Il primo maggio del 1947 Elda e Pietro erano ancora in viaggio di nozze, stavano ospiti della sorella di Vittorio a Firenze e lì parteciparono alle celebrazioni a Piazza della Signoria. La sera ricevettero una telefonata di Ignazio:
“Pietro, c’è stata una strage a Portella delle Ginestre! Mentre c’era il comizio hanno sparato dai monti lì attorno e hanno ammazzato undici compagni[1], ci sono decine di feriti fra cui donne e bambini. Stiamo cercando di evitare il peggio. I compagni vogliono andare a prendere i mafiosi a casa per ammazzarli. Li Causi ha detto di mantenere la calma, ma la situazione è difficile e ci può scappare di mano, forse sarebbe meglio che tornaste.”
La notte stessa Elda e Pietro presero il primo treno per Palermo. Non arrivarono in tempo a partecipare al corteo di protesta l’indomani lungo via Libertà, né ai funerali a Piana dei Greci e a San Cipirrello. Furono subito spediti a dare man forte ai compagni che erano a Piana. Un compagno che s’era salvato raccontò loro:
“Giacomo Schirò inizia a parlare … Lavoratori, noi siamo qui riuniti oggi per celebrare la festa del primo maggio… la festa del lavoro… e subito si sentono mitragliatrici.”
“Ma da dove?”
“Ri ddà, sparavano da monte Pizzuto.”
“Ma che razza di armi erano per sparare da così lontano?” – chiedeva Pietro
“Sembravano bombe.”
“No parevano mitragliatrici della guerra… e non finiva mai…” – intervenne un altro
“La gente scappava e cercava riparo, ma dove che là sono tutte pietre?”
“Poi tornammo a vedere, compagni… armali straziati in tierra.”
“L’appimu a carriari chi vrazza pi iri a lu paesi[2].” Parlava piangendo un vecchio.”
I colpi li presero mentre scappavano, donne, ragazzi… “ – a questo punto il compagno non riusciva a continuare, perso fra i singhiozzi e le lacrime, e Elda insieme a lui.
Fra i compagni di Piana e di San Cipirrello c’era la rabbia, c’era la voglia di vendetta, c’era lo scoraggiamento, ancora nessuno si rendeva conto che quella era la prima di una lunga teoria di stragi che sarebbero state chiamate “di Stato”[3].
Elda, da sposata, non aveva più restrizioni dalla sua famiglia di origine e fu spedita, con Pietro o anche da sola, a tenere comizi in punti sperduti della Sicilia. Una volta, mentre parlava, il parroco del paese le urlò in mezzo alla piazza: “Un l’aviti a sentere, figghia ru dimunio iè![4]”
E nelle campagne succedevano cose orribili, capipopolo e sindacalisti venivano sequestrati e uccisi dai mafiosi e dai campieri, la lista dei caduti negli ultimi due anni era tristemente lunga[5], per la sola colpa di aver rivendicato quello che c’era scritto nei decreti Gullo, cioè la spartizione dei ricavi 60 a 40.
Il due di marzo del 1948 ci fu la tredicesima vittima: Epifanio Li Puma, un mezzadro che aveva alzato la testa e si era posto a capo della protesta contadina del territorio delle Madonie, fu freddato in mezzo ai campi dai colpi di fucile provenienti da due uomini a cavallo, sotto gli occhi di due dei suoi figli. Elda e Pietro andarono ai funerali con un gruppo di compagni della Federazione Comunista di Palermo. Lei tornava per la prima volta nelle Madonie.
Li Causi parlava da un palco improvvisato guardando quei contadini negli occhi:
“Tutti conoscono i nomi degli assassini!”
Elda era lì sotto ed ebbe l’impressione di essere osservata da un gruppo di donne. Si volse verso di loro e riconobbe Nunzia e Crocetta, due delle donne della cucina dei Baroni. Accennò un cenno di saluto, quelle rimasero impassibili. Elda era molto cambiata da allora, aveva i capelli raccolti alla meglio in una treccia ed era vestita in modo più trasandato, con un vecchio pullover e una pesante gonna a quadri, perciò pensò che non l’avessero riconosciuta e forse era meglio così. Era comunque rimasta turbata.
A fine sepoltura i compagni stavano organizzando le automobili e il camion per tornare a Palermo davanti alla Camera del Lavoro del paese, Elda stava arrotolando delle bandiere quando si sentì bussare alle spalle, si girò ed erano Nunzia e Crocetta. Senza dire una parola la baciarono e la presero a braccetto incamminandosi con lei sul corso. Sembrava un sequestro di persona ed Elda sentì alle sue spalle qualcuno dire:
“Pietro! Ma dove sta andando Elda?”
Le due donne condussero la ragazza in una piccola stradina dove c’era della gente all’esterno di un basso illuminato, attraverso una vecchia tendina di pizzo Elda fu introdotta nella stanza che dava direttamente sulla strada, dove c’erano file di sedie ai tre lati e persone vestite di nero sedute, come impietrite. Erano i familiari del compagno Li Puma.
Elda aveva avuto modo di partecipare ad altri funerali di paese dove in genere le donne si dimenavano da prefiche, i funerali dei compagni uccisi erano invece mesti e composti, già gravati dalle precedenti suppliche al parroco perché il morto avesse almeno una sepoltura cristiana.
Crocetta, che era la più anziana fra le due donne, si diresse verso la moglie del defunto per presentarle Elda.
“A signura veni rimpaliermu.”
Aveva avuto modo di osservarle la fede al dito, pensò Elda chinandosi sulla moglie del compagno per abbracciarla e baciarla. Dopo di lei Elda abbracciò e baciò tutte le altre persone presenti nella stanza, che si mettevano in fila a turno per raggiungerla, mentre si sentiva mormorare di bocca in bocca.
“I figghi, u picciriddu.”
Il compagno lasciava dieci figli e a Elda furono portati i due che erano con lui al momento dell’uccisione. Il ragazzo e il bambino avevano le mascelle serrate e gli occhi stretti dalla rabbia, Elda li baciò commossa, conscia che l’indomani sarebbero tornati sui campi al posto del padre.
“Ierano ddà i figghi! Vittiru tuttu! U padri in tierra.[6]” – sussurrò Crocetta in modo secco e veloce.
Finito di baciare tutti, questa accompagnò Elda verso l’uscio. Quando la tendina si aprì comparve Pietro intimidito che stava lì in piedi ad aspettare. Elda capì che doveva presentarlo.
“Questo è mio marito.”
Pietro abbassò il capo in segno di cordoglio e Crocetta scrutò quella bellezza contadina, quei modi composti, quelle spalle solide, addolcendo lo sguardo e distendendo la smorfia della sua bocca, mentre la mano si protendeva sul capo del giovane carezzandolo e poi raccogliendosi in un pugnetto che lei portò alla bocca per darvi un bacio amorevole, stessa cosa fece con Elda.
“Bonu facistivu! U Signuri vava a biniriri.[7]”
Si abbracciarono e si baciarono ed Elda e Pietro si incamminarono di corsa verso la Camera del Lavoro.
“La macchina è già partita, però c’è posto sul camion che è quasi pronto.” – disse Pietro mentre correva.
Il camion li stava aspettando e furono tirati sul vano di carico, in mezzo ad altri compagni, assi di legno, bandiere, sedie, rotoli di manifesti e megafoni.
Il cielo era sulle loro teste e la serata era freddissima, Pietro avvolse Elda nel suo mantello di loden, quello che le aveva regalato la Principessa e che lei portava durante ogni inverno dal 43.
“Come mai conoscevi la famiglia del compagno Li Puma?” le chiese Pietro.
“La mia vita passata.”
“C’entra Augusto?”
Elda annuì con la testa e si strinse a Pietro che stava cercando di difendersi dal freddo, soffiando sulle mani e alzandosi il bavero della giacca. Elda aprì la sua mantella e lo avvolse insieme a lei. I compagni nel frattempo si erano messi a cantare:
“fischia il vento urla la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar…”
Elda e Pietro si unirono al coro e lei si guardò intorno scossa dalla commozione, cantando a gola aperta ma contratta da singhiozzi soffocati e dolorosi. Quelle erano le stesse montagne della fuga nel carretto di Don Saro, ma adesso era lì con Pietro, che amava più di ogni altra persona al mondo, era con i suoi compagni e amici fraterni, e anche quelle montagne nemiche le facevano meno paura:
“…a conquistare la nostra primavera, dove sorge il sol dell’avvenir…”
Tutti quei morti, ai quali si era aggiunta la sparizione del ventiseienne Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone, stavano fiaccando l’entusiasmo di quei braccianti che si presentavano al messo comunale per dare ai propri figli nomi come “Idea socialista”, “Libertà”, “Speranza Comunista”. Le loro famiglie avevano paura, pagavano anche il prezzo dell’isolamento e dell’estromissione dalla vita religiosa e chi aveva parenti oltreoceano riceveva truculente descrizioni dei comunisti, in lettere redatte dai parroci di Little Italy.
Il Vaticano infatti autorizzava il clero a svolgere propaganda anticomunista in qualsiasi modo[8].
In quel periodo, ad esempio, si sposò la sua amica Giulia ed Elda andò alla cerimonia religiosa, sedendosi con le sue vecchie compagne di scuola in una fila di panche a metà della navata. Improvvisamente il prete, durante l’omelia, la indicò col dito:
“Perché ci sono, qui, in questa chiesa, infedeli che vivono nel peccato e nella vergogna, che rifiutano i sacramenti e predicano l’immoralità e la violenza… “
“Elda, ti prego, non te ne andare, altrimenti gliela dai vinta.” le disse Bianca.
“Salutatemi Giulia, ma preferisco uscire per non rovinarle il matrimonio.”
Elda aveva la sensazione di combattere ad armi impari contro un mostro dalle molteplici teste, le sembrava di fare buchi nell’acqua, acchiappare il vento, scavare la terra amani nude, e quando arrivò la cocente sconfitta alle elezioni del ’48, ebbe un momento di sconforto e ripensamento. Il suo sacrificio e quello di Pietro era tanto, dormire nelle bettole o nelle fredde case dei compagni, viaggiare di notte, rinunciare alla vita cittadina, Elda iniziò a chiedersi se veramente stesse portando a qualcosa, soprattutto se il loro aiuto era quello che i contadini volevano o se piuttosto avrebbero preferito avere a poco a poco gli strumenti per crescere; per giungere da soli a una loro autodeterminazione, anziché che ricevere le direttive dalla federazione di Palermo.
…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla
I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda
Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.
[1] Dal tempo delle battaglie dei Fasci Siciliani, il primo maggio a Portella delle Ginestre, una pianura pietrosa circondata da monti disadorni, era un giorno di scampagnata in cui i contadini andavano lì con le famiglie dai paesi vicini: Piana dei Greci da una parte, San Giuseppe Jato e San Cipirello dall’altra. I contadini giungevano in corteo da i due lati, con le bandiere rosse in testa e appena arrivati si abbracciavano e baciavano facendo baciare fra di loro anche le bandiere. Era un segno di fratellanza. Dopodiché si stringevano tutti assieme in prossimità del cippo che ricordava il compagno Barbato, un medico socialista di Piana degli Greci che già dalla fine dell’ottocento parlava ai contadini da quel punto ogni anno. In quel primo maggio a Portella si sarebbe anche dovuta festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo. I morti in tutto sarebbero stati 16: Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Giovanni Grifò, Vincenzo La Fata, Giuseppe Di Maggio, Filippo Di Salvo, Francesco Vicari, Castrenze Intravaglia, Serafino Lascari, Vito Allotta, Vincenza Spina, Eleonora Moschetto, Giuseppa Parrino, Provvidenza Greco e Vincenzo La Rocca.
[2] Li abbiamo dovuti sollevare di peso per trasportarli al paese.
[3] La sentenza di Viterbo, cinque anni dopo, identificò gli esecutori del crimine nei componenti della banda Giuliano, un bandito amato dai contadini che in realtà era un’appartenente dell’EVIS (il braccio armato del movimento separatista). Recenti ricerche storiche segnalano la presenza su quei monti di componenti della decima MAS di Julio Valerio Borghese, oltre al fatto che sui cadaveri sono state trovate munizioni in dotazione all’esercito americano e su uno dei monti c’era un tappeto di mozziconi di sigarette di marca americana.
[4] Non la dovete stare a sentire, è figlia del demonio!
[5] Paolo Farina ucciso a Comitini il 28 novembre del 1946, Nicolò Azoti ucciso a Baucina il 21 dicembre del 1946, Accursio Miraglia ucciso a Sciacca il 4 gennaio del 1947, Pietro Macchiarella ucciso a Ficarazzi il 19 febbraio del 1947, Michelangelo Salvia ucciso a Partitico l’8 maggio del 1947, Giuseppe Intorrella ucciso a Comiso l’11 giugno del 1947, Giuseppe Casarrubea ucciso a Partinico il 22 giugno del 1947, Vincenzo Lo Iacono ucciso a Partinico il 22 giugno del 1947, Giuseppe Maniaci ucciso a Terrasini il 23 ottobre del 1947, Calogero Caiola ucciso a San Giuseppe Jato, il 3 novembre del 1947, Vito Pipitone, che dopo essere riuscito a sfuggire ad un sequestro era stato ucciso a Marsala in seguito ad un agguato mafioso il 9 novembre del 1947, Vincenzo Campo ucciso il 22 febbraio del 1948.
[6] I figli erano là! Videro tutto! Il padre per terra.
[7] Avete fatto bene, il Signore vi benedica.
[8] Il 1 luglio del 1949, il Santo Uffizio avrebbe addirittura scomunicato tutti i comunisti.
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