Élite versus baratro culturale

Un tempo il disagio sociale si combatteva con la conoscenza delle regole del sistema e la cultura, anche quella nozionistica e scolastica, era il modo di stare in una società ma anche il solo strumento per cambiarla. La società dei consumi ha invece individuato nel denaro lo strumento di affrancamento dall’esclusione: con esso puoi imitare chi ha successo, puoi diventare come lui, soprattutto puoi identificare qualcuno più in basso di te da escludere. E’ il capolavoro di una società che ha nella competizione il suo motore propulsivo, che dà l’illusione di un successo alla portata di tutti, mentre restringe il confine che contiene l’ologarchia.

Il risultato è un un esponenziale aumento del sentimento di esclusione, una frustrazione che nella peggiore delle ipotesi porta a conseguenze estreme. Ma senza arrivare al punto di imbracciare un fucile e sparare ad innocenti studenti di un college, la caratteristica del moderno frustrato è quella di aver perso ogni aspirazione alla crescita culturale.

Chi sente mancare il terreno sotto i propri piedi difficilmente intraprende un paziente percorso di formazione, soprattutto se luoghi e simboli di cultura appaionono respingenti, se non si percepisce una equivalenza fra crescita culturale e benessere economico e se attorno a te c’è un contesto che ti ammalia col motto “chi ti esclude fa schifo”, elencando un catalogo di elité sociali e culturali sulle quali scatenare la propria rabbia.

Mai come adesso la frattura fra chi è colto e chi no è stata così evidente, i primi si arroccano nei pochi avamposti culturali sopravvissuti, gli altri denigrano e delegittimano la conoscenza facendo saltare il tavolo del dialogo.

Io non misuro la cultura in base ai titoli di studio, perché ognuno può crearsi una cultura da sé e poi in Italia, per vent’anni, abbiamo avuto al potere un laureato (precedentemente diplomato al liceo classico) che non solo era campione di grossolanità, ma per giunta ha contribuito ad abbassare il livello culturale dell’intera nazione. Ma costui era il trait d’union fra una società della conoscenza e una società dell’apparenza, infatti ha utilizzato gli strumenti culturali di un tempo per raggiungere l’epoca della delegittimazione culturale. Prima di lui abbiamo avuto leaders politici con la schiena curvata dalle lunghe ore di studio, dopo di lui abbiamo avuto leaders muscolosi incapaci di coniugare un congiutivo, che però paventano èlite culturali ad ogni dove.

Il vocabolario Treccani dà la seguente definizione di élite: “L’insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio… gli individui, più capaci in ogni ramo dell’attività umana, che, in una determinata società, sono in lotta contro la massa dei meno capaci e sono preparati per conquistare una posizione direttiva.”

Dovrebbe quindi essere la classe dirigente a costituire l’èlite del nostro paese, perché invece abbiamo degli esponenti della maggioranza terrorizzati dalle èlite? E poi, chi sarebbero queste truppe di élite che minacciano continuamente l’azione politica? Sono giornalisti, medici, registi, scrittori, insomma tutti coloro che formano le proprie opinioni studiando, confrontando posizioni diverse, consultando testi scientifici, ragionando?

A questo punto viene da pensare che gli annunci, le prove di forza, il continuo distinguo fra un noi e un loro, siano solo sintomi di un irrisolto senso di inferiorità culturale, di leaders e adepti. Si, perché a volte, anche quando il leader è colto, preferisce mostrare di non esserlo, per imbarcare tutti quelli che altrimenti non voterebbero. Non c’è cosa peggiore che discutere con un ignorante (non intendo colui che non sa, ma colui che non vuole sapere), finirete per sentirvi dire “fate tutti schifo” e in questo tutti ci saranno le categorie dalle quali si è sentito escluso. Quindi è arrivata la politica del “togliamoci questa soddisfazione”, ad una ad una vengono stigmatizzate tutte le categorie che non piacciono o dalle quali il popolo si sente minacciato, e se non bastano le paure esistenti se ne creano di nuove.

Giù dalla Rupe Tarpea: immigrati, zingari, omosessuali, lesbiche, LGBT, donne indisponibili, ammalati, dottori, professori, giornalisti, psicologi, preti buonisti, associazioni umanitarie…

Il fatto è che mentre le èlite si affannano a ricordare le regole di convivenza civile e denunciare la disumanità di certe azioni, la massa plaude coloro che legittimano le pulsioni più infime. Siamo fra Cristo e Barabba, con l’aggravante che Cristo aveva un bel seguito, mentre le élite odierne sembrano aver perso il contatto con il presente.

Siamo onesti, non possiamo dare la colpa prima alle TV commerciali, poi a internet, poi ai social networks, poi ai videogiochi. Se qualcosa è sfuggita di mano alle élite culturali, sono loro a doversene fare una colpa, perché avevano gli strumenti per capire, per prevedere gli scenari futuri. Se ad un certo momento del ventesimo secolo il contatto con le masse si è spezzato, evidentemente la desiderata crescita culturale è rimasta incompiuta, o necessitava di una rivoluzione (pacifica) permanente. Nel frattempo si è tolta linfa vitale alle scuole, agli istituti culturali, agli enti teatrali e lirici, alle orchestre.

La situazione sembra senza speranza, non per niente siamo su un crinale storico.

Nulla vieta però di difendere ciò che è rimasto e diffondere semi dal basso, è un lavoro faticoso e il terreno è incolto da anni, ma non ci resta altro da fare.

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