Succede di guardare la propria città quando la si mostra a qualcuno venuto per visitarla, così è anche adesso che abbiamo ospiti degli amici toscani. Pensi fra te e te che in fondo non è tanto male, ma sono le osservazioni dei visitatori che ti fanno riflettere su quello a cui non avevi fatto caso. Nella discesa agli inferi dei suoi ultimi anni, la meraviglia più frequente su Palermo riguarda il rumore dei motorini per l’acqua, praticamente in ogni portineria (fuori dalla Sicilia non si sa cosa siano) e la quantità di negozi di abbigliamento, nonostante i tempi di crisi. Gli amici in visita in questi giorni mi hanno poi fatto notare la varietà di anonimi sportelli bancari (riciclaggio di danaro mafioso?) e infine hanno chiesto qual’è stato il tempo in cui a Palermo non vi erano edifici in rovina. Questa è proprio una bella domanda, loro pensavano che la città avesse avuto un suo periodo florido e poi un decadimento, ma a pensarci bene non credo che sia stato così, secondo me anche ai tempi di Federico secondo c’erano ruderi di duecento anni prima. Jesse, le cui osservazioni sono sempre acute (non foss’altro perché è un povero alieno in questa città), ha risposto prontamente che Palermo manca di manutenzione. E’ facile dirlo adesso con i cumuli di rifiuti ovunque e i conseguenti roghi, è facile dirlo con un sindaco inesistente per il quale è inutile spendere parole di sdegno: è un ommo-e-niente che non doveva mai stare dov’è adesso, ma il solo fatto che i palermitani l’abbiano votato non una ma due volte, sta a significare il poco rispetto che hanno per la propria città. Palermo manca proprio di concetto di cittadinanza, questa è l’amara verità. Quando la compagnia di Pina Baush venne a fare il suo spettacolo su Palermo, il canovaccio fu scritto girando fra le vie del centro storico: la sera della prima sembrò scontato vedere i gesti ossessivi di un’attrice che lavava e strofinava il metro quadrato di marciapiede davanti alla sua porta, noi palermitani conoscevamo il rito di certe popolane ed era già oggetto di derisione, ma ciò non toglie che per un tedesco è una pratica assurda, quasi autolesionista, come i roghi che finiscono per intossicare chi li provoca. Ambedue le cose ricadono in quella mancanza di concetto di cittadinanza che ci contraddistingue, quel cannibalismo suicida che ci porta a distruggere ciò che condividiamo con gli altri, per salvaguardare invece qualcosa di personale che ci sembra più meritevole di attenzione: la propria casa contro l’aspetto urbanistico, l’interno della casa contro il suo esterno, la propria automobile contro la pubblica strada, la pensione anticipata dalla Regione Siciliana contro l’interesse della comunità, il posto di associato all’Università per il figlio del professore contro l’Università stessa.
Gli abitanti dell’isola di Pasqua si accorsero di avere distrutto l’intero proprio ecosistema solo dopo aver abbattuto l’ultimo albero (usavano i tronchi per trasportare le enormi statue) e dopo breve tempo rimasero senza cibo: molti morirono e gli altri dovettero abbandonare l’isola. Palermo è in un certo senso al suo ultimo albero: i soldi sono finiti, l’Università è finita, la città è al buio e ricoperta di spazzatura. Al contempo circolano tanti soldi, troppi, che in questi giorni vengono spesi nei saldi di stagione, e magari stanno conservati nelle banche locali dai nomi anonimi. Il problema è che nell’esaurirsi globale delle risorse primarie, Palermo non godrà più dell’aiuto altrui e resterà tagliata fuori dal mondo, come mai lo è stata. I giovani vanno a studiare altrove, altrimenti partono dopo aver capito che neanche la laurea li aiuta a trovar lavoro, specie se ottenuta all’Università di Palermo. I figli dei mafiosi costituiranno la classe dirigente del domani e di questo dovrebbe dolersi, non tanto la popolana assorbita dal suo metro quadro, quanto certa attuale classe dirigente illuminata, che ha cannibalizzato se stessa per la furberia di vivacchiare da dirigente regionale lavorando poco, producendo nulla e andando in pensione troppo presto. Dovrebbero dolersi quei docenti Universitari che hanno pensato solo al posto per i propri figli, quei dirigenti dei partiti di sinistra che hanno barattato la propria opposizione per un piatto di lenticchie. Ora la manna è finita anche per questi ultimi gattopardi ma la cosa non mi consola. Su gli altri, quelli come me, pesa la sconfitta, per non aver saputo infondere nei concittadini quel concetto di cittadinanza che sostiene le città normali, e dire che negli anni novanta c’eravamo quasi.

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