Elda cap. 49, Emma

Qualche mese dopo Dario trovò sua madre seduta nel divano del salotto con lo sguardo rapito dalle pagine de Il Maestro e Margherita e le si sedette accanto in silenzio, pensieroso.

Lei era arrivata al punto in cui la protagonista era prossima a rivedere il suo amante e non voleva posare il libro, sperava che suo figlio prendesse una rivista da leggere piuttosto che fissarla a quel modo, ma lui non lo fece.

“Tesoro, mi devi dire qualche cosa?” – gli disse senza distogliere lo sguardo dalle pagine.

“Sì mamma.”

“Una cosa veloce?”

“No.”

“Devo smettere di leggere?”

“Dovresti.”

Elda chiuse il libro a malincuore infilando un segno fra le pagine e se lo mise in grembo, quindi rivolse lo sguardo a suo figlio.

“Dimmi.”

“Ascoltami, bisogna parlare con lo zio Ignazio.”

“E di cosa?”

“Di Emma.”

“Che ha Emma?”

“Non vi siete accorti di niente?”

“Di che cosa?”

“Non la vedete strana, stonata?”

“Sì, in effetti ultimamente mi sembra dimagrita, deve essere molto stanca, l’altra sera mentre le parlavo le si chiudevano gli occhi dal sonno.”

“Ecco, appunto. Non è sonno.”

“Sta male?”

“In un certo senso sì.”

“E che ha?”

“Emma ha preso delle brutte abitudini… non mi piacciono le persone che frequenta e sta fuori tutte le notti per lo meno fino alle tre e mezza.”

“Ma tu le hai parlato?”

“E secondo te venivo a parlartene senza prima affrontarla direttamente? Ma è sfuggente, nega l’evidenza. Le ho chiesto chi vede, cosa fa ogni notte, niente, risponde che sono fissato, che è la mia di vita che fa schifo.”

“Ma eravate tanto uniti…”

“Lo so. Ma mente spudoratamente, a me e a lei stessa… mi dice urlando posso smettere quando voglio.

“Tesoro, stai girando intorno a una cosa che non capisco, potresti spiegarti meglio?”

“Ha preso a farsi di eroina.”

“Elda si abbandonò alla spalliera come svuotata.”

“Mi ascolti mamma? Riesci a capire cosa significa?”

“E’… una tossicodipendente?”

“Io spero che non siamo ancora arrivati a questo punto, ti sto avvertendo proprio per evitare di arrivarci.”

“Ma si è già bucata?” – Elda si ritrovava ad adoperare certi termini con disagio.

“Forse, credo di sì, ma forse la aspira soltanto.”

Elda si mise le mani nei capelli:

“Che incubo!”

“Ne ho parlato anche con Davide, ma noi due da soli che potevamo fare? Dovete parlare con lo zio Ignazio, forse portandola via da Palermo…”

“E Davide ne ha parlato con Ignazio?”

“Sì, ma sai com’è lo zio Ignazio, non lo vuole ammettere.”

“In effetti – fece Elda – anch’io ho notato che è tanto cambiata, sempre sfuggente, sciatta, ma che vuoi, per me è stato un periodo terribile, ho avuto il mio daffare.”

“Lo so mamma.”

Elda riunì Pietro, Davide e Dario per parlare della situazione. Stava diventando diffusa l’abitudine di ricorrere in questi casi a delle comunità di recupero, in cui i ragazzi venivano disintossicati e poi avviati in un percorso di riabilitazione, la maggior parte erano gestite da preti. Si trattava di una soluzione drastica ma dava dei buoni risultati, mentre altrimenti si andava avanti fra disintossicazioni e ricadute e la speranza di una nuova cura a base di metadone.

Con la concretezza di queste informazioni pensavano di rendere più digeribile la notizia a Ignazio.

Ignazio ebbe una crisi di sconforto, come se in fondo se l’aspettasse e avesse cercato di rimandare il più possibile quel confronto con la verità. Diversamente dalle sue reazioni di un anno prima, non ce l’aveva con chi lo metteva di fronte alla realtà. Certo era pesante vedere Dario nella parte di quello pulito mentre sua figlia era caduta in quella disgrazia, fino ad allora si parlava delle vicende di Emma e Dario come indissolubilmente parallele, ora vedeva sua figlia sola e abbandonata a se stessa e il suo primo istinto fu quello di difenderla dal mondo:

“Di mandarla dai preti non se ne parla – rispose secco – ci sono andati i figli di altri compagni ma io non sono d’accordo, sono delle specie di conventi, a dire il vero sono lager, poi significherebbe non vederla per almeno un anno, ci odierebbe tutti.”

“Non so, cosa proponi allora?” – chiese diplomaticamente Pietro

 “La porto con me in Toscana, nella campagna di Vittorio e Igea, quello è un posto isolato, ci sono stato da poco, può servirci per allontanarla dal suo ambiente e capire a che punto è la situazione.”

“Hai visto Igea e Vittorio? – chiese Elda – Come stanno?”

Pietro guardò Elda in tono di leggero rimprovero, come se quella domanda fosse stata fuorviante.

Invece Ignazio le rispose: “Sono stato lì per Emanuele, ha lasciato Torino ed è da Claudio che ha una casa lì vicino… loro due sono sempre rimasti amici.”

“Ma che succede a Emanuele? Non aveva avuto un contratto con l’Università?” – chiese Davide

“Appunto, infatti sono corso in Toscana a cercare di capire quello che stava succedendo. L’ho trovato profondamente turbato… sai che non è facile cavare le parole di bocca a tuo fratello…  ma a fatica mi ha detto che lì alcuni gruppi estraparlamentari iniziano a fare sul serio… organizzano azioni violente… e lui ha avuto il sospetto che ci fossero invischiati alcuni colleghi con cui lavorava gomito a gomito.”

“Ci sono gruppi che stanno perdendo il contatto con la realtà… ma perché lasciare tutto?” – commentò Davide

“Non lo so, secondo me c’era anche di mezzo una ragazza, comunque meglio così.”

 “Sicuramente. Quelli sono dei pazzi.” – fece Pietro

 “Certo è un momento terribile – fece Elda – Se solo avessimo potuto prevedere per i nostri figli tutti questi pericoli!”

“Sono io che ho sbagliato tutto con i miei figli.” – fece Ignazio – E’ il momento che mi fermi. Mi hanno proposto un seggio alle europee, ma posso benissimo chiudere qui la mia carriera.”

Nessuno fece un cenno per scoraggiare questo proposito anche se Pietro gli indirizzò uno sguardo amorevole:

Cane, vedrai che insieme riusciremo a superare questo momento.”

“Ci penserò io, a mia figlia, la mia Emmuzza, a picciridda ci penso io.” – con la voce quasi rotta di pianto.

Se i mesi che seguirono furono rivolti a risolvere i problemi di Emma, Ruggero si sfilò dai suoi prima ancora che i suoi genitori prendessero dei provvedimenti.

Archiviato il capitolo delle droghe leggere e di qualche acido, Ruggero si buttò a capofitto nello studio, deciso a laurearsi in fretta. Cambiò completamente amici e si mise a giocare a tennis, probabilmente continuando a farsi canne in una misura che riteneva gestibile, anche se talvolta sembrava eccitato e febbrile.

La scelta di Ignazio di evitare una comunità di recupero non si rivelò la più pratica. Emma tendeva a gabbare le persone che le stavano accanto, si disintossicava e poi aveva ricadute, sottraeva oggetti da casa sua e da casa di Elda e Pietro, aveva lasciato gli studi.

Dario invece aveva preso la maturità, si era iscritto a Storia e Filosofia ed era deciso nel frattempo a collaborare al giornale come biondino. Nel giro di qualche anno sarebbe potuto arrivare al praticantato, per poi diventare pubblicista e fare gli esami per diventare giornalista professionista. Era un percorso lungo, ma aveva visto altri ragazzi riuscirci e poi lui di quel giornale conosceva ogni angolo, dalla tipografia agli uffici dell’amministrazione, l’aveva frequentato sin da bambino, e poi negli ultimi anni si era prestato in lavoretti saltuari, dal servizio di raccolta dopo ogni elezione, al riordino dell’archivio.

I suoi genitori invece si misero di traverso, non gli sembrava corretto dal momento che Elda era diventata redattore capo e Pietro da qualche anno si era anche preso carico dell’amministrazione; anche perché il giornale era in crisi, i finanziamenti del partito arrivavano ormai col contagocce e probabilmente, piuttosto che assumere, presto si sarebbe dovuto ridurre il personale.

La casa editrice di Giulio sembrava invece andare bene ed Elda chiese a suo fratello se Dario poteva fare un’esperienza di lavoro da lui. Giulio era abituato a gestire le cose da solo e disse di sì solo per fare un piacere a sua sorella. Però ben presto Dario si rivelò prezioso. Impaginare gli veniva naturale, forse perché l’aveva visto fare fin da bambino al giornale. Fino ad allora i rapporti di Giulio con le tipografie erano stati fonte di conflitti e malumori, mentre Dario riusciva a mediare meglio di lui, così pian piano il carico passò a lui.

Nel frattempo Dario frequentava saltuariamente le lezioni universitarie mentre scoppiava anche a Palermo il movimento del ’77. Dario partecipò a molte assemblee in facoltà in cui si contestava la posizione del PCI, ma anche quella dei gruppi che erano stati protagonisti a sinistra fino ad allora, si attaccavano perfino i professori di sinistra che cercavano di prendere la parola alle assemblee studentesche. Tutto questo mentre si imponeva il movimento femminista e la diffusione della cultura underground, con giornali dedicati alla controcultura e alla controinformazione, raduni pop e radio libere.

Era un movimento complesso, libertario e creativo, dove non c’erano leader e dove le manifestazioni erano gioiose e originali come i girotondi o i sit-in con le facce dipinte da indiani metropolitani. In questi happening Dario cercava con gli occhi sempre la stessa ragazza bionda, che come le altre aveva la gonna a fiori. Un giorno, seduti tutti davanti al Teatro Massimo, lei gli passò una canna e lui la baciò in bocca.

“E tu chi sei?”

“Io sono Dario e tu?”

“Gabriella.”

Ruggero invece si era laureato, aveva preso l’abilitazione ed era entrato in uno studio legale come praticante.

“Quello studio fa cause del lavoro sempre dal lato della proprietà.” – borbottava Pietro a sua moglie.

“Invece di essere orgoglioso di tuo figlio… e poi è un bene che abbia cambiato ambiente, ricordati che con lui abbiamo rischiato grosso.”

“Sarà…”

Anche Davide si era laureato, in Fisica, e aveva iniziato il dottorato.

Era Emma quella che restava indietro, la sua bellezza sembrava ormai essersi spenta, faceva discorsi infantili, era di una solitudine disarmante, anche perché appena qualcuno le prestava attenzione se ne pentiva presto per la sua continua richiesta di danaro; verso di lei si avevano sentimenti di rabbia misti a tenerezza. Era in psicoterapia ormai da due anni.

In una conversazione in campagna su di lei, Giulio, attizzando il fuoco nel camino, aveva sparato una delle sue sentenze:

“Deve ancora trovare la passione della sua vita, qualcosa per cui vivere.”

A chi faticava da qualche tempo per tirarla continuamente fuori dai guai era sembrato quasi un insulto.

Ignazio era diventato l’angelo custode di sua figlia, vivendo in solitudine il suo dramma. Aveva ripreso il suo incarico all’Università di Palermo ed era entrato nella segreteria regionale del partito. La situazione che aveva trovato non era però quella di trent’anni prima ed era ulteriormente peggiorata dopo la partenza di Occhetto. Il governo nazionale era caduto, si avvicinavano nuove elezioni e la concordia con la Democrazia Cristiana proposta da Berlinguer aveva un significato profondamente diverso in Sicilia, dove il PCI si trovava a dialogare con una DC pesantemente compromessa con ambienti mafiosi. Dentro il partito poi s’erano fatti avanti quelli che lui considerava i peggiori, impegnati in strani inciuci che garantivano soltanto rappresentanze nelle municipalizzate.

Ignazio decise così di defilarsi e fondare un centro studi che si occupasse di politica, dove investì gran parte del suo tempo e dei suoi introiti. Il centro iniziò a organizzare seminari di studi, convegni, corsi di formazione per lavoratori e studenti e a raccogliere documenti e testimonianze sulle lotte contadine in Sicilia.

Padre e figlia andavano spesso a trovare Emanuele che era ricercatore a Parigi, guadagnava discretamente e aveva una compagna molto simpatica, Rosemarie.

Ignazio conduceva sua figlia per le vie di quella città che aveva sempre amato, portandola a musei, mostre e concerti. Lei era taciturna e distratta, ma le piacevano le bancarelle del lungosenna, dove comprava vecchie foto.

Un giorno Emma aveva chiesto a Pietro se poteva prestargli la sua Rollei, che ormai stava a impolverarsi in uno scaffale del corridoio. Lui si era un po’ infastidito, perché Emma chiedeva sempre cose che poi non restituiva e quella macchina fotografica, sebbene non più utilizzata, era un regalo del suo matrimonio e un caro ricordo, non gli andava proprio l’idea che finisse da un rigattiere per una dose di eroina.

Emma continuava a insistere al punto che Elda decise di intercedere, più per dare un taglio alla questua che per generosità.

Dopo qualche tempo Elda era dovuta entrare nella casa accanto mentre non c’era nessuno, perché il portiere l’aveva avvertita di una finestra della veranda che sbatteva e, dirimendosi nel disordine di quello che era stato lo studio di Ottavia, notò che c’erano dei fili a cui stavano appese delle fotografie in formato 6×6, quello delle Rollei, e che nel camerino attiguo qualcuno aveva improvvisato una camera oscura, utilizzando il vecchio ingranditore che Pietro e Ignazio avevano da ragazzi. Si vergognò con se stessa per tutte le volte che era stata prevenuta nei confronti di Emma, soprattutto nel caso di quella Rollei.

Le fotografie erano state scattate dalle finestre di quella veranda, erano leggermente scure, le inquadrature non erano ben centrate e la stampa era sgranata, era decisamente il lavoro di una principiante, ma dietro quell’organizzazione rudimentale poteva esserci una passione e si ricordò della frase di Giulio.

…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

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