Sottomissione, di Michel Houllebecq

Confesso di aver letto “Sottomissione” di Michel Houellebecq solo perché sottoposto dal mio circolo di lettura, e solo per questa ragione sono riuscita a finirlo, disprezzandolo. Mi disturbava il suo confondere l’Islam col mondo Arabo, l’approssimazione con cui metteva le mani in una questione delicata, soprattutto il rapporto che col genere femminile ha il protagonista, sospetto alter ego dell’autore. Si tratta di un romanzo distopico che immagina la Francia del 2020 caduta sotto il dominio di un partito islamico (la Fratellanza Musulmana) che, avente come presidente il musulmano di seconda generazione Mohammed Ben Abbes, impone al paese una sorta di Sharia attenuata a cui le élite francesi si adeguano, collaborando con il nuovo regime fino a compiere un vero e proprio atto di “sottomissione” all’Islam.

Allontanato dal suo incarico dal nuovo regime, il protagonista attraversa un periodo di depressione che quasi lo porta al suicidio, ma quello che principalmente rimpiange della sua docenza è la facilità di attirare le studentesse, che vuole solo portare a letto. Si intuisce infatti che non è capace di alcuna empatia verso il genere umano: donne, genitori, colleghi. Ad analizzarlo con attenzione il suo sembra il profilo di uno stalker o di un serial killer. Altra cosa che lui rimpiange del mondo libero è il poter spogliare con gli occhi le donne per strada, mentre col nuovo regime sono tutte costrette a indossare il burka. Certo, se questo indumento costituisce motivo di disappunto per uno sporcaccione come il nostro protagonista, si è paradossalmente indotti ad apprezzarne le sue qualità. Alla fine si sottomette anche lui, per ritornare a occupare la sua cattedra universitaria, ma soprattutto perché a conti fatti apprezza i vantaggi della poligamia con spose giovanissime costrette ad sottomettersi ai matrimoni combinati.

Questa è quindi la trama, che si intuisce già dalle prime pagine. Il romanzo ha avuto un’accoglienza molto controversa, fra chi è stato folgorato dall’elemento profetico e chi si è risentito della sua provocatorietà, unita a una vena di razzismo e un’insopportabile misoginia. Io sono fra questi ultimi. Vi è anche da registrare una nota un pò macabra: il libro è uscito in Francia nel giorno dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo.

Come mi era già successo nel caso di Oriana Fallaci, non accetto il ricatto morale per cui un’opera ideologicamente contraria al proprio pensiero debba essere giudicata con maggiore indulgenza: il romanzo è scritto male, i personaggi sono scontati, non c’è alcuno sforzo nell’immaginare un mondo diverso dal proprio, cosa che ci si aspetterebbe in un racconto distopico.

La difesa di uno stato libero dal pericolo musulmano, sia da parte del protagonista che del suo autore, mi induce poi a riflettere sui valori che si vorrebbero tutelare, in una società occidentale che vede crescere il numero dei femminicidi, degli stupri e delle violenze fisiche e psicologiche sulle donne. Sembra quasi un grido di allarme di uomini che rivendicano il diritto di primogenia sopraffazione sulle proprie donne. Nella moderna New York esistono comunità di ebrei ortodossi in cui le donne sono costrette al matrimonio combinato, devono sfornare carrettate di figli che poi dovranno accudire e mantenere da sole, mentre i propri mariti pregano e basta; in più vengono mortificate da un abbigliamento monacale e dalla rasatura dei capelli. In tutta europa ci sono comunità protestanti e cattoliche in cui il ruolo della donna è subalterno a quello dell’uomo. Nel nostro paese c’è una religione di stato in cui le donne di chiesa hanno ruoli subalterni a quelli dei colleghi uomini. Sono queste le nostre società libere?

Non è invece la “sottomissione” della donna una pratica trasversale a tante religioni? Non sarà che la difesa dei fantomatici “valori fondanti” di ogni società si traduca sempre in un fanatismo religioso che mortifica il genere femminile?

Forse la mia è una provocazione, più che altro un invito a riflettere.

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