Nei giorni seguenti Elda si accorse che ormai le notizie sull’avanzata degli alleati erano di dominio pubblico, non c’era neanche bisogno di ascoltare radio Londra. Gli appelli affissi del Comandante Mario Roatta della VI Armata, esortavano i siciliani a resistere:
“Strettamente fiduciosi e fraternamente uniti, voi, fieri Siciliani e noi, militari italiani e delle FF AA Sicilia, dimostreremo al nemico che qui non si passa.” Piovevano volantini angloamericani che recitavano:
“Conducete le vostre famiglie in luoghi lontani dal pericolo. Rammentatevi che la vostra alleanza con la Germania è l’unica causa dei bombardamenti sulle città italiane.”
Elda leggeva ogni cosa a suo padre che, seduto in una sedia vicino alla finestra, non aveva la forza di fare nulla, perciò in quei giorni la figlia si occupò principalmente di lui, leggendogli anche quei pochi libri che aveva con sé, esortandolo a mangiare il più possibile, certe volte persino imboccandolo. Soprattutto suo padre voleva che lei gli raccontasse di Pietralunga e così Elda parlava della Principessa, delle passeggiate in pineta, delle lezioni di letteratura e alla fine lui le diceva orgogliosamente:
“Ti sei fatta benvolere da quella famiglia, vedrai che presto avremo belle notizie per te.” gli occhi gli si illuminavano soltanto a questa prospettiva e Elda stava al gioco, capendo che era un modo per aiutarlo a guarire insieme alle provviste del Monsù, quelle furono una vera benedizione del cielo e Guglielmo andò poco a poco riprendendosi.
Neanche venti giorni dopo il suo arrivo, una notte alle tre, le campane suonarono a stormo. I Lorenzi si vestirono in fretta e uscirono verso l’unico rifugio del paese con pacchi, coperte e cuscini; la nonna con la sua preziosa borsa. Non sapevano bene cosa sarebbe successo, era risaputo che le coste non erano ben difese, ma gli alleati avrebbero anche potuto attaccare dal cielo. Non sapevano neanche quanto tempo sarebbero dovuti restare al rifugio, ore, giorni? Dal cielo si udiva un cannoneggiamento incessante. Non capivano cosa significasse arrendersi a quelle truppe, erano le stesse che avevano raso al suolo Palermo, Guglielmo probabilmente temeva di dover difendere le sue donne dalla bramosia dell’esercito nemico.
La porta del ricovero era così ingombra che non riuscirono a entrare, sarebbe stato meglio tornare a casa, invece si sedettero nel giardinetto li vicino senza sapere cosa fare, insieme alla folla accovacciata per terra o sulle valigie. In realtà erano tutte famiglie palermitane che loro conoscevano bene e il chiacchierare serviva a scambiarsi suggerimenti e allontanare l’ansia. La notte trascorse senza avvenimenti mentre da lontano si sentivano degli spari.
All’alba Giulio decise di prendere la bicicletta e andare alla villa di Bagheria.
“Giulio, ma è pericoloso!” disse il padre.
“La gente sta iniziando a tornare a casa, non sembra che ci sia più pericolo, andate anche voi. Vittorio alla villa durante la notte ascolta radio Londra e vorrei sapere se ci sono nuove notizie.” rispose Giulio.
Così all’alba del 10 di luglio Elda, i suoi genitori e la nonna si avviarono verso casa in silenzio, stanchi e anche delusi da quella incertezza.
Giulio tornò a mezzogiorno piangendo di gioia:
“Igea ha avuto un maschio, si chiama Francesco, le truppe americane sono sbarcate a Gela e quelle inglesi nella costa siracusana!”
Nei giorni successivi fu dato ordine di restare a casa tranne che per il rifornimento degli approvvigionamenti, che comunque non si trovavano. La sera si andava al ricovero carichi di cuscini e coperte e si passava la notte in quel sotterraneo umido.
In questo modo passarono dodici giorni che sembrarono secoli.
All’alba del 22 luglio si sentirono scoppi terrificanti arrivare da Palermo.
“Sono a Monreale.” Gridò qualcuno per strada.
Erano le cinque del mattino. Due ore dopo da quella stessa strada s’iniziò a sentire un trambusto e affacciandosi, i Lorenzi videro frotte di persone che correvano in direzione di Bagheria.
“Ma che succede?” gridò Wanda a una vecchina che correva avanti a tutti con dei sacchi vuoti in mano, dietro di lei c’erano persone che brandivano ceste, catini, uno che addirittura conduceva un asino con il suo basto vuoto. Nessuno voleva dire nulla, allora Giulio scese in strada ancora assonnato e tornò col suo resoconto:
“A quanto pare i soldati italiani e tedeschi sono fuggiti tutti ma hanno lasciato incustodito a Bagheria un magazzino per l’ammasso del grano. La folla è impazzita, stanno arrivando lì da tutti i paesi vicini. Si dice che pure i pescatori di Porticello stanno arrivando con le barche fino alla tonnara di Solanto.”
Per tutta la mattina si vide gente che andava e poi tornava con il grano nei sacchetti, nei grembiali, nelle tovaglie, mentre Don Ciccio, quel tipo losco che camminava col fucile in spalla a vendere a caro prezzo l’acqua dei pozzi, uscì in piazza con le mani in fianco rimproverando la gente:
“Chi iè sta cunfusioni? N’ama a fari accanusciri, amà fari truvari tuttu lordo? C’anna diri i ’miricani?[1]“ accanto a lui c’era un tipo incredibile: abito bianco, cappello panama a larghe falde, scarpe bicolori e un panciotto sgargiante tutto pieno di taschini; da dove era sortito? Sembrava un emigrato italoamericano arrinisciuto[2].
Da ogni balcone iniziarono a sventolare lenzuola bianche, in fondo a Corso Filangeri, vicino al Palazzo, si bruciarono gagliardetti, tessere e divise fasciste. Guglielmo commentava sconcertato:
“Fra di loro c’è chi fino a ieri ha osannato il Duce!”
“Guardalo lì – faceva Giulio indicando Don Ciccio – visto che è stato perseguitato dal prefetto Mori[3] si professa antifascista anche lui e ora organizza l’accoglienza agli americani!”
Più volte nella sua vita, Elda si era chiesta quali fossero i pensieri della sua famiglia il giorno in cui gli americani erano alle porte. I suoi genitori erano radicalmente cambiati dall’inizio della guerra, ogni passaggio li aveva resi riflessivi e loquaci, per esempio quando qualche giorno prima era arrivata la notizia della cattura dello zio Luca in Algeria, da parte degli Inglesi, mentre la nonna si disperava sciolta fra le lacrime, Guglielmo aveva tagliato corto:
“Gli Inglesi trattano bene i prigionieri.” suo padre non aveva molta fretta di vederlo tornare e in fondo lo diceva anche nell’interesse di suo fratello, era un fascista delle prima ora e, libero in quel frangente, sarebbe stato prima o poi vittima della vendette di chi voleva regolare i conti. Prima della guerra Guglielmo aveva dimostrato il suo dissenso lasciandosi andare a un’innocua satira antifascista, riferendo le barzellette che si dicevano in giro, oppure borbottando ogni volta che vedeva i suoi figli in divisa pronti per le adunate. Lentamente aveva aumentato il proprio rancore e adesso quello che più lo prostrava era il sentimento della sconfitta.
“Nell’altra guerra ero un volontario orgoglioso della mia patria, adesso quasi me ne vergogno, stiamo perdendo nel modo più umiliante, il re…”
“Il re, il re… lo vuoi capire che è stato proprio lui a permettere che Mussolini ci trascinasse in questa guerra assurda? Non me ne frega molto della patria a me! L’importante è che ci liberiamo al più presto dai nazifascisti!” – lo interrompeva suo figlio.
Guglielmo invece continuava nei suoi pensieri con la voce soffocata dall’affanno, con quel sibilo stanco che la polmonite gli aveva lasciato, col respiro più volte sospeso a mezz’aria:
“Ho visto cose troppo brutte, troppo brutte, non le posso neanche raccontare.”
Nella concitazione nessuno ascoltò con attenzione quelle parole ma quando Elda, ormai anziana, era venuta a conoscenza degli orrori perpetrati dall’esercito Italiano nel ‘42 in quel fronte Balcanico, era stata assalita dal terrore: possibile che papà avesse visto? Fosse stato costretto a partecipare? Sperava soltanto che il rientro in Italia del suo contingente avesse potuto risparmiarglielo… eppure era tornato fragile e sfiduciato, anche se da quel momento in poi suo padre sarebbe stato diverso, finalmente adulto…
Era cambiata anche sua madre, presa ogni giorno dalla lotta per la sopravvivenza, dalla preoccupazione per figli, per la propria famiglia:
“Mai più voglio trovarmi così impreparata… – buttò lì in quella conversazione – cosa abbiamo fatto, Guglielmo, per non capire in che tragedia stavamo andando a finire?”
Elda era ancora un quaderno vuoto, le cui pagine, con calligrafia stentata, si riempivano poco a poco di esperienze confuse e a volte contraddittorie, i bombardamenti, la fame, il tremendo viaggio dalle Madonie, stavano costituendo emozioni grandi e piccole che prima o poi avrebbero costruito la donna.
…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla
I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda
Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.
[1] Cos’è questa confusione? Ci dobbiamo fare conoscere, dobbiamo fare trovare tutto disordinato? Che diranno gli americani?
[2] che ha fatto i soldi
[3] Primo Cesare Mori (Pavia, 22 dicembre 1871 – Udine, 6 luglio 1942) fu un Prefetto e politico italiano passato alla storia col nome di Prefetto di Ferro. Su ordine di Benito Mussolini fu nominato prefetto di Palermo, con poteri straordinari su tutta l’isola, con l’incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo.