La Corte di Cassazione si è recentemente espressa sulla ‘depenalizzazione’ della coltivazione domestica delle “piante stupefacenti”, nel senso che resta un reato penale, ma te la puoi cavare davanti al giudice se il quantitativo coltivato è minimo. Si precisa anche che l’utilizzatore del prodotto “fatto in casa” debba essere esclusivamente la persona che si è dedicato alla cura delle piante. In pratica non è ammessa la destinazione a eventuali componenti del nucleo familiare, meno che mai a un consumo di gruppo.
Quindi dipingiamo lo scenario: io, sessantaduenne affetta da artrite psoriasica dalla metà dei miei anni (patologia che trae beneficio dall’uso della sostanza) potrò coltivare in terrazzo le mie piantine di cannabis. Nel caso mi dolgano schiena e mani spererei di farmi aiutare dai familiari… e se poi ci prendono per un banda di spacciatori?
In tutto questo, i balordi del mio quartiere che finora non hanno considerato interessante il mio appartamento, rischierebbero l’osso del collo per arrampicarsi sul terrazzo, perché se non sanno distinguere un iris da una gardenia, è certo che sanno identificare le foglie di cannabis a centinaia di metri di distanza.
Ma torniamo a noi: raccolta la parte di pianta che mi occorre, cosa dovrei fare? Trasformarmi in erborista? Si, lo so che chiunque sia nato dopo gli anni cinquanta sa preparare una canna, ma non io, perché la pratica mi ha sempre annoiata; insomma ero una di quelle che passava lo spinello senza fumare e per il resto della serata si annoiava a morte. Ora destino vuole che debba pagare lo scotto cavandomela da sola, senza chiedere aiuto ai familiari che magari ne saprebbero di più.
Ma poniamo il caso che io riesca a superare anche questo scoglio, resterebbe la tristezza di una consumazione in solitudine, sia di canne che di eventuali biscottini, che tra l’altro mi farebbero pure ingrassare, cosa che non dovrei data la mia patologia.
La verità è che mi manca un medico! Sono abituata a curarmi con dosi precise, orari… bugiardini che mi elencano pros & cons (nel mio caso sempre apocalittici), mentre invece abbandonata a me stessa mi sento persa.
Apprezzo molto la decisione della Corte di Cassazione, la ritengo un passo verso la conquista di libertà, ma non risponde alle esigenze dei malati, che volgarmente vorrebbero la cannabis passata dalla mutua!
Già da anni la Cannabis Terapeutica può essere prescritta da un qualsiasi Medico che, in scienza e coscienza, la ritenga il medicamento più adatto per determinate patologie (fra cui la mia). Tutto resta a sua discrezione e le spese sarebbero a carico del paziente. In pratica, in questi anni ho chiesto ai medici (generici e specialisti) che mi curano, di prescrivermi uno dei prodotti in commercio (solo all’estero), o in alternativa la ricetta per una preparazione galenica. Risultato? Il silenzio glaciale, oppure sorrisetti, ammiccamenti e risposte evasive, pure da quei dottori che, a guardarli in faccia, si leggono tutte le canne che si sono fatte in gioventù.
Ma perché tanta omertà? Perché mettere in dubbio l’efficacia della cannabis, quando quelli di noi che si fanno le canne ne traggono gran beneficio? Perché tanti scrupoli su possibili effetti collaterali, quando a ogni piè sospinto ci impongono il cortisone che, oltre a farci gonfiare come palloni (cosa che non dovremmo), rappresenta il campione mondiale degli effetti collaterali?
Temono forse i nostri sanitari qualche incriminazione per istigazione al vizio? Sarebbe grottesco dal momento che nessuno batte ciglio di fronte alle nostre addictions di fans o paracetamolo, considerando pure che su malati come noi si sperimenta di tutto, ma lì sono le case farmaceutiche a chiederlo.
Comunque… finito lo sfogo mi approvviggionerò di semini… in fondo la piantina è graziosa e anche decorativa…