Elda cap. 18, Nostalgia di casa

Arrivarono le celebrazioni pasquali e i monti delle Madonie si colorarono del rosso della sulla[1], Elda era ormai lusingata dalle attenzioni che era riuscita a conquistare, le lezioni di letteratura andavano avanti proficuamente, Augusto era più galante, l’ambiente le era meno ostile, la vita era comoda e agiata, il cibo eccellente e abbondante, non aveva quindi voglia di tornare a casa.

La posta era sempre più discontinua ma nelle sporadiche missive che arrivavano da Santa Flavia, la mamma si compiaceva del prolungamento di quel soggiorno senza mettere fretta a Elda per il ritorno.

Poi arrivarono le notizie di quel rovinoso bombardamento che Palermo aveva subito il 9 maggio, il peggiore di tutta la guerra. Arrivò in seguito una lettera di Wanda: Guglielmo era stato ricoverato precipitosamente all’ospedale militare di Napoli a causa di una polmonite. Elda rientrò nella realtà. Preoccupata per suo padre da quel luogo ovattato si vergognò di essersi dimenticata della guerra, che invece intensificava bombardamenti, fame e malattie. Il messaggio successivo era più rassicurante e diceva che la zia Teresa aveva raggiunto suo padre da Gaeta, riuscendo anche a organizzare il suo rientro a casa per la convalescenza. Elda benedisse ancora una volta la zia; come nelle altre lettere, sua madre concludeva augurandole di continuare piacevolmente il suo soggiorno.

Adesso la frase di Wanda che le consigliava di divertirsi le suonava stonata. Somigliava molto all’usuale dichiarazione di non avere appetito per poter destinare ai figli lo scarso cibo a disposizione, Elda iniziò ad avere nostalgia di casa.

Purtroppo a ogni programma di partenza la Principessa si adombrava capricciosamente organizzando sempre nuove attività da fare insieme, così che Elda, tormentata dall’incertezza, rimandò di settimana in settimana e passò un altro mese.

Fu la sorte a prendere una decisione, perché la mattina del 14 giugno la Principessa fu trovata morta nel suo letto, probabilmente un improvviso colpo apoplettico, difficilmente accertabile dalla limitatezza del medico condotto. Elda avvertì un vuoto improvviso, unito al senso di colpa per il dispiacere che aveva dato manifestandole continuamente il suo desiderio di tornare. Pensava quanto incredibile fosse stata la nascita di quel rapporto tanto intenso e prezioso in così poco tempo, era una disdetta che tutto dovesse finire d’un colpo, dovette aspettare i solenni funerali a cui partecipò l’intero paese, tutti i sudditi delle campagne, i nobili dei poderi del circondario e le bande di quattro paesi delle Madonie.

La cerimonia avvenne il lunedì seguente e la famiglia vi assistette dalla propria cappella all’interno della chiesa Madre. Elda invece prese posto nella navata centrale insieme alla signorina Lucia e al personale del Palazzo. Poi il corteo funebre, preceduto dal catafalco e dalle bande, si mosse in direzione del mausoleo di famiglia nel cimitero, che si trovava fuori dell’abitato. In prima fila stavano i Baroni al completo con le dame in nero, elegantissime con la vita stretta e le spalle gonfie secondo la foggia del momento e con preziosi veli neri ricamati che coprivano tutta la testa. Le musiche erano tristi e bellissime e al passaggio della folla mani frementi spezzavano fiori per poi gettarli per terra coprendo l’intero cammino. La gerarchia delle file del corteo funebre era stata studiata con cura e la ragazza preferiva non chiedersi il valore di quella in cui era stata collocata, quello che risultava evidente era che certe coppole con fucili in spalla avevano un posto di rilievo. La Principessa fu lasciata a riposare in una terra che non amava e Elda, come solo conforto, poté posarle sulla bara un mazzetto di fiori raccolti dal loro bosco al mattino presto.

Nel pomeriggio i Baroni iniziarono a ricevere le visite di lutto, schierati nel salone da ballo del Palazzo, con i pesanti drappi di velluto talmente serrati che neanche un piccolo raggio di quel sole d’estate potesse penetrare. La famiglia di Augusto replicava un rigoroso cerimoniale che poteva durare giorni e giorni e del quale, nonostante la sporadicità delle occasioni, ogni membro conosceva bene ogni regola. La Principessa, odiata dai più fino ad una settimana prima, veniva compianta come la più nobile delle creature: non uno che facesse accenno alla sua sconfinata cultura e alla sua intelligenza, erano capaci soltanto di ricordare la raffinatezza delle sue maniere. Fra le missive giunte per cordoglio era stata mischiata per sbaglio anche una lettera indirizzata a Elda e proveniente da sua madre. Sembrava contenere un messaggio in codice. Tuo padre ti richiama a casa, tutti in paese dicono che sarebbe meglio che tu tornassi al più presto. L’ultima frase era sottolineata.

C’erano gli elementi per temere un improvviso aggravamento di suo padre ma Elda conosceva il modo in cui sua madre evitava di farsi capire da terzi, in genere alterava il tono della voce, qui era ricorsa alla sottolineatura; non era difficile intuire il senso della lettera perché se a Santa Flavia potevano essere arrivate delle vaghe notizie, i paesi delle Madonie vivevano un vero e proprio fermento.

Quei tipi loschi, che i nobili di tanto in tanto ospitavano nelle proprie foresterie, adesso giravano per i paesi dando istruzioni alla popolazione; consigliavano ai giovani in procinto di partire per il fronte di nascondersi in campagna per qualche tempo, ai militari in licenza di disertare, ai gerarchi fascisti di indossare abiti civili e non farsi vedere in giro, anche quella mattina durante il corteo era stato tutto un confabulare: le truppe angloamericane erano già sbarcate a Pantelleria e la piccola isoletta siciliana si era arresa l’undici di giugno, a questo punto si attendeva lo sbarco in Sicilia.

Elda andò a cercare Augusto che stava conversando con un giovane cugino in una saletta del piano nobile:

“Scusami se ti disturbo Augusto, ma ho ricevuto una lettera da mia madre e vorrei tornare a casa al più presto.”

“Credo che non sia più possibile, abbiamo l’invasione alle porte.”

“Ma… – balbettò Elda – non potrei prendere la corriera di domattina?”

“Le campagne sono in preda alle bande e ho sentito dire di corriere requisite con i passeggeri abbandonati fra i campi, tutti cercano copertoni di gomma – si inserì il saccente cugino – l’unica soluzione sarebbe il treno, raggiungendo la linea Caltanisetta-Roccapalumba e poi cambiando per quella costiera.”

“Elda, capisci bene che nessuno può accompagnarti in questo momento. Poi la ferrovia potrebbe essere bombardata lungo la costa.” – tagliò corto Augusto, seguitando poi la conversazione col cugino. Elda avrebbe desiderato maggiore attenzione: cosa stava succedendo al suo innamorato? Dal momento della morte della nonna non le aveva quasi rivolto la parola, lei lo aveva giustificato pensando che fosse colpito da quella perdita, ma adesso rideva e scherzava raccontando di vincite a scopone. Intanto Benedetta, la cameriera personale della Principessa che aveva ascoltato la conversazione, le sussurrò:

Signorina, parta adesso, tutti dicono che gli americani stanno arrivando, non si sa cosa potrà succedere dopo.” poi andò in cucina a consultarsi con Don Isidoro, che dopo un’ora mandò a chiamare la ragazza.

In cucina si svolgeva la parte plebea della visita di lutto, con Don Eusebio che faceva da padrone di casa ricevendo tutte le famiglie dei soprastanti, gabellotti e campieri dei vari feudi della famiglia. C’era Don Saro, venuto con la moglie, che amministrava un feudo molto vicino alla stazione ferroviaria di Valledolmo. Don Isidoro assicurò a Elda che si trattava di persona fidatissima e che nel carretto c’era posto anche per lei, la cosa migliore era viaggiare di notte, così la ragazza decise di partire con loro e tornò in salotto ad accomiatarsi dalla famiglia, ringraziando per l’ospitalità e rinnovando il cordoglio per il lutto. Elda fu salutata distrattamente persino da Augusto e si ritirò nella propria stanza per preparare i bagagli non senza attendere sulle scale un saluto privato del suo innamorato, come erano soliti fare la sera quando lei andava a coricarsi, restò lì dieci minuti ascoltando in lontananza il chiacchiericcio dal quale sentiva ogni tanto alzarsi la voce di Augusto e capì che era inutile aspettare.

All’una di notte la ragazza fu chiamata da Benedetta. Isidoro, che aspettava in strada vicino al carretto di don Saro, aveva fatto preparare per lei una sporta con del pane, una bottiglia d’olio, un pezzo di primosale pepato, un pezzo di prosciutto, un salame, un barattolo di conserva e uno di marmellata di arance.

“Queste le porti a sua madre.” Elda lo salutò abbracciandolo, come fosse un padre.

Quando il carretto partì ebbe la sensazione, quasi una premonizione, che non avrebbe più rivisto quei luoghi e quelle persone, poi improvvisamente le sgorgarono le lacrime che non era ancora riuscita a versare per la morte della Principessa.

Era la notte fra il 21 e il 22 giugno del 1943, c’erano da percorrere più di trenta chilometri di strada montana, sterrata e impervia, neanche da fare un paragone con quel tragitto in corriera che aveva tanto odiato nel viaggio d’andata. Equipaggiata con la mantella di Loden e le scarpe della passeggiata nel bosco, le uniche cose donatele dalla Principessa che aveva voluto portare con sé, Elda osservava un paesaggio montano buio e aspro, Don Saro conosceva bene la strada e lei doveva solo fidarsi, così le aveva detto Don Isidoro, ma le sembrava che a quell’andatura non sarebbero mai arrivati. Don Saro stava immobile intabbarrato nel suo scapolare mentre la moglie, donna Ciccina, aveva testa e spalle avvolti in un numero imprecisato di scialli. Le uniche parole che le rivolsero erano purtroppo per lei incomprensibili:

“Un’aspagnari ca zanniannu munzieddi e vadduna unn’avissimu a addimurari.[2]“ diceva lui.

“Accamuora gghiurnnannu addiminemu.[3]“ gli faceva eco la moglie.

Era curioso, pensava Elda, che potesse esistere un dialetto ancora più stretto di quello di Pietralunga. Fece finta di addormentarsi per sottrarsi alla conversazione e seguitò il viaggio a occhi chiusi, facendosi cullare dal movimento del carretto. Così ebbe modo finalmente di riflettere sul suo rapporto con Augusto.

A parte una leggera gelosia, lui in fondo era stato contento delle attenzioni che la nonna aveva dedicato a Elda e si era sentito incoraggiato a manifestare apertamente i suoi sentimenti. Il resto della famiglia però, anche se liberato dai malumori dell’anziana nobildonna, aveva interpretato in modo del tutto diverso l’ultimo capriccio senile della Principessa: lei così assente nei rapporti familiari, fredda persino con il figlio e i nipoti, aveva deciso di incoronare come prescelta una ragazzetta estranea alla famiglia. Se avevano finto di stare al gioco per circostanza, la morte aveva liberato in loro un desiderio di vendetta, e quel giorno Elda aveva avuto modo di constatarlo negli sguardi pungenti che la relegavano lontano durante le cerimonie.

Allora – ripensava Elda – tutto sarebbe tornato come prima? Morta la Principessa, in quella famiglia avrebbe dovuto ricominciare a mendicare qualsiasi attenzione? Augusto poi sembrava assumere inconsapevolmente i loro atteggiamenti, era… un pavido! Col disinteresse verso la sua partenza aveva partecipato alla sottile vendetta familiare, e pensare che Elda aveva anche sperato di vederlo in strada all’ultimo momento! Comunque lei adesso voleva ricongiungersi al più presto con la sua famiglia a Santa Flavia, e in questa urgenza non c’era tempo per pensare a lui. Molto più tardi avrebbe riflettuto su quella strana premonizione di non rivedere più quei luoghi. In realtà, quando il carretto si era avviato verso l’uscita del paese, lei aveva avuto paura della sua determinazione. Iniziava a covare un sottile astio per Augusto, e di questo sentimento aveva paura, temeva infatti che l’avrebbe potuta portare a poco a poco ad ergere una barriera di diniego.

A un certo punto dovette essersi realmente addormentata, perché quando giunsero alla stazione di Valledolmo, la moglie di Don Saro l’avvertì con un leggero strattone, stava quasi per albeggiare e avevano impiegato cinque ore.

Don Saro e donna Ciccina la scaricarono in una stazione semivuota, dandole delle istruzioni incomprensibili accompagnate da gesti concitati:

“Uns’addimurassi ca otta avvissiapparturi.[4]

Elda fece loro capire che aveva inteso, ringraziò calorosamente e rimase sola senza sapere quando sarebbe arrivato il suo treno.

Il capostazione le disse che c’era un primo tratto fino a Roccapalumba di circa venti chilometri, da lì avrebbe dovuto proseguire per altri 20 chilometri fino alla stazione di Fiumetorto, poi avrebbe dovuto aspettare un treno della linea Messina Palermo e percorrere gli ultimi 25 chilometri.

Il treno per Roccapalumba partì dopo mezz’ora e non era molto più veloce del carretto di Don Saro. Alla diramazione di Roccapalumba, l’altro treno stava già aspettando e fino a Fiumetorto il viaggio durò leggermente meno del primo tratto, nessuno dei due treni era eccessivamente affollato, in ambedue si era potuta sedere in una panca di legno e aveva potuto accomodare i bagagli nella reticella.

Alla stazione di Fiumetorto la situazione le apparve infernale. Era quella la tratta più trafficata e sulla banchina c’era un fiume di gente che sembrava aspettare da un tempo infinito, erano tutti seduti sui bagagli, alcuni addirittura distesi a dormire. I treni per Palermo sarebbero dovuti passare a distanza di tempo regolare ma non se ne vedevano dalla mattina ed erano già le due del pomeriggio.

Nessuno osava protestare, chi si era voluto avventurare in viaggio in quei giorni sapeva che il tragitto sarebbe stato un’incognita, i treni potevano essere centrati dalle bombe, specialmente nel tratto costiero, o aver dovuto dare la precedenza alle tratte militari, si poteva soltanto sperare che a un certo punto ne passasse uno e che non fosse troppo gremito.

Elda iniziò a temere di dovere restare lì, fra quella gente, per chissà quanti giorni. Più volte nella sua vita quella ragazza, diventata poi madre, avrebbe dovuto rispondere alle domande dei suoi figli sulla sensazione di paura durante la guerra e non sarebbe stato semplice, si sarebbe ricordata di momenti di terrore panico di fronte a timidi segnali e poi momenti di incoscienza di fronte al reale pericolo. Anche in quel caso, di fronte alla sensazione di essere rimasta tagliata fuori dalla sua famiglia, era subentrata la rassegnazione. Pensava che 25 chilometri a piedi fossero sostenibili e l’unica sua preoccupazione era quella di riuscire a trascinare il pesantissimo pacco di cibarie. Perché una cosa era certa in lei, non si sarebbe mai presentata a Santa Flavia senza quello che era un risarcimento per la vita agiata che aveva condotto a Pietralunga.

Finalmente ciò che sembrava un miraggio iniziò a diventare un’immagine concreta, un treno avanzava lentamente contornato da un’aura frastagliata, erano persone aggrappate dappertutto: donne che fuoriuscivano dalle porte e dai finestrini, uomini seduti a cavalcioni sulla motrice o attaccati ai respingenti, altri sui tetti, tutti gridavano un’unica frase: “non c’è più posto”. La folla a terra, come un mulo cocciuto, avanzò ostinata verso le porte, dimenandosi e spingendo. Salire su quel treno fu per tutti un imperativo improcrastinabile, chissà se e quando ne sarebbe passato un altro, Elda si lasciò trasportare dalla massa semovente stretta a chissà quali persone, temette di soffocare, poi di perdere i bagagli e alla fine si ritrovò su quel treno, in qualche modo era riuscita a salire.


…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla

I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda

Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.

[1] un’erba tipica del posto.

[2] non si preoccupi che girando fra monti e vallate non dovremmo ritardare

[3] di questo passo dovremmo arrivare quando fa giorno

[4] non perda tempo che dovrebbe partire adesso.

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