Salvala prima che cada

Mi sembra di rivivere gli anni settanta, quando gli adolescenti si abbandonavano a madama eroina e tu, amica, cugina, genitore, non riuscivi a far nulla per fermare la caduta annunciata, o peggio non ti accorgevi di segnali evidenti. C’erano solo le comunità di recupero, strani posti, ma il problema più grosso era condurvi il soggetto già manipolato dalla dipendenza.

Adesso sempre di manipolazione si tratta ma tu, amica, sorella, cugina, genitore, ti accorgi di essere intrappolata nello stesso raggiro per interposta persona. L’ultima vittima è un’adolescente della mia provincia e, a posteriori, siamo bravi a dire che i segnali c’erano tutti, tanto per rassicurarci, tanto per buttare sofferenza soverchia sui genitori.

Invece dobbiamo convincerci che potrebbe succedere a chiunque e, quando si tratta di adolescenti, spesso neanche i genitori riescono a salvare una figlia. Perché se ormai stiamo imparando a scorgere i primi segnali di allarme: un livido, l’abbandono della scuola, l’isolamento dalle amiche del cuore; non c’è un libretto di istruzioni che suggerisce come convincere una ragazzina abusata ad accettare aiuto. La manipolazione che lei subisce dal suo partner agirà anche su di te, che sarai accusata di essere oppressiva, possessiva, invidiosa.

Un crinale sottile che separa l’altruismo dal farsi i fatti altrui, che ad un certo punto ti porta a rimandare il problema, perchè l’alternativa sarebbe spezzare quel filo sottile che ti lega a lei. Su questo filo gioca il manipolatore e io credo che maggiore attenzione andrebbe data nella cura del curante.

Chi si è trovato in questi frangenti sa che, una volta avvertiti i segnali di allarme, deve condurre l’amica, sorella, cugina, figlia, in un centro antiviolenza, ma è quel miglio da percorrere che si rivela il più difficile, e io credo che, come avviene in altre situazioni di fragilità, sia l’intero ambiente che sta attorno alla donna in difficoltà che va aiutato.

In relazione agli scarsi finanziamenti che percepiscono, i centri antiviolenza fanno moltissimo, ma andrebbero moltiplicati, disseminati nel territorio, messi in contatto con le scuole, gli ospedali, le famiglie. Di fronte alla mattanza di 150 donne all’anno, lo stato dovrebbe mettere in campo un esercito di iniziative di prevenzione, accompagnamento e reinserimento, ma non dimentichiamo che, come in altri casi, è tutto l’ambiente che sta attorno alla vittima che va accompagnato in questo processo.

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