fatto insieme, le risate, i musi, le sofferenze, e la crisi di Ottavia nel corridoio dell’ospedale dopo il pestaggio dei suoi figli, quell’improvviso proposito di riunire la famiglia. Cosa aveva spinto Ottavia a cercare una casa a Roma, a cambiare vita? E perché non c’era Giulio lì con lei? Forse ancora non sapeva, forse nessuno l’aveva avvertito, così gli telefonò.
“Giulio sono io, stavi dormendo?”
“No”
“Hai una voce…”
“Dimmi”
“Hai saputo?”
“Sì”
“Hai saputo anche di Ottavia?”
“Sì”
“Vieni?”
“No”
“Vuoi che vengo io?”
“No”
Il loro dramma aveva oscurato quello di un’intera città, man mano che dal giornale arrivava la lista aggiornata si scoprivano altri amici e conoscenti, in molte case c’era la speranza o la crudeltà degli scambi di persona e fino al pomeriggio successivo non si riuscì ad avere certezza di chi stesse su quell’aereo, alcuni riconoscimenti furono impossibili.
Ci fu un momento nella serata, dopo la mezzanotte, in cui a Elda sembrò che ci fosse una tregua nella battaglia con la sofferenza. Ignazio era nel suo salotto che conversava con i compagni di partito, era arrivato Emanuele, i loro amici del giornale erano già andati via, la signora Emma con Rosa stava riordinando in cucina e i ragazzi erano tutti in camera di Emma con i loro amici, da dove proveniva l’eco di una conversazione serena, interrotta di tanto in tanto da qualche risata sommessa, Maddalena sarebbe rimasta a dormire con Davide e con Emma avrebbe dormito un’amica. Così suggerì a Pietro di approfittare di qualche ora di riposo, erano svegli da 24 ore e li aspettavano giornate faticose.
Attraversarono il pianerottolo, che sembrava una stanza aggiuntiva dei due appartamenti, le cui porte d’ingresso erano aperte dal mattino, c’erano delle persone che conversavano e l’ascensore sfornava nuovi visitatori. Entrarono in casa loro e si avviarono verso il retro, dove stavano le stanze da letto, richiudendosi dietro la porta del corridoio. Elda andò a cambiarsi in bagno e da lì le sembrò sentire Pietro singhiozzare, ebbe l’impressione che ancora suo marito non fosse riuscito a farlo e concluse che fosse un segno di miglioramento, entrò nella stanza e lo trovò seduto nel letto mezzo svestito, con la boccetta dei suoi farmaci per la pressione in una mano.
Non riusciva a calmarsi.
Gli si sedette accanto cingendogli le spalle.
“Le pillole…”
“Che cosa?”
“Sono finite…” – rispose Pietro piangendo
“Domani telefoniamo…” – a Elda si spensero le parole. No, non potevano telefonare al loro medico l’indomani, perché era rimasto su quel maledetto aereo con la moglie e i bambini.
L’indomani era sabato e il giorno dopo si votava, sembrava irreale doversi occupare di cose così concrete. Il giornale era impegolato in una mole di lavoro inimmaginabile, il lunedì la copertura del disastro aereo arrivava ancora alla settima pagina e già si organizzava la capillare macchina della raccolta degli scrutini, sezione per sezione, che non poteva prescindere dalla magnifica direzione di Pietro. Ma non finiva qui perché la camera ardente per i tre colleghi, compresa Ottavia, sarebbe stata allestita al secondo piano dello stesso giornale. Pietro ed Elda erano dovuti tornare al lavoro e la guida della casa di Ignazio era scivolata pian piano nelle mani della signora Emma, che si muoveva nelle stanze della nuora senza capirne l’organizzazione. I suoi piatti erano però una consolazione per l’enorme tavolata di persone che si sedeva a quel desco due volte al giorno, e si andò avanti così fino a che anche Ignazio fu riassorbito dalla macchina elettorale. Sembrava ormai un impiccio ma era candidato in un collegio destinato a vincere, nonostante la flessione dovuta alle liste dell’estrema sinistra. Infatti Ignazio fu riconfermato al Senato e questo avrebbe dovuto mettere la famiglia di fronte a una scelta.
Al contrario, fu molto difficile affrontare l’argomento, decidere come si sarebbe dovuta organizzare quella famiglia in futuro. Ignazio buttò giù una volta l’ipotesi di rinunciare al mandato, precisando subito dopo che questo avrebbe aperto i giochi interni al partito per favorire la corrente più conservatrice. Un’altra volta disse che avrebbe portato i ragazzi con sé a Roma, magari prendendo quella casa a via del Panico, ma già mentre lo diceva suonava strano e poi Davide non ne voleva sapere di separarsi da Maddalena, giusto in quel momento.
Emma era in un tale stato di prostrazione che nessuno osava chiederle cosa avrebbe preferito, quella ragazzina di quindici anni voleva sua madre e basta, non contemplava altre opzioni, per lei il mondo era finito. Purtroppo il suo stato d’animo fu sottovalutato, o forse fu la cosa più conseguenziale dal momento che nessuno sapeva come comportarsi con lei. La presenza della nonna in casa era un sollievo per Ignazio e per Davide ma non per lei, che soffriva nel vedere una persona che si muoveva fra le cose di Ottavia, ne stravolgeva l’ordine, imponeva ritmi e abitudini che sua madre non aveva mai avuti. Ora lo studio di Ottavia nella veranda era tutto in ordine, con strati di liscivia che avevano coperto l’odore di trementina, con le tele impacchettate, le tavolozze riposte e i pennelli nelle scatole di legno; invece Emma si chiudeva lì dentro aprendo cassetti, annusando tubetti di colore, cercando di ripristinare il disordine di sua madre.
Emma non riusciva a staccarsi da suo padre ma si sentiva anche inchiodata in una inerzia che delimitava i suoi confini in quella casa e in quella città, semmai avrebbe voluto che lui non andasse più via e su questo punto si avviò un tira e molla che arrivò al compromesso di una maggiore presenza paterna in casa, cosa che avrebbe costretto Ignazio a vivere in aeroplano e che nei fatti non fu.
Dopo due settimane Emanuele ritornò a Torino e Davide riprese la sua vita fra la FGCI e gli studi Universitari, che aveva ripreso a seguire regolarmente già da qualche tempo, poi aveva accanto a sé Maddalena.
Pietro andò a parlare con i professori di Emma, che erano gli stessi di Dario, spiegò loro la situazione e si raccomandò che gli segnalassero qualsiasi eventuale problema. Emma tornò a scuola e riprese il suo ritmo con difficoltà.
I propositi di Elda erano quelli di farsi in quattro per entrare nell’animo di sua nipote, ma ogni suo tentativo cadeva nel vuoto:
“Che ne dici se domani andiamo a fare spese, ti compro un golf nuovo, qualche paio di jeans, ti va?”
“Non ho bisogno di niente.”
“All’Arlecchino fanno Provaci ancora, Sam, mi hanno detto che è divertentissimo, ci andiamo insieme?”
“Poi ci vado con Dario e gli altri.”
Ma anche quella era una scusa perché perfino con Dario Emma stava diventando impenetrabile.
Così, nonostante ci fosse una popolazione di persone preposte a vigilare sulla vita di Emma, lei si lasciò trascinare dagli eventi senza che nessuno se ne accorgesse.
…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla
I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda
Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.
[1] Si trattava del “Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP)”, del “Movimento Politico dei Lavoratori (MPL)”, del “Manifesto” e del “Partito Comunista (marxista-leninista) Italiano”.
[2] Dal blog http://montagnalonga.wordpress.com/ : “il 5 maggio del 1972, in condizioni meteorologiche ottime, a Roma Fiumicino decollò un aeroplano, volo Alitalia AZ 112, in direzione dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo con 115 persone a bordo, molti di loro ritornavano in Sicilia per votare, le elezioni si svolsero due giorni dopo, Il volo risultò regolare ma in avvicinamento all’aeroporto, il DC-8 invece di seguire la normale procedura prevista dalle normative, proseguì oltre schiantandosi alle 22.23 contro il crinale di Montagna Longa, alto 935 metri.”
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