Elda cap. 4, Una giovane italiana

Questo capitolo è letto da Giovanna Gambino

Elda crescendo stava diventando davvero bella e questo inorgogliva la sua mamma che adesso la portava con se dalla sarta, la signora Messineo. Elda vi era stata portata qualche volta da bambina per i suoi vestiti d’eleganza e ricordava la noia di quegli interminabili pomeriggi in cui la mamma si provava un vestito dopo l’altro che sembravano tutti uguali, a lei pareva che ogni abito fosse perfetto e invece iniziavano le discussioni:

“La manica pende!”

La signora Messineo, con gesto nervoso, aggrediva la manica imbastita e la strappava di dosso alla mamma per rimetterla esattamente nella stessa posizione.

“Ecco adesso sì che va bene, vero, signora Messineo? Però giù l’orlo non appiomba.”

 “Casca che è una meraviglia ma se vuole ci metto pure la fettuccia piombata!”

“Se fosse tagliato bene non ci sarebbe bisogno dei piombini, poi il drappeggio dovrebbe scendere sui fianchi invece di fermarsi alla vita…”

“E’ il suo tessuto che non ha caduta…” rispondeva acida la sarta, poi a un certo punto arrivava il temuto invito:

“Ora passiamo alla bambina…”

La bambina veniva issata in piedi sul tavolo da taglio, con indosso un vestito tutto pieno di spilli che le pungevano come un nugolo di vespe:

“Le fa la pancia!”

“E’ la bambina che si mette la pancia in fuori!”

“Elda! Mettiti la pancia in dentro!”

Poi le intimazioni continuavano:

“Dai, girati! Fa’ vedere se l’orlo tira dietro!”

Adesso che era grande, Elda non veniva più issata sul tavolo e aveva imparato a tenere la pancia in dentro e a girarsi come una ballerina.

“Che bella! Le sta d’incanto!”

Le apprendiste svogliate poggiavano il lavoro in grembo ed era tutto un oh! oh! La mamma si guardava intorno compiaciuta e Elda capiva che ci voleva poco a contentarla. Se invece tornava a casa con un otto o con una coccarda del saggio ginnico, la mamma sembrava accoglierla con un complimento svogliato, soltanto si interessava alla sua divisa da Piccola Italiana.

“E’ semplice ma la cintura ti fa la vita sottile, poi fra un mese passerai a quella di Giovane Italiana[1] che ha una giacchetta tanto carina!”

Giulio e suo padre guardavano insofferenti:

“Le vuoi mettere anche il moschetto, che è tanto carino?” chiedeva Giulio.

“Non essere insolente! Tanto alle adunate ci dovete andare e basta!”

“Appunto, siamo obbligati a mandare i nostri figli a svenire sotto il sole!” diceva amaramente Guglielmo, che era ancora su tutte le furie da quando Giulio era svenuto durante la conclusione delle grandi manovre[2] un anno prima. Gli avanguardisti, fra cui anche suo figlio, erano stati convocati all’alba per mettersi in fila ad aspettare il Duce al Foro Italico. Era il 21 di luglio, c’era un caldo afoso e il Duce si faceva attendere, così i ragazzi, che avevano indosso pesanti divise e stavano sull’attenti da ore, iniziarono a cadere per terra uno dietro l’altro come le pere cotte, mentre un cretino col fez urlava:”Resistere e combattere!”

Giulio aveva il brutto naso della zia ma nel complesso una faccia simpatica con gli stessi occhi dolci, più tardi sarebbe diventato un uomo di discreto fascino ma questo non gli impediva di vivere una giovinezza più problematica di quella della sorella. Era alto quanto lei nonostante fosse più grande e la frase della mamma i maschi allungano più tardi non riusciva a consolarlo. Al mattino scrutava le sue guance nel riverbero dello specchio del bagno in cerca di un po’ di peluria, imbattendosi invece nel suo naso lungo e leggermente storto. Non riusciva a condividere con i compagni l’eccitazione per i raduni fascisti, le competizioni ginniche, le frasi sconce e le battute irriverenti alle ragazze di passaggio. In classe era fra i migliori tre insieme a Giovanni Vitale e Corradino Noto che erano anche i suoi più cari amici. Con loro passava i pomeriggi al cinematografo o passeggiando per la città, raccontandosi i libri che avevano letto e schernendo il mondo del liceo che frequentavano con battute che seguivano un codice grottesco di proprio conio.

A Wanda e Guglielmo sembrava che il figlio avesse una doppia vita, una delle quali non sembrava intenzionato a condividere con il resto della famiglia e anche il fatto che fosse tanto bravo a scuola li disorientava. Guglielmo aveva raggiunto la sua laurea a suon di ceffoni e raccomandazioni, mentre Wanda aveva terminato a stento le scuole femminili dalle suore, da dove sortiva l’intelligenza di Giulio? Era comunque una comodità che i figli se la cavassero da soli senza bisogno di lezioni private. Se Giulio aveva un talento naturale i risultati di Elda erano invece il frutto della sua puntigliosità. Ci teneva a conquistarsi il favore del mondo ed era arrivata a uno standard di perfezione che ormai era difficile deludere. Le sue compagne dovevano osservarla con sgomento: loro attraversavano l’adolescenza afflitte dall’eccesso di sebo, di adipe nei fianchi e di peli nelle gambe, mentre Elda non aveva alcuno di questi problemi. Se a questo si aggiungeva il fatto che in classe era sempre ben preparata e che i ragazzi della terza B restavano senza parole al suo passaggio, era facile intuire un velato sentimento di invidia che si traduceva spesso in adulazione: facevano a gara per esserle amiche, studiare con lei al pomeriggio e soprattutto farsi vedere in sua compagnia per strada.

Il fatto che sua madre avesse spostato le attenzioni sulla sorella permetteva a Giulio di far quello che voleva, ma questo non gli impediva di provare risentimento per quello che a lui sembrava un tradimento, dove era finito il loro cameratismo? Perché sua sorella stava diventando tanto vezzosa?

“Sta’ attenta che ti spunta il diavolo!” le diceva ogni volta che la vedeva in posa davanti allo specchio del corridoio.

Adesso Wanda organizzava la vita di Elda, le diceva come vestire, come comportarsi in pubblico, come mostrarsi più attraente e spigliata. Era come se stesse rivivendo la propria giovinezza attraverso quella della figlia e si inorgogliva ogni qualvolta ascoltava la frase adulatoria: ”Sembrate proprio sorelle!” Infine Wanda iniziava a rivelare il suo vero desiderio che era quello di introdurre discretamente Elda al Circolo, portandola di tanto in tanto in serate dove erano ammessi anche i giovani, osava proporlo anche a Giulio ma con scarsi risultati:

“Potrebbe essere una buona occasione per fare conoscenza.”

“Ho i miei amici, non ho bisogno di quei cretini tutti affettati, e se lo vuoi sapere neanche Elda! La stai facendo diventare una principessina con tutti questi vestiti!”

“Tu parla per te! Di che t’impicci?” rispondeva acida Elda.

“Stai solo con quei due a leggere e a parlare di cose strane, ti farebbe bene conoscere altri giovani, divertirti un po’… “ gli diceva Wanda.

Elda capiva che sua madre rischiava di ferirlo ma non era capace di dire nulla, sapeva di essere pavida e di tradire l’amicizia del fratello, ma era lusingata da tante attenzioni e non le importava chiedersi perché sua madre si stesse improvvisamente interessando a lei. Forse non era stato nella sua natura avere a che fare con i bambini mentre alla zia era risultato così facile, aveva il ricordo della mano fresca della mamma sul viso, quelle rare volte che era stata lei a lavarla al mattino; in fin dei conti in tutta la sua infanzia, nonostante l’affetto della zia, aveva atteso piena di speranza qualsiasi attenzione di sua madre.

Così si lasciava condurre in quei salotti dove riscuoteva un certo successo e dove il fantasticare su un suo altolocato matrimonio diventò divertimento di alcune anziane dame pettegole; tanto che perfino Elda iniziò a considerarlo evento probabile del proprio futuro.

Il 10 di giugno del 1940, già dal mattino era stato annunciato il discorso di Benito Mussolini, in casa c’era un’aria cupa e Elda non voleva prenderne notizia. All’apertura dei negozi, nel pomeriggio, Wanda decise di uscire con la figlia per andare a comprare delle fodere, dei nastri e dei bottoni in una merceria che stava oltre il Teatro Massimo. Era l’occasione per sfuggire ai musi del papà, della nonna e di Giulio e Elda sperava di trovare la sintonia civettuola che la legava alla mamma; la signora Messineo le stava cucendo un vestito di mussolina a fiorellini chiari e voleva scegliere dei nastri per guarnire l’abito e acconciare i capelli. Durante il tragitto la ragazza chiedeva tutta infervorata quali colori poteva abbinare e invece Wanda sembrava proprio con la testa rivolta altrove. Era un lunedì, la giornata era calda e le strade erano sgombre, ma per fortuna l’interno della merceria era rassicurante come sempre, con le commesse snelle e composte nei loro grembiali di rasatello di cotone nero con il colletto di pizzo inamidato. Quella che stava al bancone dei nastri piaceva particolarmente a Elda, era la più giovane ed elegante e aveva uno sguardo materno. Il bancone dei nastri aveva, come tutti gli altri, il ripiano di vetro e si vedevano i nastri arrotolati in buon ordine ed anche le passamanerie a motivi tirolesi. La commessa in genere apriva il ripiano prendendo il nastro indicato dalla cliente e lo srotolava con le dita sottili ammiccando per la buona scelta del colore, una bella sfumatura, signora, senta che croccante taffetà…

Quel pomeriggio Elda si trovò a scegliere in modo ingordo fra due gradazioni diverse di rosa pesco ed una di magenta le può mettere tutte e tre insieme, guardi che bell’accoppiamento diceva la commessa elegante arricciando fra le dita i tre nastri, come a formare un fiore, Elda osservava rapita le sue mani mentre un formicolio le partiva dalla sommità del capo e le percorreva tutta la schiena in un piacere sottile, non avrebbe mai voluto finire di osservarla. Scelse da sola di prendere le tre lunghezze dei nastri senza che la mamma le ponesse dei limiti, anzi lei era tanto svogliata che fu Elda a ricordarle di comprare le fodere, i bottoni e tutte le altre minuzie elencate di propria calligrafia, sul retro di una busta, dalla signora Messineo.

Durante il tragitto di ritorno, Elda si rese conto che la mamma era proprio di cattivo umore, aveva pure gettato uno sguardo di disprezzo ai ragazzi in divisa da “Giovane Fascista” che stavano assembrati a Piazza Politeama. Poi arrivate in via Villafranca ed entrate nell’androne del loro palazzo, davanti alla guardiola Elda e la mamma furono fermate da Carmela, la figlia dei portieri, che garrula ed eccitata chiese:

“Ha parlato Mussolini?”

“Non lo so!” rispose secca ed evasiva Wanda, poi rivolta a sua figlia, quand’erano sulle scale:

“Che pettegola ‘sta ragazzetta!”

A casa Guglielmo, Giulio e la nonna stavano davanti alla radio, erano quasi le sei del pomeriggio, Wanda capì subito e si sedette accanto a suo marito abbandonando i pacchetti su di una panca, Elda si sedette accanto ai pacchetti e cercò quello che conteneva i suoi nastri, era a forma tubolare e la carta leggermente lucida era ben tesa e fermata da un cordino. Lei voleva prendere i suoi nastri e arricciarli fra le dita così come aveva fatto la commessa del negozio. Ma la carta lucida, nel rompersi ed accartocciarsi, stava provocando troppo rumore e il papà e poi la nonna e poi Giulio ed infine anche la mamma, si girarono verso di lei con sguardo infastidito, non riuscivano a sentire bene la radio che stava per riportare il discorso del Duce, erano le sei e arrivò la terribile voce:

Combattenti di terra, di mare e dell’aria….” Benito Mussolini annunciava la dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra e, dopo un lungo e pomposo discorso, interrotto continuamente da scroscianti applausi, la nonna si mise a piangere: lei sapeva cos’era la guerra, lo sapevano anche Guglielmo e Wanda, Giulio lo intuiva, Elda capiva a stento.

Dal balcone si sentivano urlare quegli scalmanati che avevano incontrato a Piazza Politeama:

“Guerra! Guerra!”

“Come si può desiderare la guerra?” chiese fra le lacrime la nonna.

“Chiedilo a tuo figlio Luca!” fece stizzito Guglielmo, andando a sbattere dietro di se la porta della camera da letto.

“ …Maman, è soltanto preoccupato, non voleva essere scortese…” disse affettuosamente Wanda a sua suocera cingendole le spalle, i suoi figli non l’avevano mai vista così.

Elda anziana ebbe vergogna della sua vanità adolescenziale di quel giorno, il prossimo 5 agosto avrebbe compiuto sedici anni, non era una stupida e avrebbe dovuto capire.


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Nella pagina Audiolibro #progettoelda invece si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.


[1] La vita dei bambini e dei ragazzi era inquadrata dal fascismo fin dalla nascita. I maschi erano: figli della Lupa fino a 8 anni, poi Balilla fino agli 11, Balilla moschettieri fino ai 14, Avanguardisti fino ai 16, Avanguardisti Moschettieri fino ai 18, e Giovani Fascisti dai 18 ai 21 anni. Le femmine erano Figlie della lupa fino agli 8 anni, Piccole Italiane fino ai 14, Giovani Italiane fino ai 18 e Giovani Fasciste dai 18 ai 21.

[2] Nel Luglio 1937 ci furono in Sicilia delle operazioni di guerra simulate: Le Grandi Manovre con in campo le forze blu e le forze rosse che si fronteggiarono fra Santa Ninfa e Calatafimi, a conclusione, il 20 Luglio il Duce arrivò a Palermo scendendo da Bellolampo fino a Piazza Principe di Camporeale dove si mosse un corteo, il 21 le manifestazioni terminarono con un discorso tenuto dal Duce al Foro Italico Umberto Primo, davanti ad una folla oceanica.

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