Elda cap. 36, Elda e Pietro

Nel frattempo, il primo febbraio del ‘46, le donne avevano ottenuto il diritto al voto, a quel tempo la maggiore età si raggiungeva a 21 anni, Igea ne aveva 25, Ottavia 24 ed Elda 22, tutte avrebbero potuto votare per il referendum del 2 di giugno[1] in cui si votava anche per la costituente!

Elda girava per la Sicilia nelle vecchie automobili o nelle corriere per i resoconti dei comizi e degli incontri del fronte repubblicano e le capitava spesso di viaggiare, fra gli altri, insieme a Pietro. In questi casi gli occhi di ognuno vagavano alla ricerca dell’altro mentre c’era una strana casualità che favoriva, durante i tragitti, il fatto che loro fossero sempre seduti accanto. Quando poi ci si fermava a mangiare pane e tumazzo o un piatto di pasta cucinato dai compagni del paese, loro erano fianco a fianco a conversare sommessamente. Quella sensualità di sguardi e vicinanza dei corpi stava distraendoli dal vero obiettivo delle loro missioni.

In quelle elezioni i due partiti della sinistra insieme ebbero la maggioranza sulla Democrazia Cristiana[2]. Il fronte repubblicano vinse in campo nazionale e in quello siciliano riuscì a non straperdere, la Monarchia era stata sconfitta e la sinistra avrebbe avuto una maggioranza di seggi alla costituente. Il 18 giugno fu ufficialmente proclamata la Repubblica e si poté scendere in Piazza Politeama a festeggiare. Elda e Pietro corsero dalla redazione insieme ai loro colleghi, avevano votato per la prima volta nella loro vita e avevano già vinto! Elda aveva una gioia incontenibile che comunicò a tutti con grandi baci e abbracci, anche a Pietro che la strinse più forte del dovuto chiedendole di sposarlo. Così, senza nessun preambolo! Ed Elda rispose subito di sì!

C’era voluta una grande vittoria per dare a quei ragazzi il coraggio di dirsi la verità, avevano atteso per mesi quel momento e volevano goderselo tutto, nient’altro aveva importanza, nemmeno la fine di una monarchia. Elda aveva accanto a sé un viso tante volte vagheggiato, labbra che la baciavano come tante volte aveva immaginato, in modo sempre diverso, adesso poteva sentire su di sé ogni muscolo, ogni odore, ogni respiro di un corpo in precedenza osservato di sfuggita, studiato da lontano nei minimi particolari. Si allontanarono camminando talmente stretti da rendere ogni passo difficile e finalmente i loro occhi lucidi di gioia ebbero il coraggio di guardarsi sorridendo. Pietro le propose di sedersi nella panchina dietro il palchetto della musica, lì si baciarono ancora, si strinsero le mani, si guardarono negli occhi da vicino, parlarono e parlarono fino a tarda sera.

Ora Elda poteva condividere la sua gioia con Giulio, con Ottavia, con Igea e Vittorio, avrebbe potuto camminare fiera accanto a Pietro, passeggiare con lui in viale della Libertà e al Giardino Inglese, andare da Flaccovio e alla biblioteca di Corso Vittorio… potevano recarsi insieme alla villa di Bagheria!

Andavano in treno, la domenica o in qualsiasi giorno fossero liberi dagli impegni di redazione, andavano con Ottavia e Ignazio e spesso anche con Giulio. Vittorio li veniva a prendere alla stazione con una vecchia 1100 e Ottavia riusciva a vomitare persino nel breve tratto che distanziava la ferrovia dalla Villa: era incinta e lo era anche Igea.

In quella villa confluivano molti altri amici senza che i padroni di casa si sentissero sopraffatti dall’organizzazione dell’ospitalità, nella dépendance ci si contentava di quel che c’era e ognuno portava le sue vivande. Igea era ancora prostrata dalla morte del padre e le piaceva restare a confabulare con Ottavia di bimbi e gravidanze, con Vittorio e il piccolo Francesco si erano allargati anche alle stanze di sua sorella, che invece adesso occupava l’appartamento in villa che era stato del padre. Igea e Vittorio avevano preferito così per stare lontani dagli altri parenti che deploravano la loro vita e le loro frequentazioni. Avevano deciso di fermarsi a vivere lì almeno per qualche anno, Vittorio insegnava a Bagheria e Igea faceva delle traduzioni.

Insieme a Giulio, Vittorio aveva anche iniziato a collaborare con la rivista Chiarezza che era collegata al Politecnico di Vittorini e si stampava da Flaccovio, la villa era quindi sempre più un crocevia di artisti e letterati e Vittorio era il moderatore di interminabili discussioni sul rapporto fra politica e cultura.

 “La cultura va identificata con la lotta per il socialismo, non è il momento di lasciarsi disperdere nell’ansia di cercare e sperimentare, gli intellettuali si sono tappati gli occhi negli ultimi vent’anni e guardate dove siamo finiti, adesso è giusto esigere un allineamento… “ – diceva il compagno Gioacchino.

 “Suonare il piffero alla rivoluzione?” – chiedeva polemico Giulio.

 “Togliatti ha ragione – rispondeva Ignazio – qua rischiamo di precipitare di nuovo nel fascismo, non possiamo distrarci dai nostri obiettivi.”

 “Le sue sembrano minacce.” – rispondeva Giulio.

 “Qui c’è gente che ha liberato l’Italia con le armi in pugno e certuni come Vittorini mostrano invece irrequietezza, la ricerca del nuovo a qualsiasi costo…”

 “Vittorini, ti ricordo, ha combattuto anche lui!” – si scaldava Giulio.

 “Ignazio, Giulio ha ragione – diceva Vittorio – Vittorini ha rischiato la pelle quanto gli altri, Uomini e no è la storia di un partigiano.”

 “Ora sembra che Vittorini abbia scritto solo Uomini e no, perché non vogliamo parlare di Conversazione in Sicilia?” – sbuffava allora Giulio.

 “Perché è ermetico!” – urlava Ignazio.

 “Appunto, è ermetico ma bellissimo, è poetico, quella è la vera Sicilia dei morti di fame, dei contadini.” – rispondeva Giulio.

 “E’ vero, è bellissimo.” – gli faceva eco Pietro.

 “Sì, ma le masse non lo capiscono.” – rispondeva Gioacchino.

 “E cosa capiscono le masse? Il realismo socialista? Devo essere costretto a dipingere soltanto questo?” – diceva Gaetano, un pittore.

 “No! Aspettate un attimo – cercava di mediare Vittorio – Vittorini stesso ha detto che la cultura si deve adeguare di continuo al livello di maturità delle masse, segnare il passo ma anche sapersi fermare con loro…”

Si andava avanti con toni rabbiosi, appassionati, chi si alzava di scatto, chi si accendeva la pipa, soltanto la capacità di mediazione di Vittorio, e a volte anche di Pietro, riuscivano a ricomporre la situazione. A quel punto si preferivano le battute di scherno più o meno velate fino a che Giulio recuperava il suo linguaggio grottesco che faceva sganasciare tutti dal ridere.

…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.



[1] Quelle del 2 giugno del 1946 sarebbero state le prime elezioni della storia repubblicana italiana e le prime dopo il periodo fascista. Agli elettori sarebbero state consegnate contestualmente la scheda per la scelta fra Monarchia e Repubblica (referendum istituzionale) e quella per l’elezione dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente, a cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale.

[2] In quelle elezioni si affermarono in campo nazionale principalmente tre partiti, la DC con 207 seggi, il PSIUP con 115 e il PCI con 104.

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