BAGHERIA FRA MOSTRI E VIAGGIATORI di Martino Grasso

Martino Grasso, giornalista e scrittore Bagherese, è una di quelle persone che ha sfruttato la reclusione da pandemia per portare a termine un progetto più volte rimandato, quello di descrivere la sua cittadina, Bagheria in provincia di Palermo, attraverso i racconti dei viaggiatori che l’hanno visitata. Ci rallegriamo di questa circostanza che ci permette di conoscere approfonditamente il centro urbano che ha dato i natali a Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, Peppuccio Tornatore e Ferdinando Scianna, e che ha visto crescere Dacia Maraini.

Per chi non lo sapesse la Sicilia è stata meta dei viaggiatori del gran tour nel 18° e 19° secolo. La nostra isola si trovava alla fine dell’Itinerario italiano, ma questo non dissuase i viaggiatori dal farsi rapire dal soggiorno palermitano, con i suoi monumenti, i suoi palazzi barocchi e l’ospitalità delle famiglie aristocratiche. In verità a Palermo c’è molto da vedere e non si finisce mai di scorgere una pavimentazione romana o i resti di un castello arabo in mezzo a casupole semidiroccate, o un mosaico arabo-normanno fra gli ordinari stucchi di una delle sue numerose chiese. E oltre le meraviglie della capitale, non può mancare la visita al Duomo di Monreale, che potrebbe essere inserito fra le poche meraviglie del mondo, e a quel punto confrontarlo col contemporaneo duomo di Cefalù; infine come non visitare le rovine di Selinunte, Segesta, Termini Imerese e Solunto? Ci si accorge che bisognerebbe restare un anno per esaurire tutti i desideri, eppure qualcuno di questi viaggiatori riuscì ad inserire nella propria lista anche la cittadina di Bagheria, luogo di villegiatura di alcune famiglie aristocratiche palermitane, che nel 18° secolo avevano deciso di costruirvi delle ville di campagna, col mare poco distante che garantiva la sua brezza senza fiaccare di iodio le membra.

Come giustamente fa notare Martino Grasso, dietro il desiderio di visitare una dopo l’altra le bellissime ville barocche, con in testa quella dei Principi Valguarnera, c’era la curiosità quasi morbosa di concludere il giro con quella villa Palagonia nota per le sue bizzarrie architettoniche e decorative. Talmente dissacrante lo stile di questa costruzione, delle sue sculture (i famosi mostri), e arredi e accessori, che ognuno di questi viaggiatori si sentiva poi in dovere di descriverne ogni particolare in tono denigratorio, quasi a volersi smarcare da un satiro tentatore. Ma è attraverso l’attenta disamina di questi viaggiatori che noi ora possiamo vedere, quasi toccare con mano, l’instanzabile ricerca creativa di uno schivo personaggio, tanto razionale nella dialettica quanto visionario nel gusto figurativo, capace di collegare l’anonimo pittore del “Trionfo della morte” a Hieronymus Bosch e ai surrealisti del ventesimo secolo.

Il personaggio in questione è il principe Ferdinando Francesco II di Gravina, detto Il negromante (1722-1788) il quale, nel corso della vita adulta, ha utilizzato la villa di famiglia come atelier di sperimentazione di una creatività versatile, che nell’uso di materiali fra i più svariati (tufo, specchi, vetri colorati, avorio, corno, tartaruga, marmi, vasellame frantumato usato come mosaico) ha dato sfogo alla sua immaginazione surreale. Dirà sempre di ispirarsi a una realtà africana che vede la commistione delle varie specie animali, tanto che le sue sculture sono una continua miscellanea di parti del corpo di diverse bestie, ma ovunque provengano queste visioni sono estremamente interessanti, frutto di una mente capace di elevarsi dalla convenzione dei suoi tempi e anticipare correnti artistiche future, i suoi mosaici frutto del riuso di vasellame sminuzzato sembrano quelli di Gaudì.

Il visitatore contemporaneo poco vede di questa arte, perchè dopo la morte di Gravina II è iniziata un’opera di demolizione della maggior parte dei suoi manufatti (in realtà lui ne era l’ideatore mentre la realizzazione era affidata a uno stuolo di maestranze locali), ecco perché la descrizione dei viaggiatori del passato è così preziosa, non potremmo infatti altrimenti conoscere la reale portata del corpus artistico di Villa Palagonia.

A Martino Grasso va dunque il merito di aver riunito in un unico volume tutte queste testimonianze, alcune delle quali tradotte per l’occasione dalle loro lingue originali. L’opera si divide in una prima parte descrittiva e una seconda parte in cui si possono leggere le centinaia di testimonianze originali, fra le quali spiccano quelle di Johann Wolfgang von Goethe e Jean-Pierre Houël, mentre fra quelle dei tempi moderni si annoverano quelle di Mario Praz e Carlo Levi. Una lettura che consiglio vivamente.

Martino Grasso

BAGHERIA FRA MOSTRI E VIAGGIATORI

Resoconti dei diari di viaggio pubblicati dal 1700 al 1900

Plumelia Edizioni, 2020

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