“Il giornale si stampa di notte e i redattori vanno in tipografia armati. – aveva ammonito Elda il caporedattore – sai… è per via dei monarchici[1], che girano nottetempo picchiando i compagni e assaltando le nostre sedi.”
Quella redazione, una stanza ospitata all’interno di una sezione di partito, con due scrivanie e una sola macchina da scrivere a cui mancavano alcuni tasti, era composta da un gruppetto di cinque compagni di sesso maschile che non accettarono di buon grado la prima donna fra loro. Elda aveva ancora addosso la fama di borghesuccia, era poi efficiente e questo creava invidie, ma soprattutto era una ragazza carina e si pensava potesse distrarre i compagni dalla loro missione: davanti a lei non sapevano come comportarsi, dovevano moderare il linguaggio e anche la palpabile agitazione dei sensi. Equivocando sul suo ruolo i compagni la trattavano da segretaria, sperando che a lei non fosse mai dato il compito della scrittura, il caporedattore invece veniva dal Continente, aveva visto le compagne armate combattere quanto gli uomini e incoraggiava Elda a farsi avanti senza dare peso alle battute canzonatorie.
Insomma quei compagni siciliani avevano fatto lo sforzo di diventare comunisti, per smettere di essere maschilisti ci sarebbe forse voluta un’altra generazione.
L’unico fra loro che la trattava alla pari e gentilmente era Pietro Santelia, fratello minore di Ignazio, neolaureato in giurisprudenza. Pietro era meno capopopolo del fratello ma anche lui faceva parte di quella schiera di ventenni che conduceva in Sicilia una vita dura, spostandosi da un punto all’altro dell’Isola. In sua presenza Elda ogni tanto si sentiva incoraggiata a prendere parte alle conversazioni.
“Nostro padre ci considera perduti alla deriva e dice che prima o poi resteremo delusi.” – disse un giorno lui in redazione.
“Che vuoi Pietro – gli rispose il suo amico Aldo – Sua Eccellenza il Giudice Emanuele Santelia è un magistrato tutto d’un pezzo. Tu e tuo fratello pure il carcere gli avete fatto digerire!”
“Sono state brevi detenzioni, ci hanno rilasciato subito!”
“Per un giudice il carcere dei figli deve essere una umiliazione insopportabile!”
Elda fu sollevata dal fatto che ci fossero altre famiglie oltre la sua che accettavano malvolentieri le scelte politiche dei figli, così ebbe il coraggio di inserirsi nella conversazione:
“Anche mio padre ha paura che mi cacci nei guai.”
“Se è per questo mia madre non fa altro che dirmi: “Se continui con ‘sta politica prima o poi t’ammazzeranno, dovresti mettere la testa a posto e trovare una brava ragazza da sposare!“ – disse Aldo scimmiottando una voce femminile e in un certo senso rispondendo a Elda.
“In questo momento nessuno può pensare alla propria vita privata.” – tagliò corto Pietro.
Lui era diverso da quel granlombardo del fratello, era timido e dotato di una profonda dolcezza, sia nell’animo che nel fisico, in lui traspariva quella compostezza e dignità del mondo contadino da cui proveniva la sua famiglia, aveva un corpo asciutto e ben piantato e due occhi neri, arabi e penetranti, che troppo spesso posavano lo sguardo sull’algida Elda che per lui era un miraggio irraggiungibile. La compagna bionda in realtà iniziava a osservarlo, anche se la sua coscienza avrebbe percorso strade incerte e tortuose prima di ammettere un interesse per Pietro.
Incoraggiata dal caporedattore, ben presto anche Elda iniziò a scrivere dei brevi articoli, le capitava quindi di attardarsi in redazione anche se non doveva recarsi di notte in tipografia, come accadeva agli altri. Una sera, nell’andare via, il vecchio compagno del Nord aveva raccomandato agli altri:
“Appena Elda finisce il suo pezzo portatelo subito in tipografia, è importante che sia inserito.” – ma quando la ragazza finì, un certo Emanuele le disse con un sorrisetto di traverso:
“Siamo tutti impegnati, se proprio ti interessa portalo tu.”
La tipografia stava nella zona del porto, ancora un cumulo di macerie, buia e piena di prostitute, ma Elda inforcò la sua bicicletta decisa a non mostrare alcuna debolezza femminile. Se le compagne partigiane avevano avuto il coraggio di combattere con le armi in pugno, lei poteva anche avventurarsi in bicicletta al Borgo, senza neanche la dinamo. Non fu un viaggio piacevole, fra soldati ubriachi che le tendevano scherzosi agguati e cani randagi che rovistavano fra le macerie, inseguendo le ruote della sua bicicletta perché disturbati dal rumore di ferraglia.
Arrivata lì, la saracinesca della tipografia era abbassata ma lei sapeva che bisognava bussare tre colpetti poi fermarsi, farne altri due e infine aspettare che qualcuno la alzasse a mezza altezza dall’interno. Dalle scarpe e dai pantaloni che comparivano mentre la saracinesca si alzava sembrava fosse Pietro, del resto lei sapeva che era andato a chiudere la seconda pagina, Elda si accovacciò per entrare e nel rialzarsi in piedi dall’altra parte si trovò quasi incollata al corpo di lui:
“Qua c’è il mio pezzo da inserire.” – disse ascoltando il suo respiro.
“Hanno mandato te, a quest’ora?” – fece lui fissandola negli occhi.
“Stavo per tornare a casa, ero quasi di strada.”
“Non direi… io comunque stavo andando via, dentro c’è Mario che aspetta l’articolo per inserirlo, dallo a lui e poi io ti seguo fino a casa, questa zona non è sicura.”
“Non c’è bisogno, la serata è chiara.”
“Non allungo di molto, dai che è già tardi, ti aspetto fuori.”
“Grazie allora, arrivo subito.”
Quando Elda sbucò fuori dalla saracinesca lui era lì ad aspettarla, in sella alla sua bici e tenendo il manubrio di quella da donna per farla stare in piedi. Era stata salvata in extremis e non le dispiaceva, la sua prova di coraggio l’aveva comunque fatta all’andata. Si incamminarono pedalando fianco a fianco, in una città primaverile che ancora conservava le ferite della guerra, Pietro avanzava lentamente, conversando:
“Dopo il rumore infernale di quelle rotative e l’odore del piombo è bello respirare un po’ d’aria fresca.”
“E’ una bella serata.” – disse lei mentre i detriti accumulati sul ciglio della strada stavano per farla cadere.
“Stai attenta! …chissà quanto tempo ci vorrà per aggiustare queste strade.”
“Vorrai dire tutta la città…”
“Se mai tornerà come prima… “ – disse lui sospirando.
“L’unica soluzione è guardarla come se fosse una città sconosciuta, senza fare confronti con l’altra.”
Ci volevano due sguardi benevoli per sopportare la vista della Palermo devastata, violentata, stravolta: della chiesa di Santa Lucia al Borgo, completamente distrutta, si vedevano soltanto le colonne ioniche, via Emerico Amari aveva palazzi crollati per metà o del tutto e per terra i cumuli di macerie costringevano le biciclette a contorti passaggi obbligati. Elda e Pietro, come gli altri ragazzi italiani di quel dopoguerra, sembravano cuccioli svezzati nello spazio angusto di una tana, per difendersi da un predatore sempre diverso e sempre in agguato: bombe, soldati tedeschi e poi soldati americani. Avevano le zampe che volevano scalciare perché nulla era ancora stato loro concesso dei desideri della giovinezza, come correre a perdifiato, schiamazzare per strada, ridere sotto un lampione. Non erano ancora riusciti a godere della conquista degli spazi della loro città, rimasta troppo a lungo buia e nemica; e invece adesso si accorgevano che potevano averla, straziata e impoverita ma finalmente propria, con la natura che prorompeva a ogni costo in quella tiepida serata primaverile, con l’odore del mare che s’imponeva sull’olezzo delle carogne, con il profumo del glicine e delle pomelie che scacciava il puzzo del gas nebbiogeno e delle bruciature del tritolo. Una luna affettuosa li accompagnava proteggendoli dall’oscuramento, com’era bella Elda col suo vestitino di rayon a fiori scovato in una balla degli aiuti americani, con i ricci biondi che sfuggivano alle forcine! Come era allegro Pietro con le maniche della camicia arrotolate, il bottone del colletto aperto e i capelli finalmente in disordine!
Man mano che risalivano quella via, allontanandosi dal mare, essa sembrava più composta, lo era la piazza Politeama e anche la via Villafranca, dove le rovine erano circoscritte attorno a qualche palazzo abbattuto. Pietro non sarebbe mai voluto giungere a destinazione e neanche lei, che pedalava sempre più lentamente standogli a fianco, annusando il suo odore e cercando di cogliere di nuovo quel respiro che aveva ascoltato entrando in tipografia, ma dovette arrendersi al cospetto del suo portone:
“Io sono arrivata, sei stato gentile ad accompagnarmi… grazie…. ”
Elda entrò nel portone con la bicicletta in spalla mentre Pietro le teneva l’anta aperta, poi lei sistemò la bici nel sottoscala e si scambiarono un ciao trasognato prima che s’incamminasse su per i gradini, Pietro restò a guardarla con la testa che gli formicolava e gli occhi neri appuntati sulle sue spalle, quasi la sorreggevano mentre saliva. Fu tutto lì, ma da allora in redazione parlarono più spesso.
“Tutto sommato… – le disse Pietro un giorno – mi piace lavorare qui piuttosto che in Federazione: scrivere, leggere, avrei dovuto studiare Filosofia come Ignazio, non so neanche perché mi sono iscritto a Giurisprudenza, forse per non deludere mio padre che ci teneva tanto.”
“Sembri Giulio – rispose Elda – anche lui non vede l’ora di lasciare lo studio di mio padre per dedicarsi ai suoi interessi.”
“Giulio è eclettico, sa spaziare da un campo all’altro… ma sa anche essere leggero e profondo allo stesso tempo…”
Poi Elda e Pietro iniziarono a leggere ognuno gli articoli dell’altro, commentandoli e dando dei suggerimenti, parlavano del piacere di scrivere e di quello di leggere, si scambiavano manuali di teoria politica ma ogni tanto ci scappava la buona letteratura e poi lui amava la filosofia e le chiedeva delle lezioni del professore Fazio. A Elda sembrava irreale poter provare per la stessa persona attrazione fisica e condivisione dei propri interessi, tanto irreale che aveva paura che la cosa non potesse funzionare.
Ogni tanto veniva in redazione suo fratello Ignazio ed Elda pensava che quei due si adoravano quanto lei e Giulio.
“Cane vile come stai?” – chiedeva Pietro abbracciando suo fratello.
“Canazzo, che si dice qui? Che avete scritto sullo sciopero?” – gli chiedeva Ignazio.
“Ma perché vi chiamate cane, fra voi due?” – chiedeva poi Elda a Pietro.
“Boh, non lo so – rispondeva lui – è un’abitudine di famiglia, anche mio padre chiamiamo così!”
“Anche vostro padre? Sua Eccellenza?” – diceva Elda ridendo.
“A casa non è più Sua Eccellenza.” – ridendo anche lui.
I redattori del giornale si spostavano nei paesi dell’entroterra per poter riportare i resoconti degli incontri col mondo contadino e il caporedattore chiese a Elda di fare delle interviste alle donne di quei paesi:
“A me farebbe piacere – si confidò poi con Pietro – ma come faccio a dirlo ai miei?”
“Potresti andare soltanto in paesi vicini – le suggerì lui – così puoi tornare in città prima di sera e ai tuoi non hai bisogno di dire niente.”
“Sì, ma quelle contadine non ci parlano con te se ci vai vestita così – si inserì Aldo – sei troppo borghese!”
“Magari ti vesti in un altro modo e ti metti un fazzoletto in testa.” – buttò lì Pietro.
Elda era gonfia dalla rabbia: ancora questa storia della “borghese” e anche Pietro poi! Era solitamente tanto affettuoso con lei e invece questa volta non si era dissociato dal dileggio di Aldo. Entrò in campo la sua voglia di sfida e trasfigurazione e il suo aspetto fisico fu mortificato il più possibile, ma da allora in poi in Elda si inserì un sentimento che lei stessa si stupì di non aver provato prima: il mal d’amore. Era stata troppo sicura dei sentimenti altrui, prima quelli di Augusto e poi quelli di Pietro, adesso invece cominciava a capire di non poter essere sempre oggetto di adorazione. Fino a qualche mese prima fingeva di non interessarsi a Pietro e adesso una frase neanche troppo pavida poteva tanto farla soffrire? Ma cosa le stava succedendo?
La sofferenza si insinuava per qualsiasi imprevisto, anche minimo, Pietro che ritardava in redazione di qualche ora o che non arrivava affatto, mai però che si potesse chiedere agli altri dove fosse, doveva passare il resto della giornata ad ascoltare le conversazioni altrui finché le capitava di sentire Dov’è Pietro? e attendere la risposta dissimulando qualsiasi interesse.
Ottavia già amoreggiava con Ignazio e poteva essere sua complice ma neanche a lei osava confessare nulla, così le chiedeva del loro rapporto e ogni tanto ci scappava fuori qualche informazione sul fratello di lui, era arrivata al punto che si consolava con minimi indizi indiretti inseriti nei resoconti della sua amica: i racconti di Ignazio bambino insieme al fratello, il loro rapporto con i genitori, dove stava di preciso la casa che abitavano.
Le donne intervistate da Elda lavoravano nei campi insieme ai bambini e non avevano il tempo di partorire che subito dovevano ritornare al lavoro, da loro finalmente la ragazza sentì parlare di quelle figure intermedie che giravano con le lupare in spalla, i soprastanti, i gabellotti e i campieri. Ora ebbe chiaro il significato di quel “curvare la schiena” di cui aveva parlato il nonno di Augusto, significava minacciare fisicamente i contadini che protestavano per le divisioni inique dei proventi della terra. Le donne raccontavano più facilmente dei loro uomini:
“Me maritu ci u rissi u soprastanti chu pattu era mienzu e mienzu e chiddu arrispunniu: Ccà si sparti come voli vuscienza[2]!”
“A chiddu ca sera ncazzatu, u pigghiaru, u sarcufiaru i lignati, u chiuiru rintra un saccu e u stirruparu in menzu a chiazza, cu tutti ca taliavanu e un ricianu nenti![3]”
Elda si guadagnò la stima di quelle donne e scrisse un bel servizio, con il linguaggio politico di allora e infarcito di frasi militanti ma anche carico di umanità. Il caporedattore le fece i suoi complimenti:
“Questo pezzo è un grande contributo alla causa del movimento contadino!” Anche i suoi colleghi dovettero ammettere la sua bravura.
Poi ricevette una lettera, recapitata a casa:
“Pagherai per quello che hai scritto!”
Elda non la fece vedere a nessuno, né ai suoi genitori, né a suo fratello, né al caporedattore, né agli altri compagni, né a Pietro, cercò di scacciarla dalla sua testa ma ogni tanto le tormentava il sonno, poi decise di farla leggere a Ottavia.
“E’ una buona calligrafia, non sembra scritta da un campiere, non sarà per caso qualcuno che hai conosciuto tramite Augusto?”
“Non credo, non sono andata in quella zona, però è strano che l’abbiano recapitata a casa e non in redazione.”
“No, questo è normale, anche a Ignazio mandano lettere a casa, lo fanno per dirti sappiamo dove abiti. Può essere anche la polizia segreta, qui siamo in mezzo alle spie, perché non vuoi farla leggere ai compagni?”
“Se lo facessi non mi farebbero più scrivere un rigo, tornerei in federazione a contare bollini.”
…tratto dal romanzo Elda, vite di magnifici perdenti , di Maria Adele Cipolla
I capitoli illustrati verranno caricati ogni quattro giorni nella categoria Capitoli #progettoelda
Nella pagina Audiolibro #progettoelda si potranno ascoltare le letture di tutti i capitoli.
[1] si era in piena guerra fra monarchici e repubblicani.
[2] mio marito glielo disse al soprastante che il patto era metà e metà e quello rispose, qua si divide come vuole voscenza, cioè il Barone
[3] a quello che si era ribellato, lo pestarono, lo chiusero in un sacco e lo fecero rotolare nella piazza del paese davanti a tutti i paesani che stavano zitti a guardare