La genesi di una rabbia collettiva

Ci si affaccia ai social network timidamente, non si sa bene come comportarsi, si osserva cosa fanno gli altri, si inizia a postare maldestramente foto private e ad accettare l’amicizia di chiunque te la chieda, cosa rischiosa; si riprendono i contatti con persone che avevi perso di vista, cosa bellissima. Poi si inizia ad osservare la vita altrui, la si paragona alla propria: ma davvero fuori da casa mia c’è un popolo di gaudenti che si sposta da un vernissage, un evento culturale e un party? Ogni tanto vai anche tu, che bello vedere gente! A questo punto potresti restare in questo bilanciamento fra vita virtuale e vita reale, godere i contatti con chi altrimenti non avresti potuto seguire e utilizzare il social come aggiornamento sulla vita reale in cui tuffarti quando vuoi. Puoi diventare molto bravo, scrivendo cose interessanti e promuovendo eventi di spessore, magari ogni tanto elargendo gocce del tuo privato. La vita sui social dipende molto da come stai e non credo che sia il social in se stesso a generare dipendenza. In tutta onestà non possiamo sapere se sia nato prima l’uovo o la gallina, mi spiego: sono i social che ci hanno reso peggiori, o la globale crisi di sistema è giunta proprio nel momento in cui si sperimentava un mezzo per esternare le proprie frustrazioni? I rabbiosi da social, gli odiatori, sono persone che senza i social avrebbero vissuto il proprio disagio in maniera diversa, o sarebbero state persone serene senza detti strumenti? Non mi riferisco ovviamento ai profili falsi generati da menti criminali, ma ai frustrati da tastiera che prendono per buona qualsiasi bufala, nutrono una rabbia repressa e la vomitano in insulti dalla sintassi sconclusionata. Questa è una nuova materia all’esame degli studiosi della mente umana, possiamo però cercare di capire cosa ci sia alla base di tanta rabbia, soprattutto capire perché uno degli aspetti del comportamento umano stia uscendo fuori controllo. Prima ancora dei social ci sono stati i reality TV, in cui erano gli stessi registi a richiedere ai partecipanti lacrime, zuffe, crisi di escandescenza, perché avevano scoperto che la fragilità umana faceva audience. Insomma tutto il contrario degli insegnamenti che la mia generazione aveva ricevuto da  famiglia e scuola. Io, classe 1957, sono cresciuta controllando le emozioni, forse troppo, ma mi sarei vergognata come una ladra nel perdere il controllo in pubblico per gelosia, rabbia o invidia. Mi avevano insegnato che questi sentimenti sono umani ma che la saggeza sta nel gestirli, anche riempiendo la propria vita di emozioni belle, creatività, affetti e vita sociale. Il rischio nel reprimere troppo le emozioni sta nel fare del male a se stessi (ad esempio infliggendosi una malattia autoimmune) ma al contrario, esternare eccessivamente le emozioni negative può portarti alla violenza, verbale o addirittura fisica (un esempio lampante è il femminicidio quando non si riesce a gestire la gelosia). In conclusione io ritengo che i social network siano solo uno gli ultimi strumenti di propagazione di un male sociale nato da tempo, già con l’avvento delle TV commerciali, che si chiama narcisismo. Come diceva Andy Warhol nel 1968: “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti”, la profezia si è avverata e la conseguenza è, a mio avviso, il diffondersi di una rabbia collettiva che sta uscendo fuori controllo.

Comments

2 comments on “La genesi di una rabbia collettiva”
  1. Molto interessante questa analisi. Grazie!

    1. Cerco di capire la situazione attuale, che dobbiamo imparare a fronteggiare. Grazie a te.

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