La denigrazione delle donne che si ribellano

La RAI manda in onda tre fiction di grande ascolto in cui sono inserite storie di donne che inventano uno stupro (Mina Settembre, Le indagini di Lolita LoboscoChe Dio ci aiuti 6) tanto per riequilibrare mediaticamente la reale emergenza della violenza sulle donne.

La deputata del movimento 5 Stelle Lucia Azzolina, mentre svolgeva il ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione, è stata bullizzata via web da vari personaggi fra cui un certo professore Pasquale Vespa, sindacalista della UIL, da lei puntualmente denunciato per stalking con tanto di prove inconfutabili (minacce di morte e insulti sessisti). Il processo inizierà il 9 aprile, ma nel frattempo il soggetto è stato assunto allo stesso Ministero della Pubblica Istruzione in qualità di consulente del sottosegretario leghista Rossano Sasso (quello che aveva scambiato Topolino per Dante).

Sono solo due esempi di come i recenti successi dei movimenti che denunciano la violenza sulle donne (con in testa il transnazionale #metoo) abbiano già generato una controcampagna di denigrazione, rispoverando il vecchio “clichè dell’isteria femminile”.

Perché quando le prove sono inattaccabili, la risposta maschilista plana sulla comoda letteratura che per millenni ha distinto il sesso femminile in due, da un lato la sedutrice da cacciare, dall’altro qualsiasi donna che tenta di ribellarsi, descritta come repressa, ridicola e violenta: da Santippe (la consorte di Socrate) alla moglie con mattarello e bigodini delle vignette della Settimana enigmistica. Rendere ridicola una donna è un espediente di sicuro effetto, purtroppo anche su altre donne, come se una donna che si impegna in politica o nel sociale debba rispecchiare il modello della casalinga anni cinquanta, pacata, paziente, di bell’aspetto e mai eccessiva. Stesso modello ovviamente non si applica agli uomini, che possono essere aggressivi, esagerati, isterici e sgradevoli nei loro attegiamenti, e questo non appare mai come eccessivo, semmai testimonia la capacità maschile di imporsi in contesti pubblici.

Purtroppo la presunta isteria femminile viene usata da millenni per piegare le donne che tentano di ribellarsi, o semplicemente di vivere in modo diverso: talmente è radicata nel sentimento comune che ogni donna nel suo piccolo teme questa accusa, si vergogna di ogni suo momento di rabbia, si abitua a non essere creduta o presa sul serio; persino nella malattia, dove spesso medici maschi interpretano le malattie a diffusione femminile (ad esempio quelle del sistema immunitario) come immaginarie, inventate allo scopo di attirare l’attenzione su di sé.

Un processo di autostima collettiva aiuterebbe tutte le donne a sentirsi meno sole e insicure, anche a rivendicare la libertà di essere imperfette e fallibili.

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