Carissimo Delio,
mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?
Ti abbraccio.
Antonio
Questo scriveva dal carcere Antonio Gramsci al figlio Delio, per incoraggiarlo a studiare la storia o per compiacersi di una passione comune. La storia che si studiava a scuola negli anni del fascismo era principalmente incentrata sulla memoria di date e l’elencazione di guerre e azioni diplomatiche. Seppure da uno sguardo più obiettivo la storia che studiai io, a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, era ancora incentrata sul nozionismo, eppure riuscivo a intravedere attraverso date e battaglie la vita di allora, immaginarmi vita sociale, stili di vita, abbigliamento, cibi. Dai libri di scuola delle mie figlie, negli anni novanta, notai invece con piacere che si introducevano linee del tempo, immagini a colori, incursioni nella storia dell’arte e della letteratura. Parallelamente insegnavo storia del costume e sulla traccia della “Storia sociale dell’arte” di Arnold Hauser, iniziai a guardare la storia in senso progressivo, procedendo in parallelo con le varie discipline che più mi interessavano, fra le quali ovviamente la storia del vestire, immaginando anche le piccole vite che compongono la storia.

Il metodo di studio della storia andava dunque svecchiato, pur di garantire alla cultura di massa quello sguardo sul passato che aiutasse a comprendere il presente ma, detto questo, mi sembra che qualcuno adesso stia esagerando.
Oggi si assiste a un revival del romanzo storico, in letteratura così come nella trasposizione cinematografica e televisiva, si scrive anzi in quest’ottica ed in fondo è comprensibile, dato che con la sola parola stampata si guadagna molto poco. Però, piuttosto che approfittare del momento per condurre il lettore/spettatore nel passato, si porta il passato nel presente per la paura di annoiarlo. In più, affidando l’indice di gradimento a strumenti di rilevazione in prevalenza familiari a una determinata fascia d’età, si confezionano prodotti buoni solo per i followers dei giovani influencer, ignorando un pubblico che, crescendo d’eta, potrebbe essere più esigente.

Da bambina mi indignavo per il rossetto, l’eye liner e la cotonatura della protagonista della serie di Angelica, che peccato trattare il diciottesimo secolo col gusto contemporaneo! Cucire i corpetti con le pinces, ridurre i pannier, far luccicare i tessuti così come si usava ai tempi delle riprese. Ma si sapeva che i romanzi di Angelica erano al limite della letteratura rosa. Poi vennero i Tosi, Canonero, Pescucci, Donato, Squarciapino a dirci cos’era la creatività nella ricerca storica e il patto con lo spettatore si fece serio, portandolo per mano nell’atmosfera dell’epoca raccontata.

Adesso questo sta venendo a noia e non solo per un problema di costi, che potrei comprendere, ma per la velleità di abbassare i personaggi al livello odierno, quello cioè di un’offerta culturale mordi e fuggi in cui identificarsi: bambini rinascimentali con la calzamaglia di lycra, gorgiere indossate su abiti che dal taglio sembrano del diciannovesimo secolo, ambienti e pettinature poco credibili, make-up moderno. Viene da rimpiangere il pressapochismo di Angelica, almeno quello era dettato dall’ignoranza, alla quale si può sempre rimediare, quella odierna è invece la velleità di considerare il presente come unico scenario comprensibile. In un’epoca in cui si viaggia per il mondo, non sia ha al contrario nessuna voglia di osservare il reale passato. E questo non riguarda solo le scene e i costumi della trasposizione visiva ma parte dalla scrittura. Romanzi iper pubblicizzati, iper venduti e iper premiati che entrano furtivamente nella camera da letto di personaggi realmente esistiti per denigrare di una coppia, chissà perché, principalmente la donna (le torbide passioni vendono e pazienza se non sono vere o qualche erede potrebbe addolorarsi); ricevimenti in piedi ambientati nella metà del diciannovesimo secolo, in cui il cibo viene offerto in vassoi d’argento e pirofile (brevettate un secolo dopo). Capisco che spesso chi scrive, per età e formazione familiare, non ha conoscenza di certi dettagli e li consideri inessenziali, ma un tempo c’era la consulenza storica, oltre che l’editing, e magari meno pagine verificate dal punto di vista storico sarebbero preferibili alle 600-800 pagine in cui le inesattezze gettano per terra la tensione del lettore. Ma tanto nessuno contesta e quando questo avviene gli si risponde che non è possibile controllare ogni parola che si scrive. Certo l’errore storico sfugge e persino Visconti fece i suoi, piccolissimi e in buona fede, adesso invece si assiste alla voluta sottovalutazione della storia, che del resto viene anche sminuita nelle ore scolastiche.
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