No finché ci saranno guerre

Ormai c’è una giornata internazionale per qualsiasi cosa, dall’esotico animale domestico al tradizionale piatto di cucina, cosa significa più l’otto marzo? Mi sono stancata, come tante altre, di ribadire ogni anno che non è una festa ma una commemorazione, tutto inutile: puntualmente, oppressivi datori di lavoro e mariti violenti continuano a regalareil mazzetto di mimose come una foglia di fico che possa coprire gli altri 364 giorni di soprusi.

No, quest’anno non ci sto, quest’anno c’è un’ennesima guerra in cui cominciano a trapelare notizie di donne sole in fuga che vengono stuprate, perché non importa se sei l’oppresso o l’oppressore, la rabbia e la frustrazione libera in troppi uomini dei primordiali istinti di possesso.

“Brutta giornata, sai che c’è? Stupriamo quella lì, è sola e se la cerca, è una morta di fame, è una nemica.”

Succede in ogni guerra, in ogni dominazione, in ogni esodo di popolo. Anche nel 1943 in Sicilia l’esercito di liberazione liberò i propri istinti, o con lo stupro diretto o comprandosi il piacere con una tavoletta di cioccolata e una pagnotta di pane bianco, ed erano “onesti” padri di famiglia quelli che consideravano quel divertimento un diritto.

Quindi no, non chiamiamola festa, non celebriamo; finché in questo mondo ci saranno delle guerre, amplificate dai media o piccole e dimenticate, lì ci saranno donne stuprate, offese umiliate.

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